lunedì 26 agosto 2013

NESSUN TAGLIO ALLE PENSIONI D'ORO

Doccia fredda sui tagli alle pensioni d'oro. Il ministro del Lavoro Enrico Giovannini ne ha parlato al Meeting di Rimini: «Se pensiamo che un intervento sulle pensioni molto elevate generi una grossa leva per intervenire sulle pensioni più basse, vuol dire che non si conosce la matematica perché allora bisognerebbe intervenire dalle pensioni d'oro a quelle d'argento. E forse oltre». Anche se è necessario un «intervento redistributivo sul sistema pensionistico e più in generale sull'intero sistema del welfare».

A cominciare dall'annoso problema degli esodati, che il ministro ha assicurato essere in via di risoluzione a settembre: «Un intervento per altre 20-30 mila persone», oltre le 130 mila già individuate dal governo Monti.

In ogni caso, Giovanini ha escluso un'ulteriore manovra correttiva, così come sui prepensionamenti nella pubblica amministrazione, ai quali ha preferito il turn over «che ci consente di assumere giovani al posto di chi va in pensione».

Novità anche per la cassa integrazione in deroga: «In questi giorni», ha detto ancora il titolare del Welfare, «stiamo lavorando sul rifinanziamento e la ristrutturazione di questo strumento. Il decreto è pronto ed è in discussione con il ministero dell'Economia». In generale «vogliamo abbassare il costo del lavoro per tutti i lavoratori».

Infine, una nota sulla tenuta dell'esecutivo, che appare sempre più in bilico: «Credo che in questo momento una crisi di governo sia l'ultima cosa di cui avremmo bisogno». 
Cado in Piedi

C'È LA CRISI? ALLORA COMPRIAMO ARMI

Dopo gli F35, i caccia Eurofighter.
L'Italia investe ancora nella difesa aumentando il budget per l'anno in corso: i fondi assegnati arrivano nel 2013 a 14,4 miliardi, ben 800 milioni in più dell'anno in corso.
Lo afferma il settimanale L'Espresso, che rivela come grazie ai contributi provenienti dal ministero dello Sviluppo Economico, che mette a disposizione 2.182 milioni per comprare sistemi militari, il nostro Paese spenderà la cifra considerevole di 5,5 miliardi in nuovi armarmenti.

Gran parte di questi soldi serviranno per finanziare l'acquisto dei caccia europei Eurofighter, e qui c'è una sorpresa. Perché, mentre il Paese discute animatamente dei costi del Lockheed F-35, circa 12 miliardi di euro, viene fuori che il preventivo per gli Eurofighter italiani ha superato quello e ogni altro record: il documento ufficiale indica infatti in 21,1 miliardi di euro la spesa per questi aerei, ben 3 miliardi in più rispetto alla previsione formulata appena lo scorso anno, che si fermava a 18,1 miliardi.
Nel corso del 2013 soltanto per comprare gli Eurofighter il Mise spenderà la bellezza di 1.182 milioni di euro".

Non basta. Oltre ai caccia, il dicastero titolare delle politiche per lo Sviluppo economico si farà carico anche delle fregate Fremm, di cui solo le prime sei costeranno 5,6 miliardi, dei blindati da combattimento Freccia, una spesa da 1,5 miliardi per 249 veicoli, i jet d'addestramento Aermacchi M-346 che costeranno 220 milioni solo nella prima tranche.
Poi ci sono i gadget elettronici per il "Soldato futuro", per circa 800 milioni. E ancora 3.895 milioni per i nuovi elicotteri NH-90 di Esercito e Marina e 740 milioni per gli Agusta AW-101 dell'Aeronautica. Il finanziamento dei satelliti spia Cosmo SkyMed è stato invece frammentato tra Difesa con 229 milioni, e ministero dell'Università e Ricerca e l'Agenzia Spaziale con circa 500, mentre ancora il Mise contribuisce ai 300 milioni dei satelliti Sicral per le comunicazioni.

Arrivano anche avatar e radar: 580 milioni il budget per acquisire due fantascientifici jet Gulfstream Caew prodotti in Israele, vere centrali di spionaggio volanti, e altri 211 milioni sono il contributo italiano per la discussa squadriglia di velivoli-robot Global Hawk voluta dalla Nato.
Tutto il budget per le forze armate è aumentato: tolti i carabinieri, si spenderanno 14,4 miliardi di euro contro i 13,6 miliardi del 2012, e i 14,3 miliardi del 2011, soldi che per due terzi sono destinati agli stipendi. 
Cado in Piedi

martedì 6 agosto 2013

LETTA HA FATTO CENTO

Via il Porcellum e le province, basta con il finanziamento pubblico ai partiti. E poi ancora reddito minimo per le famiglie, rifinanziamento per la cassa integrazione, riduzione del costo del lavoro, incentivi per il reddito giovanile. Ma cosa hanno fatto davvero?

Cento di questi giorni, o anche no. Il governo Letta arriva al suo primo traguardo con l'affanno, avendo già perduto per strada parte della sua spinta e del suo consenso. In carica dal 28 aprile 2013, mentre Berlusconi si commuoveva sul palco di Palazzo Grazioli, domenica 4 agosto, Erico Letta ha segnato la centesima crocetta sul suo calendario. 

Quando si presentò in Parlamento, parlò di riforme e provvedimenti da adottare nel primo anno e mezzo di governo: stop all'Imu a giugno, rinuncia dell'aumento dell'Iva, via il Porcellum e le province, basta con il finanziamento pubblico ai partiti. E poi ancora reddito minimo per le famiglie, rifinanziamento per la cassa integrazione, riduzione del costo del lavoro, incentivi per il reddito giovanile.

Sembrava un libro dei sogni, con un'ampia maggioranza bipartisan dalla sua che, per una volta, lasciava qualche briciolo di speranza. A che punto siamo? L'Imu è stata effettivamente congelata, ma entro agosto il governo deve varare con un decreto legge la riforma degli immobili, e trovare la quadra in questo delicato momento politico non sarà facile. L'aumento dell'Iva di luglio è stato scongiurato, per ora:entro ottobre bisognerà trovare una soluzione.

Le Province sono state protagoniste di un primo decreto che le ha svuotate dei loro compiti, cui segue la riforma costituzionale approvata la scorsa settimana dal Consiglio dei Ministri. Ma l'iter in Parlamento rischia di essere lunghissimo, sempre che ce ne sia il tempo. E tempo serve anche al Porcellum, nonostante la procedura d'urgenza approvata alla Camera per portare in aula a ottobre una riforma che lo superi. L'accordo ancora non c'è. E non sarà facile trovarlo.

Il ddl sul finanziamento pubblico ai partiti è alla Camera, pronto per essere approvato entro il 10 agosto, dicono. Ma rischia pure di saltare a settembre, invece, per via dell'emendamento Pd che introduce un tetto alle donazioni dei privati, e che ha causato più d'un malumore. 

Il decreto del Fare doveva servire a rilanciare l'economia con una serie di misure per la liberalizzazione e la sburocratizzazione. Ma la lotta sugli emendamenti è aperta in Senato, e il tempo stringe perché va convertito entro il 20 agosto.

Del reddito minimo per le famiglie nessuna traccia, così come della riduzione del costo lavoro: al suo posto, una serie di sgravi e incentivi per l'assunzione di giovani. I decreti per la cassa integrazione in deroga, invece, sono già stati firmati. 

Gli interventi già in campo chiaramente hanno delle ricadute, in primo luogo sulle tasse: l'acconto l'Irpef, per esempio passa dal  99 al 100%, quello Ires dal 100 al 101%. E chiamarli acconti sembra ridicolo. Molto, ancora, resta da fare. Ma il destino del Governo, e quello delle sue promesse, sono appesi a un filo che si chiama Berlusconi.

di Redazione Cadoinpiedi.it - 6 agosto 2013

Storia di una legge inutile

Articolo di: Antonio Sanfrancesco - Famiglia Cristiana
Foto di benvenutiinitalia.it
       
Se l’obiettivo era ridurre il flusso di immigrati clandestini, adesso, dopo quattro anni dall’entrata in vigore, possiamo dirlo chiaramente: la legge 94 del 15 luglio 2009 (il cosidetto “Pacchetto sicurezza”) che ha introdotto il reato di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato» ha fatto sonoramente flop.
Non solo, ma nel periodo in cui non c’era questo reato il numero di espulsioni per coloro che si trovavano in Italia in maniera irregolare era addirittura maggiore: 49 per cento nel 2003 contro il 28 per cento del 2012.

A parte le varie bocciature ricevute, nell’ordine, dalla Corte Costituzionale nel 2010 e dalla Corte di Giustizia europea nel 2011 e nel 2012, la legge si è rivelata totalmente inefficace per lo scopo che si prefiggeva: la riduzione del 10 per cento del flusso annuo di immigrati clandestini, come spiegava la relazione tecnica del giugno 2008 che accompagnava il disegno di legge.
La pena dell’ammenda prevista (da 5mila a 10mila euro), ad esempio, non è mai stata eseguita perché lo straniero è quasi sempre insolvibile.

A certificare il flop ci sono i numeri forniti dalla Direzione generale della giustizia penale del Ministero che per monitorare l’applicazione della legge ha controllato i dati relativi al 79 per cento dei fascicoli iscritti nel 2010 presso i tribunali italiani.
Risultato: sono appena 172 i fascicoli aperti nei tribunali all’interno dei quali è stata rintracciata la voce relativa al reato di immigrazione clandestina. Di questi, solo 55 sono stati quelli definiti. Più nello specifico, sono solo 12 le sentenze di condanna, mentre 18 sono le sentenze concluse con un patteggiamento e 1 la sentenza “mista” (conclusasi, cioè, con una condanna per un reato e un’assoluzione per l’altro). Il totale delle sentenze di assoluzione sono 4 e 20 quelle chiuse con altre modalità di definizione. I dati del ministero non consentono al momento di sapere quante sono le persone condannate nel contesto delle 12 sentenze.

I dati, ha spiegato l’agenzia Redattore Sociale, rischiano di essere oggettivamente inficiati da alcune lacune del sistema, visto che in diverse cancellerie potrebbero essere stati considerati come “immigrazione clandestina” anche reati specifici, come quelli facenti riferimento alla legge 286 o 189. Inoltre, l’analisi del ministero non tiene conto di eventuali definizioni dei reati davanti al Gip o al Gup, ma solo in sede giudicante. In ogni caso, con l’attuale trend, una copertura totale delle sedi di tribunale porterebbe a circa 200 fascicoli e circa 15/20 sentenze di condanna. Cifre oggettivamente molto piccole.

Emblematica, inoltre, la sproporzione tra sentenze definitive e denunce della polizia. Nel 2011 le forze dell’ordine hanno “segnalato” 28.604 casi di violazione per il reato di clandestinità (il picco in Lombardia con 5.871, seguita dalla Sicilia con 4.609, dalla Campania con 2.782, dall’Emilia Romagna con 2.180). Nel 2012 il trend è stabile con 28.572 casi, mentre nel primo trimestre del 2013 si annotano già 3.943 casi (dati non ancora consolidati) che vedono in testa ancora la Lombardia, seguita da Campania, Emilia Romagna e Puglia.

La norma in questione, insomma, lungi dal ridurre i flussi migratori e la presenza di irregolari nel nostro Paese (si stima che siano oggi circa 500 mila), è riuscita solo a intasare ulteriormente di “carte”gli uffici immigrazioni delle Questure, già abbastanza ingolfati, e costringere Procure e giudici di pace ad avviare lunghe istruttorie e sfornare inutili sentenze.

Non è un caso, quindi, che tra le proposte contenute nel programma di depenalizzazione dei reati redatto dall’apposita commissione incaricata dal ministero della Giustizia nel novembre 2012 e presentato il 23 aprile scorso c’era quello di depenalizzare il reato di immigrazione clandestina trasformandolo in illecito amministrativo.  

Fonte: www.famigliacristiana.it

lunedì 5 agosto 2013

Cassetta degli attrezzi

Nella mia cassetta degli attrezzi ho eliminato strumenti inopportuni e pesanti. Come la rabbia e l’impazienza. Ho tolto la ruggine dei risentimenti. La muffa dello sconforto e della rassegnazione. 
Dentro, ci puoi trovare oggetti forti e resistenti. Flessibili. Utili. Pronti per l’uso. C’è la pazienza, che serve ad avvitar giornate storte e progetti che richiedono tempo, tanto tempo. C’è la tenacia, che è uno strumento di costruzione di massa. C’è il rispetto, che è una mano protesa verso gli altri. E che ci insegna l’umiltà dell’ascolto e la curiosità del diverso. Certe volte, certi attrezzi scartati, tentano di rientrare. Come sbavature periodiche. Tenerla in ordine è un esercizio quotidiano

Marco Boschini

“Nessuna ‘pacificazione’ a spese della Costituzione!”

Articolo di: Gianni Rossi - www.articolo21.org
       
“Il governo non ha un ruolo nella revisione costituzionale, perché non costituisce indirizzo politico della maggioranza. Questo implica delle distorsioni sul procedimento di revisione…” Alessandro Pace professore emerito di Diritto costituzionale e presidente di “Salviamo la Costituzione” intervistato da Articolo21 esprime le proprie preoccupazioni, di merito e metodo, sulle modifiche della Costituzione

Non le sembra che, dopo le 200 mila firme alla Petizione “Non vogliamo la riforma della P2”, sia arrivato il momento di riunire i movimenti per organizzare un’iniziativa comune?
“Certamente, come Presidente di “Salviamola Costituzione”, penso che dobbiamo programmare riunioni e iniziative comuni per ottobre e novembre, in quanto abbiamo guadagnato del tempo, in ragione all’ostruzionismo dei “grillini”: la prima votazione della Camera ci sarà infatti ad inizio settembre e quella decisiva ai primi di dicembre. L’iniziativa si dovrà collocare tra ottobre e novembre per evitare che nella seconda deliberazione si arrivi ai 2/3 dei votanti a favore della revisione dell’articolo 138, che significherebbe l’impossibilità di fare il referendum. Dobbiamo convincere tutti i deputati dal PD al PDL a non votare quel testo, a meno che già nella prima deliberazione della Camera non passi un emendamento al testo del Senato, dove è stato addirittura peggiorato il testo iniziale”.

Forse oggi, anche dopo la sentenza della Cassazione su Berlusconi, c’è la possibilità di riunificare le diverse forze che si oppongono a questo stravolgimento della costituzione
“Non credo che la condanna di Berlusconi possa aiutarla. Quelli che erano contrari alla Costituzione prima rimangono anche ora. A meno che la presenza di Berlusconi non condizionasse quelli del PDL  più di tanto. Qualcuno che crede nella costituzione dovrebbe aprioristicamente rifiutare un disegno che stravolge la procedura di riforma della costituzione stessa. L’articolo 138 prevede i procedimenti per l’approvazione delle leggi di revisione aventi però un contenuto omogeneo e specifico, se ne possono modificare anche 2 o 3 articoli. Invece, con questo procedimento, che loro stessi qualificano eccezionale, viene ipotizzata  la modifica di ben 69 articoli della Costituzione. E’ qualcosa di eversivo: si ipotizza una sorta di fase costituente, una fattispecie di Assemblea costituente. Di fatto questo Comitato per le riforme eserciterebbe un potere costituente, che non è però consentito dalla vigente Costituzione. Questo ddl 813 è stato presentato su iniziativa del governo. Ma il governo non ha un ruolo nella revisione costituzionale, perché non costituisce indirizzo politico della maggioranza. Questo implica delle distorsioni sul procedimento di revisione, perché viene intercettato da tutti altri indirizzi. La cosiddetta “pacificazione” tra centrodestra e centrosinistra non la si può fare a spese della Costituzione!”.

Ma perché dopo il referendum dell’altra volta, che ha bloccato la deriva berlusconiana e bossiana di stravolgere alcune parti della Costituzione, oggi una parte del centrosinistra sembra disponibile a questo disegno revisionista?
“Perché c’è di mezzo questa “pacificazione”, che si ipotizza dal Capo dello stato in giù. Ma non la si può fare a spese della Costituzione! Fino all’altra legislatura la nostra Costituzione veniva definita dal centrodestra “bolscevica”. Adesso tutti si sono trasformati in filo-costituzionali. La mia preoccupazione è che quando si supererà la fase derogatoria della procedura, prevista dall’articolo 138 della Costituzione, e si arriverà in ipotesi a votare le leggi costituzionali concernenti la modifica sostanziale della Costituzione, temo che gli “spiriti animali”  riprenderanno a ruggire di nuovo controla Costituzionestessa”.

Fonte: www.articolo21.org

venerdì 2 agosto 2013

Al Ministro della guerra dico questo

Apprendiamo dal Ministro della Difesa Mario Mauro che lo Stato ha già speso tre miliardi e mezzo “per adeguare” la portaerei Cavour ad accogliere i futuri F35, e per questo motivo non si può certo rinunciare al programma di acquisto.
Più che una notizia questo è un vero scoop, considerato il fatto che dal Parlamento si alzano voci di sdegno e di sconcerto. Pare, infatti, che deputati e senatori non ne sapessero nulla. Almeno non fino all’audizione al Senato di Mauro.
E allora io mi chiedo come sia possibile, e lo faccio ponendo al Ministro alcune semplici e direttedomande.
Sa, signor Ministro, la situazione in cui versano gli enti locali e conseguentemente le comunità amministrate? Ha una vaga idea del disagio sociale che attraversa il Paese da Nord a Sud in questo momento? Può sforzarsi di immaginare quante cose avremmo potuto fare con quei tre miliardi e mezzo di euro per rispondere alle esigenze delle famiglie?
Voglio raccontarle una storia, caro Ministro. Nel nostro comune siamo arrivati al paradosso di avere in cassa, disponibili, un milione e mezzo di euro. Che stanno lì a marcire per via di quello stramaledetto patto di stabilità che ci impedisce di usarli. Non possiamo pagare chi ha già fattoopere e interventi nel territorio e aspetta da mesi ciò che gli spetta. Non possiamo progettare un fico secco per il futuro. Non possiamo, nemmeno, intervenire per mantenere le opere, i servizi e le strutture utilizzate dai nostri cittadini.
Siamo fermi, paralizzati, e lei capisce bene che un Paese in queste condizioni non può andare avanti per molto tempo. La cosa che più ci indigna, di tutta questa faccenda, è che i vincoli che ci sputate addosso, dall’alto dei vostri palazzi romani, non valgono per voi.
Ci imponete sacrifici e tagli mentre voi vi permettete di calpestare la Costituzione e fare acquisti scellerati come quello degli F35. Non vi siete nemmeno presi la briga di inserire dei criteri di premialità per i comuni virtuosi.
Perché, veda, caro Ministro. Io sono d’accordo nel dire che a livello locale di sprechi ce ne sono stati e ce ne sono a volontà. E quindi ben venga il patto di stabilità e tutto il resto che ogni giorno ci imponete per ridurre la spesa pubblica (che nel frattempo continua a salire…). Abbiate però il coraggio di distinguere, e valorizzare con maggiori risorse, chi non getta denaro pubblico da chi imbroglia le carte.
La sua dichiarazione è uno schiaffo a tutti quei sindaci che ogni giorno fanno salti mortali per attivare una borsa lavoro, chiudere una buca in una strada, sostituire la lampada di un lampione bruciato da troppo tempo.
Se nessuno sarà in grado, democraticamente, di fermarvi per ciò che state facendo, abbiate almeno la decenza di tacere. La prossima volta.
Tratto dal blog di Marco Boschini su “Il Fatto Quotidiano

C’è poco da festeggiare. Solo la crisi abbatte lo smog italiano

La conferma arriva dal nuovo report ambientale dell’Istat: meno traffico rispetto all’anno nero dell’inquinamento (il 2011) e – buona notizia – più eco-automobili sulle strade. Ma al centronord tutte le grandi città sforano i limiti europei per le micidiali polveri sottili. Aumenta dell’1% il verde urbano

La crisi abbatte i consumi e, di riflesso, lo smog. Secondo i dati più recenti dell’Istat, in Italia scendono infatti la cattiva qualità dell’aria – con il nord che rimane comunque sotto la cappa delle polveri sottili – così come la densità del traffico, sia per la rinuncia a un mezzo proprio che per il caro-benzina.
Allo stesso tempo aumentano le auto attente all’ambiente e le città, comprese le big, guadagnano sempre più spazi verdi.
Pm 10: “solo” 52 giorni di sforamento – È insomma una fotografia a 360 gradi quella scattata dall’Istat nel nuovo report sui dati ambientali e la qualità dell’ambiente urbano del paese.
I numeri chiave. Scendono i giorni consentiti di sforamento oltre la soglia per l’inquinamento da pm 10: nel 2012 sono stati 52 contro i 59 del 2011 (anno nero dello smog) i capoluoghi dove si è andati oltre i 35 giorni critici. Ma al nord il problema rimane: qui sono i primi dieci comuni inquinati dalle polveri sottili, con le eccezioni Frosinone (seconda) e Siracusa (nona). Riescono invece a fare meglio il centro e il sud. Vanno bene i grandi comuni, dove i picchi diminuiscono quasi ovunque, a parte Bologna (più quattro giorni), Firenze (più dieci) e Napoli (più 24). Ma sotto il tetto dei 35 superamenti, tra le grandi città rimangono soltanto Genova, Bari, Messina e Catania, chiaramente agevolate dal clima e dalla ventilazione.
Le auto ecologiche superano quelle inquinanti – Tra le buone notizie c’è che il parco auto italiano è sempre più ecologico. La diffusione delle autovetture meno inquinanti nel 2012 ha per la prima volta superato quella delle più inquinanti.
In realtà, spiega l’Istat, complessivamente gli italiani sono meno motorizzati: l’anno passato il tasso di motorizzazione è risultato di circa 609 autovetture per mille abitanti, arrestando la crescita ininterrotta degli ultimi dieci anni. Diminuisce anche la domanda di trasporto pubblico (meno 7,4% rispetto all’anno 2011) con il parallelo aumento delle tariffe. La spiegazione principale, secondo il Codacons, si trova nella situazione economica: “È un chiaro indice della grave crisi in corso, insieme con la riduzione degli spostamenti”. Così, il miglioramento della qualità dell’aria sarebbe – secondo l’associazione dei consumatori – sarebbe dovuto principalmente alla riduzione dei veicoli in circolazione.
31,4 metri quadri di verde urbano a testa – Nota lieta, infine, è l’aumento del verde nelle città, anche se in minima percentuale: più 1% rispetto al 2011. Cosa che comunque consente a ciascun cittadino di avere a disposizione in media uno spazio di verde urbano pari a 31,4 metri quadrati.
Nel 2012 il verde urbano rappresenta il 2,8% del territorio dei comuni capoluogo di provincia, pari a oltre 570 milioni di metri quadrati. A elevato profilo green sono 16 comuni, ossia il 13,8% dei capoluoghi: sette in Lombardia (Como, Monza, Brescia, Pavia, Lodi, Cremona e Mantova), oltre a Prato, Matera e Reggio Calabria e sei grandi città come Genova, Trieste, Roma, Napoli, Palermo e Cagliari.

Scarica subito il rapporto ambientale dell’Istat!

LA NOTTE DEL PERMAFROST VIVENTE

DI MICKEY Z. 
World News Trust 

“In un mondo in cui i morti sono tornati in vita, la parola “guaio” perde molto del suo significato”
– Dennis Hopper 

Immaginate una minaccia globale letale, in agguato nelle profondità ghiacciate di una palude siberiana. Organismi viventi congelati per 30.000 anni stanno ora emergendo per minacciare tutta la vita sulla terra. 

Potrebbe suonare come una tipica serata da Netflix [società di noleggio DVD americana, n.d.t.], ma c’è il trucco: lo scioglimento del permafrost non è finzione e non andrà via a meno che non imponiamo grandi cambiamenti … adesso! 

Come riportava nel 2011 il New York Times, "gli esperti sanno da tempo che le terre del Nord sono un deposito di carbonio congelato, bloccato in forma di foglie, radici ed altri elementi organici intrappolati nel suolo ghiacciato – una miscela che, con il disgelo, può produrre metano e anidride carbonica, ovvero gas che trattengono il calore e riscaldano il pianeta. Tuttavia negli ultimi anni, essi sono rimasti scioccati nel rendersi conto della quantità di detriti organici presente”. 

Quanto? 

Si stima che la quantità di metano depositata nella sola palude dell’Ovest della Siberia equivalga ad un’emissione di 1,7 trilioni di tonnellate di CO2, il che supera la quantità di gas serra emessi dall’uomo negli ultimi 200 anni. 

Per vostra informazione: lo scioglimento del permafrost accade grazie al cambiamento climatico, alla cui creazione abbiamo tutti contribuito, oltre a consentirlo tacitamente alle aziende. 

“Alcuni scienziati si aspettano che l’oceano Artico sarà privo di ghiaccio estivo entro il 2020”, ha aggiunto il giornalista delThe Guardian John Vidal. “Il timore maggiore è che se i ghiacci si ritirano, il riscaldamento dell’acqua permetterà al permafrost in alto mare di rilasciare maggiori quantità di metano. Una grande riserva di questo gas serra, in forma di clatrato idrato nella piattaforma artica siberiana orientale, potrebbe essere emessa sia molto lentamente nel corso dei prossimi 50 anni, sia in maniera tragicamente rapida in un periodo di tempo minore”. 

La cosa ancora non vi interessa? 

Se no, permettetemi di presentarvi la scomoda verità per cui, come gas serra, il metano è 20-30 volte più potente del diossido di carbonio. Cosa c’entra questo con il cambiamento climatico? 

Altro dal The Times: “Quando la materia organica emerge da un profondo congelamento, essa viene consumata dai batteri. Se il materiale è ben areato, i batteri che respirano l’ossigeno si decompongono ed il carbonio si sprigionerà nell’aria come biossido di carbonio, il gas serra primario. Ma nelle aree in cui l’ossigeno è limitato, come il fondo di un lago o di una palude, un gruppo di batteri chiamati ‘metanogeni’ decomporranno la materia organica ed il carbonio verrà sprigionato sotto forma di metano”. 

Per vostra informazione: una volta iniziata la decomposizione (immaginate la musichetta porta sfortuna) NON PUÒ ESSERE FERMATA. 

Ciò che può essere fermato è il modo in cui gli umani scelgono di vivere come parte di un ecosistema definito. Una cultura basata sui carboni fossili, sullo sfruttamento degli animali e sul mantra della crescita senza fine (tra altri incubi) è condannata per definizione. Anche tutte le altre forme di vita sono messe in grave pericolo dall’ hybris e dalla cecità dell’uomo. 

Gli unici attori con un miope interesse nel mantenimento di questo status quo omicida/suicida sono coloro che guadagnano nel breve termine dei nostri enormi consumi … e della nostra indifferenza. 

Le aziende inquinano in quantità che superano di gran lunga il singolo individuo. Ad esempio, se ogni persona negli USA avesse fatto tutto quello che Al Gore aveva suggerito in Una Scomoda Verità, le emissioni di carbonio sarebbero scese solo del 22%. Intanto, la Exxon-Mobil, una compagnia con vendite annuali che superano il PIL di 120 Stati (più di 404 miliardi di dollari), emette ogni anno 138 milioni di tonnellate di CO2. 

Quindi, il percorso più breve e più efficace per affrontare il cambiamento climatico e quindi prevenire lo scioglimento del permafrost è scoprire, sfidare e demolire i più scellerati eco-criminali. 

Tuttavia, mentre ci impegniamo e ci organizziamo per raggiungere questo scopo, dobbiamo anche modificare il nostro stile di vita individuale e collettivo come se la nostra stessa esistenza fosse appesa ad un filo. (Notizia flash: lo è!) 

Non è troppo tardi per riscrivere il finale a questa storia dell’orrore … ma non possiamo sprecare altro tempo con neonati reali o scandali sessuali in politica. Non possiamo neanche perdere enormi quantità di rabbia e passione ostentando il nostro ego in dibattiti sulla semantica, sugli attivisti o sul ruolo degli anarchici in questo o quel gruppo. 

Utilizziamo invece il nostro poco tempo e la nostra energia per creare cambiamento – ora – nella vita di tutti i giorni, ad esempio smettere di mangiare carne, smettere di guidare la macchina, smettere di permettere alle aziende di dirci come vivere, relazioniamoci con gli altri ed attiviamoci! Questo sentiero non solo ci permetterà di aiutarci a ridimensionare il danno globale, ma ci insegnerà anche a superare la propaganda aziendale e quindi sfidare – e alla fine sconfiggere – il potere aziendale. 

Camus diceva: “La vera generosità nei confronti del futuro consiste nel dare tutto al presente”

Non ci sono svantaggi nel vivere la propria vita come se l’ambiente fosse al punto di non ritorno e come se noi ne avessimo tutta la colpa. Se lo facciamo, la nostra cultura potrebbe diventare meno violenta, la vita quotidiana potrebbe diventare più semplice, l’ecosistema avrebbe un po’ di tregua, i profitti aziendali precipiterebbero ed il permafrost resterebbe permafrost. 

A me suona come un enorme passo verso la vittoria … 

Mickey Z. (Michael Zezima ) è autore di 11 libri, il più recente è il romanzo Darker Shade of Green. Finchè le leggi non vengono cambiate o l’energia elettrica si esaurisce, può essere trovato in un oscuro sito chiamato Facebook

Fonte: worldnewstrust.com
Link: http://worldnewstrust.com/night-of-the-living-permafrost-mickey-z

30.07.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO

giovedì 1 agosto 2013

Federalismo, cronaca di un fallimento

Quante volte, in anni più o meno recenti, si è sentito il ritornello politico-elettorale “con il federalismo meno tassee più servizi”? Bene (si fa per dire), oggi sappiamo che l’avventura pluridecennale del federalismo si è risolta in un fallimento su tutti i fronti. E a dirlo non sono i soliti bastian contrari pronti a dare addosso a qualsivoglia proposta di matrice leghista. No, a dirlo sono i fatti perché il gettito locale, dal 1992 ad oggi, è più che quadruplicato.
Lo rivela un’analisi di Confcommercio, non proprio degli estremisti accecati dall’ideologia politica come spesso sono stati garbatamente rinominati in questi anni tutti quelli che si permettevano di insinuare dubbi circa l’efficacia del sistema fiscale di matrice federalista.
In questi vent’anni le imposte riconducibili alle amministrazioni locali sono cresciute da 18 a 108 miliardi. Ma quello che forse stupisce ancor più – e che dovrebbe far seriamente riflettere gli strenui difensori del federalismo fiscale e istituzionale – è che nel medesimo arco di tempo (dal 1992 al 2012) la spesa corrente dell’amministrazione centrale (lo Stato, per farla breve) è aumentata del 53% mentre quella di regioni, province e comuni del 126%: esattamente il doppio. E proprio per fronteggiare questo enorme aumento di spesa pubblica incontrollata si è assistito ad una esplosione del gettito derivante dalle imposte (dirette e indirette) a livello locale con un aumento di 500 punti percentuali in venti anni: un’enormità.
Risultato? Il processo di decentramento, continua lo studio, non ha portato a risparmi di spesa, ossia ad una maggiore efficienza della macchina amministrativa, anzi. Nell’ultimo decennio è quasi triplicata l’incidenza delle addizionali regionali e comunali sull’Irpef, imposta quantomeno ingiusta (se non a tratti incostituzionale) che comprime terribilmente il potenziale benessere dei lavoratori dipendenti, a loro volta vero motore dei consumi e dunque del reddito nazionale, pressoché fermo (guarda caso) già da almeno quindici anni prima dell’inizio della crisi del 2008.
E dal rapporto tra il gettito effettivo derivante dall’Irap, vera e propria pressa fiscale che grava sulla micro e piccola impresa, e dalle addizionali locali sull’Irpef (senza considerare quindi l’Imu), si registra come Campania e Lazio abbiano una pressione fiscale locale doppia rispetto a Trentino e Val d’Aosta. Insomma: uno degli obiettivi principali del federalismo fiscale, quello di mantenere inalterata la pressione fiscale a carico dei contribuenti di ogni Regione, è stato del tutto disatteso.
Ma il dato meramente economico-fiscale non esaurisce l’analisi circa il carattere fallimentare del federalismo per come è stato concepito in Italia. Si aggiunge, per forza di cose, un dato politico. Il federalismo in salsa italico-padana si è dimostrato un totale fallimento sul piano culturale, politico e strategico.
Culturale in quanto simbolo della possibilità (o necessità) di non affrontare le sfide del nuovo secolo sulla base di una concezione unitaria e solidaristica dell’Italia. Politico perché il federalismo è divenuto l’arma di una sempre più ignobile e infamante concezione delle istituzioni come comitati d’affari a scopo di lucro, con consigli regionali autonomi e dunque implicitamente legittimati a delinquere, a sottrarre risorse (non solo economiche) alla collettività pubblica.
E, infine, anche sul piano strategico perché è stato la rappresentazione plastica dell’ottusità (o complicità criminale, fate voi) di una parte politica (il centrodestra) che, avendo avuto – e avendo tutt’ora – pieno e diretto accesso ai canali del governo centrale, ha elevato il turpe e fallimentare neoliberismo thatcheriano a ideologia economico-strategica fondamentale; ha alimentato la criminalità a Nord e Sud; ha svenduto i diritti costituzionali delle lavoratrici e dei lavoratori; ha reso le istituzioni pubbliche luoghi di legittimazione del capitalismo politico-criminale che vede nella sempre più imperversante federalizzazione delle politiche pubbliche il metodo più adatto per la realizzazione plastica del malgoverno.
Peccato esserci arrivati con vent’anni di ritardo. Peccato non aver ascoltato chi, vent’anni fa, diceva con cognizione di causa che sarebbe accaduto esattamente questo: sempre più tasse, sempre meno servizi, sempre più malgestione pubblica. Sarebbe il caso di prenderne atto e, se non è chiedere troppo, iniziare subito uncambiamento radicale in termini di politiche pubbliche e federalismo (fiscale e non).

È ora di abolire il reato di clandestinità

La decisione di Famiglia Cristiana e del suo direttore, don Antonio Sciortino, di lanciare una campagna per l'abolizione del reato di clandestinità è una decisione coraggiosa che merita tutto il tuo e nostro sostegno operoso.

Non è un appello generico. E' una campagna civile, oltre che cristiana, che mira ad un obiettivo concreto: abolire il reato di clandestinità. Un reato crudele, scrive don Antonio Sciortino nell'appello che allego. Un reato istituito per raccogliere voti, che serve solo a scopi strumentali e demagogici. Anche se la strumentalizzazione va a incidere sulla carne degli uomini.

La campagna di Famiglia Cristiana deve diventare la campagna di tutte le donne e gli uomini che vogliono far vivere i valori iscritti nella nostra Costituzione e nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Per questo vi invito a firmare la petizione sul sito famigliacristiana.it e ad attivare la raccolta di firme tra i vostri aderenti e sul vostro territorio.

Per avere successo, per raggiungere questo obiettivo, è bene sottolinearlo, abbiamo bisogno di essere davvero in tanti.

30 luglio 2013