mercoledì 7 marzo 2012

Lombardia, figli di una sanità minore


Quando a novembre Maria si presentò, incinta, al consultorio della sua città, in provincia di Milano, tutto si sarebbe aspettato, fuorché di essere respinta. “Non ha la tessera Team – le è stato detto – e quindi il Servizio sanitario nazionale non può prenderla in carico”. Sconfortata, la donna, di nazionalità bulgara, si è rivolta al Naga, associazione milanese che assiste migranti e stranieri in difficoltà. Gli operatori del Naga le hanno detto di iscriversi all’anagrafe, tornare al consultorio per farsi attestare la gravidanza in atto, ed eventualmente chiedere alla madre di fare lei dalla Bulgaria la tessera Team. Ma i tempi sono burocratici, e Maria può tornare al consultorio solo con l’attestazione di richiesta della Team, non con la tessera vera e propria. Qui ottiene un altro rifiuto. Disperata, sta per lasciare in Italia il marito, che ha un lavoro, e tornare in Bulgaria dalla madre.
Grazie a un escamotage, Maria è riuscita a essere presa in carico dal servizio sanitario. Come? Facendosi assumere come Colf dal marito. Non fa ovviamente la collaboratrice familiare, ma paga i contributi allo Stato. Solo per ricevere l’assistenza sanitaria.
Come Maria, in Lombardia esistono almeno ventimila persone, in situazioni di salute più o meno gravi, che non hanno accesso alle cure. E il paradosso è che molti sono comunitari, bulgari o rumeni. Dal 2007, hanno diritto alle cure mediche solo coloro che hanno un lavoro in regola oppure la Tessera europea di assicurazione malattia (Team) che viene rilasciata dal Paese d’origine. Non tutti i romeni e i bulgari hanno però la Team. Di conseguenza i disoccupati e persino i familiari a carico di chi ha un’occupazione in regola non hanno diritto alle cure.
Per due mesi, novembre e dicembre 2011, il Naga  ha raccolto i dati di 167 pazienti comunitari che si sono presentati all’ambulatorio gestito dai volontari in via Zamenhof, per capire che tipo di accoglienza trovano nelle strutture sanitarie pubbliche di Milano. I risultati dello studio, realizzato insieme a Casa per la pace di Milano!, Centro Internazionale Helder Camara e Sant’Angelo solidale onlus, sono sconfortanti: nonostante siano in Italia in media da cinque anni e mezzo, due su tre (116 persone) sono state visitate solo dal Naga o da altre associazioni, ma mai da ospedali o da ambulatori pubblici; 68 hanno ricevuto assistenza anche dai pronto soccorso.
La situazione dei bambini è addirittura peggiore: su 71 casi, risulta che 29 non sono mai stati visitati da un medico in vita loro, 28 dai pronto soccorso e 13 solo da medici di organizzazioni di volontariato.
Abbiamo chiesto a Giulia Oliva, del Naga, il perché di una tale situazione.
I cittadini bulgari e rumeni sono entrati a far parte dell’Unione Europea nel 2007 senza avere un trattamento paritario rispetto agli altri Stati. Questo per questioni di convenzioni tra Stati e per volontà politiche: a riguardo si ricordi nel 2007 il terrore degli europei per le ‘invasioni’ rumene e bulgare. Dal punto di vista sanitario, i neocomunitari che soggiornano per più di tre mesi, devono dichiarare la loro presenza entro tre giorni dall’ingresso, iscriversi all’anagrafe e al sistema sanitario o procurarsi una qualche forma di copertura sanitaria. Sintetizzando la questione, o hanno un contratto di lavoro e possono accedere all’iscrizione al Ssn con gli stessi diritti di un italiano con tessera sanitaria, o possono essere posssessori di tessera Team, tessera europea assicurazione e malattia, rilasciata dai Paesi di provenienza nel momento in cui un cittadino intende sostare nei Paesi europei. La nostra indagine si è focalizzata su chi non era in possesso di questi requisiti, e quindi non era in regola: quelli che erano in Italia prima del 2007 e magari non hanno più contatti o non possono o vogliono tornare, quindi non possono stipulare contratti assicurativi: e quelli che non hanno un lavoro in Italia.
In Lombardia si trovano a vivere una difficoltà maggiore. Perché?
La Lombardia rappresenta un caso particolare. Molte Regioni, per evitare che ci fossero persone senza assistenza sanitaria sono corse ai ripari istituendo il codice Eni (Europei non iscritti), che apre le porte di ospedali e medici di base. La Lombardia no: in una circolare (la 4/San del 2008) ha riconosciuto a tutti il diritto alla salute, ma non è così, perché secondo la circolare, il codice per i cosiddetti CSCS, comunitari senza copertura sanitaria, può essere attivabile solo ai fini della rendicontazione dei ricoveri ospedalieri. In tutti gli altri casi non è valida.
Quanti casi avete analizzato, e come?
Abbiamo raccolto un campione faendo riferimento alle persone che si rivolgono al Naga e all’unità mobile del Naga di medicina di strada, dal quale è emerso che se gli adulti che si rivolgono ai Cup dei sei ospedali presi in considerazione per richiedere esami o visite specialistiche, non vengono accettati. Neanche con il ‘foglio di invio’ del Naga.
E come si curano queste persone?
Come si curano… Solo attraverso gli ambulatori dove operano volontari. Il 48 percento di quelli presi in esame si è curato da noi. Un’eccezione esiste: il Niguarda, che ha risolto il problema facendo in modo che quelli che si rivolgono allo sportello stranieri ricevono una dichiarazione di indigenza che permette di portare avanti la prenotazione delle visite. Tutti gli altri Cup respingono le persone facendo riferimento alla mancanza di presentazione della famosa ricetta rossa. Un paradosso, perché queste persone non hanno copertura sanitaria.
Cittadini di serie B, per la Regione Lombardia.
Non solo loro, anche i loro bambini. Quelli che abbiamo visitato sono tutti rumeni. Le percentuali sono preoccupanti: il 41 percento non erano mai stati visitati da un medico. Solo il 59 percento ha ricevuto tutte le vaccinazioni previste. Il 24 percento nessuna.
emergency

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