lunedì 26 marzo 2012

23 marzo 2002: quando tutti (anche gli ex-dc) difendevano l’art.18


23 marzo 2002: sono passati 10 anni dall’imponente manifestazione organizzata dalla CGIL, allora a guida Cofferati, contro il Governo Berlusconi che voleva introdurre “la libertà di assumere”, abolendo l’art.18.
Se andiamo a rileggere le cronache del tempo, insieme alle foto di quei 3 milioni di lavoratori che invasero Roma, ci rendiamo subito conto di una cosa: in piazza c’erano tutti, dai DS fino a Rifondazione. La FIOM non era additata come un manipolo di estremisti che tenevano in ostaggio la CGIL, anzi, era proprio il sindacato che portava avanti la lotta (altro che le timidezze della Camusso al riguardo).
E fanno sinceramente sorridere le parole di Eugenio Scalfari, a commento della manifestazione: a rileggerlo, in questo editoriale, sembra un’altra persona. Bacchetta la CISL di Pezzotta, rintuzza Schifani che parla di clima d’odio, difende a spada tratta l’art.18. Così come non sembrano nemmeno loro Rutelli e Fassino, che plaudono alla manifestazione. L’unico, e sembra un miracolo, che la pensa (quasi) allo stesso modo pare essere D’Alema, ai tempi il grande antagonista di Cofferati, che pure quel giorno, da Presidente dei DS, si schierò ventre a terra con il suo partito a favore dell’art.18. Basta leggersi questo articoloper farsene una ragione.
Oggi invece l’art.18 è diventato il grimaldello con cui il PDL cerca di far saltare il PD e produrre un riassembramento delle forze politiche: in sintesi, formare la nuova DC del 21° secolo, a cui sta lavorando Casini da un lustro. Tagliare le ali estreme di PD e PDL e convergere tutti insieme appassionatamente in un unico soggetto che occupi stabilmente il centro e impedisca magari per qualche decennio l’alternanza.
Bersani, che cerca di rimanere in sella, ma è sempre più precario, sta facendo la fine di Berlinguer: la crisi economica come il terrorismo, Monti come Andreotti, che non cedeva nulla al PCI, sotto ricatto perché la sfiducia avrebbe significato l’accusa internazionale di fiancheggiare il terrorismo. Oggi Bersani non può sfiduciare Monti, ma più lo sostiene, più si logora. E il risultato sarà identico a quello del 1979, quando il PCI perse metà dei voti guadagnati tre anni prima e venne ricacciato all’angolo dal nuovo asse DC-PSI: sulla questione dell’art.18 Bersani rischia l’implosione.
Per uscire dall’angolo, il leader del PD dovrebbe puntare su quello che davvero frena gli investimenti esteri e pesa come un macigno sulla ripresa economica: corruzione, criminalità organizzata, evasione fiscale e burocrazia. In una parola: la questione morale. Se sfiduciasse Monti su questo, ricompatterebbe il fronte della Sinistra e vincerebbe a mani basse le elezioni. Ne avrà la forza?

1 commento:

  1. Caro Farina, leggiti la relazione e gli interventi dell'ultima Direzione nazionale del Pd e potrai verificare quale sia lo stato di precarietà (?) di Bersani. www.partitodemocratico.it

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