lunedì 25 giugno 2012

La malafede è una malattia curabile

A volte ripenso al ventennio non ancora finito (i ventenni possono durare anche cento anni) in cui gente che neanche in un bar di Busto Arsizio alle sette di mattina dove ci sono solo due mummie che ordinano bianchini, ha dominato, ha inquinato la scena civile con il tema dell’intolleranza nei confronti dei cittadini immigrati che sono, per fortuna, oggi, quasi sei milioni e sono, a ben guardare, la parte più sana di un Paese che ha un serio bisogno di accompagnamento medico.
In ognuno dei nostri condomini c’è un cittadino immigrato che presta il suo lavoro per assistere vecchi italiani, in ogni ospedale gli immigrati svolgono professioni fondamentali di assistenza di base, trovando spesso modelli di comunicazione con i pazienti, di pazienza, di ascolto, che è difficile ormai incontrare sulla piazza.
Ricordo, in epoca pre-elezioni francesi, di essere transitato per l’aeroporto di Parigi, che è quasi tutto movimentato da immigrati e figli di immigrati, da lavoratori che alle cinque si alzano e fanno muovere quel colosso di passeggeri mondiali: non mi sono stupito poi che Sarkozy abbia perso le elezioni, perché anche il mondo minerale capisce che le sue posizioni erano in malafede, elettorali, in ultima analisi, completamente sganciate dalla realtà. C’era quasi da ridere: su «Le Figaro» comparivano le farneticazioni xenofobe di Marine Le Pen (e di Sarkozy, disperato, al seguito) mentre la mia valigia, la mia colazione, la mia carta d’imbarco, forse il mio volo, tutto era accompagnato da capaci mani immigrate…
Più o meno la stessa cosa succede o può succedere da noi: solo un lobotomizzato in malafede può, oggi, se entra nella corsia di un ospedale (e gli farebbe granché bene) pronunciare ancora qualcosa contro gli immigrati, perché la realtà non è più dove costui la vede. La realtà lo ha sconfitto.
La bava del cittadino colpito da ictus viene raccolta sicuramente da mani immigrate.
Però bisognerebbe che la presa d’atto di questa realtà non rimanesse affidata alle sensibilità individuali, ai passi lenti, quando ancora certe leggi ci legano al passato: bisognerebbe che questo governo ossessionato dall’economia e dallo spread si applichi urgentemente su questi temi rompendo di netto con un passato che era frutto della mala fede. (Furio Jesi, studioso di miti, se fosse vivo forse direbbe che neanche i leghisti credevano alle loro ampolle, alle loro padanie sacre, poiché esse in realtà non esistono, ma erano “macchine mitologiche” fatte esclusivamente per suscitare consenso in menti addormentate).
Cioè quello che vorrei dire è che l’Italia che supera questo cancro è l’Italia che finalmente accetta di alimentarsi in modo diverso, che pensa diversamente, che prende atto della sua forza che è nella coscienza, nella speranza di vincere la malattia.
Vale anche per il prossimo governo: per esempio, invece di avere un ministero per lo sviluppo economico, che sia trasformato in ministero per l’immigrazione, perché sono sinonimi, e il secondo si occuperebbe di gente vera, di casi veri, di forze vere, e non di cantieri fantasma. Altrimenti sì, davvero, l’Italia del futuro sarà come una di quelle autostrade non terminate, con i piloni a terra, i ferri del calcestruzzo che escono dal cemento, e intorno solo desolazione.


di Alberto Riva E on line

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