martedì 6 marzo 2012

A Palermo ha (ri)vinto la Dc


Qui (non) riposano in pace, si potrebbe dire parafrasando Montanelli. Sì, perché a quanto pare a Palermo non riesce a trovare pace proprio nessuno. A cominciare dai palermitani, governati dai tempi dello sbarco alleato in Sicilia da persone che, nella migliore delle ipotesi, erano indifferenti; nella peggiore, erano mafiosi.
Per quarant’anni in Sicilia, e in particolare a Palermo, l’alleanza della Dc con Cosa Nostra era fatta in nome dell’anti-comunismo. La strage di Portella delle Ginestre, nel 1947, fu fatta in nome dell’anti-comunismo e segnò il grande freddo in cui sarebbe piombato il mondo ancora prima che la Guerra Fredda entrasse anche solo nella capoccia dei due principali contendenti.
Ebbene, ad ogni tornata amministrativa si spera nel cambiamento, che puntualmente non arriva. Negare però che negli ultimi 60 anni la Sicilia sia stata un laboratorio politico che ha anticipato spesso certe svolte nel Paese, sarebbe ridicolo. E per questo non mi appassiona per nulla la polemica sui 40 voti in più che avrebbe preso Ferrandelli rispetto alla Borsellino (presunti, perché ad oltre 24 ore dallo spoglio ancora non si hanno dati definitivi, e questa la dice lunga sul livello del degrado civile in cui versa la città).
Chiariamoci: fino all’altro ieri manco sapevo chi fosse Fabrizio Ferrandelli, quindi le polemiche tra Claudio Fava e Sonia Alfano, le lascio ai rispettivi contendenti e tifoserie. E’ certo però che con la vittoria dell’ex-dipietrista l’inciucio siciliano (che vede pezzi di PD e pezzi del PDL sostenere Lombardo) diventa ufficialmente il grimaldello con cui i centristi nostalgici della Dc cercheranno di far saltare la fantomatica foto di Vasto (quindi il centro-sinistra).
E già dalle prime dichiarazioni di Enrico Letta e di Casini la strategia appare chiara: uno sostiene che la coalizione PD-IDV-SEL non basta, l’altro invita il PD ad aprire il centro (e quindi a mollare IDV-SEL). Morale: rifondazione DC, sotto l’egida del governo Monti, che in Sicilia, de facto, è già realtà, grazie ai signori delle tessere Lumia e Cracolici.
Ora, a qualcuno andrà anche bene (vedo già commenti festosi dei falchi vendoliani che non vedono l’ora di tornare ad essere minoranza strutturale nel Paese così come quando stavano in rifondazione comunista), ma io non vorrei che qualcuno perdesse di vista l’obiettivo finale: battere la Destra, il qualunquismo e l’anti-politica con una Politica con la P maiuscola che sia di Sinistra.
La Questione Morale non è generazionale e, soprattutto, non si risolve riverniciando il logo del partito. Non basta inventarsi nuove alchimie elettorali per andare ad occupare poltrone, bisogna fare in modo che a noi giovani venga voglia di tornare a fare politica, senza compromessi, senza svendite della propria identità.
Nel 1979, a chi insisteva tra i dirigenti affinché il PCI si adeguasse alle pratiche di potere democristiano per andare al governo, Enrico Berlinguer rispose:
Secondo qualcuno il nostro partito dovrebbe finire di essere diverso, dovrebbe cioè omologarsi agli altri partiti. Veti e sospetti cadrebbero, riceveremmo consensi e plausi strepitosi, se solo divenissimo uguali agli altri, se decidessimo di recidere le nostre radici, pensando di rifiorire meglio. Ma ciò sarebbe, come ha scritto Mitterrand, il gesto suicida di un idiota.
Ecco, una volta Montanelli disse che bisognava turarsi il naso e votare il meno peggio, ovvero la DC. Ma non è forse venuto il momento di lavorare per costruire una società che non sia un immondezzaio?

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