mercoledì 27 giugno 2012

Pd-Udc, c'è chi dice no


A volte ritornano, verrebbe da dire, se non fosse che non se ne sono mai andati. Pier Ferdinando Casini e Massimo D'Alema, l'ex Dc e l'ex Pci, riuniti, nel ricordo di Enrico Berlinguer, per rinnovare il compromesso che fu.
IL RICORDO DI BERLINGUER. Il 25 giugno, il leader dell'Udc e l'ex presidente del Consiglio si sono ritrovati a Sassari per commemorare l'illustre segretario comunista. E proprio dalla città che diede i natali all'uomo del compromesso storico, Casini ha fatto sapere che il futuro dell'Italia post-Monti è nell'alleanza tra moderati e progressisti, Pd-Udc.
Squilli di tromba, bandiere in festa. In poche ore, mezza dirigenza democratica si è precipitata a dare il benvenuto al leader democristiano.
L'ABBRACCIO TRA BERSANI E CASINI. Un'alleanza con l'Udc «è nella logica delle cose», ha risposto il segretario Pier Luigi Bersani, cui hanno fatto immediatamente eco Dario Franceschini ed Enrico Letta che, con due interviste a La Repubblica e a Il Mattino, hanno ribadito la necessità, per la prossima legislatura, di dare al governo un'ampia maggioranza, che vada da Nichi Vendola a Casini.
In serata poi, lo stesso leader dell'Udc ha prima proposto un «governo politico dopo quello tecnico», per poi specificare: «Sì, ma nel 2013. Le elezioni in autunno sarebbero una follia. Le temo».

Scalfarotto: «Bersani applica al Partito la logica dei numeri»

Eppure la prospettiva ha creato non pochi malumori all'interno del Pd, soprattutto tra le nuove leve. Matteo Orfini, responsabile Cultura del Partito, si è subito affrettato a precisare che, senza Vendola, di Udc non si parla.
LA VOCAZIONE MAGGIORITARIA. Per il vicepresidente Ivan Scalfarotto, invece, l'errore è di metodo prima ancora che di merito. «Io ero rimasto alla vocazione maggioritaria del Pd», dice a Lettera43.it. «La distinzione tra moderati e progressisti mi fa sorridere: il Pd è nato proprio per tenerli insieme, altrimenti a cosa serve? Mi rifiuto di pensare, come fa Fassina, a un partito del lavoro subordinato».
«IL PRIMATO DELLA MATEMATICA ELETTORALE». L'ambizione di creare una forza politica simile al Partito democratico americano, spiega Scalfarotto, «capace di accogliere al suo interno le esperienze più diverse e risolvere le controversie attraverso lo strumento delle primarie», sembra però soccombere alla matematica elettorale: «Bersani applica al partito e al futuro la logica dei numeri, più siamo meglio è».
I CONTENUTI PRIMA DELLE ALLEANZE. «Il Pd deve convincere sulla base delle proprie idee, del progetto e della visione che ha del Paese, e su quella base aggregare consensi. Non parlare prima di alleanze e poi di contenuti».
Il rischio, altrimenti, è di allontanarsi ancora di più dal sentire e dai bisogni dei cittadini. «Parlare di alleanze significa non avere idea del dibattito in corso nel Paese che non è interessato a queste questioni. Così si che si alimenta il grillismo», continua Scalfarotto.
L'INSIDIA DELL'ANTI-POLITICA. «Bersani dice di non voler vincere sulle macerie», ricorda, «ma le macerie non sono solo economiche: governare con l'antipolitica al 20% significa governare su macerie istituzionali, e se il Pd continua a parlare di alleanze senza chiarire il suo progetto, rischia di far passare quel 20 al 30%».

Concia: «Non si possono sacrificare i diritti per la governabilità»

Già, il progetto. Ma quale? «Diciamo cosa vogliamo fare, per esempio, per le nomine nelle aziende pubbliche, sulla riduzione del numero dei parlamentari, sui costi della politica, sui diritti civili o sulla riforma del mercato del lavoro, e poi capiremo chi ci sta», incalza il vicepresidente. E a Enrico Letta, che ha parlato di «un grande patto costituente tra progressisti e moderati che escluda dal governo i populismi di Grillo, Berlusconi e Di Pietro», risponde: «La patente di antipopulisti non possiamo darcela da soli ma deve consegnarcela il Paese in base al programma non alle alleanze».
PRIMA I CONTENUTI, POI LE ALLEANZE. Una linea, quella di Scalfarotto, condivisa anche dalla deputata Paola Concia. «Mi sembra un po' surreale», ammette, «che si parli di alleanze prima ancora di dire cosa si intende fare. Sui diritti civili Casini ha le nostre stesse idee? Se è così, bene, non ho pregiudiziali nei suoi confronti, ma è di questo che dobbiamo discutere, non di altro».
LE DISTANZE CON CASINI. E proprio sui diritti civili iniziano i distinguo. «Casini ha bocciato la nostra proposta di legge su omofobia e transfobia», dice Concia, «e sa bene che con molti dirigenti di Sel e Idv stiamo lavorando a una serie di proposte per riconoscere i diritti delle coppie di fatto, delle famiglie monogenitoriali, che fanno e faranno parte del programma del Pd».
«RISCHIO DI SPACCATURA CONCRETO». Su questi temi, il Partito di Bersani «non può retrocedere». «Non si può sacrificare nulla sull'altare della governabilità, tantomeno i diritti civili e sociali». Se questa alleanza comportasse lo snaturamento del Pd, avverte la deputata, «il rischio di una spaccatura del Partito è più che concreto».

Serracchiani: «Nell'alleanza deve esserci anche Sel»

Plaude invece al dialogo ritrovato tra Casini e Bersani, Debora Serracchiani. «È una cosa a cui il Pd lavora da tempo», premette l'europarlamentare. «Certo, se non ci fosse l'impegno anche di Sel e di Vendola vorrebbe dire che il Pd non è riuscito a mettere insieme moderati e progressisti e a farsi perno di un nuovo centrosinistra». Ma se quell'impegno ci fosse, Serracchiani non vedrebbe alcuno snaturamento del Pd in un'alleanza con Udc e Sel.
LE RAGIONI DELLA REALPOLITIK. E la vocazione maggioritaria? Serracchiani risponde con le ragioni della Realpolitik. «Sappiamo che i nostri numeri non bastano. E poi non sono più i tempi dell'Unione. Sono stati fatti molti passi avanti all'interno delle forze che componevano quello schieramento, siamo nel pieno di una emergenza europea, c'è una consapevolezza diversa», spiega. «Credo che sia proprio questo il momento giusto per trovare quella sintesi tra diverse forze politiche che non riuscì a Prodi e per dare al Paese le risposte che attende da tempo. D' altra parte, il Pci e la Dc, insieme, fecero leggi come quella sul divorzio o sull'aborto. Non vedo perché non dovremmo riuscirci noi».
di Gabriella Colarusso

3 commenti:

  1. "Pd-Udc, c'è chi dice no" ma anche sì.

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  2. La questione fondamentale da porsi è che tra poco occorrerà' avere la possibilità di costruire una maggioranza intorno al Pd, cioè quell'asse tra progressisti e moderati necessario per dare stabilità all'unica prospettiva realistica per il Paese.
    Perché, al di là dei meriti di Monti, anche i cosiddetti mercati si interrogano sul futuro dell'Italia e quando vedono nei sondaggi che il secondo partito è Grillo, si chiedono con preoccupazione quali impegni l'Italia è davvero in grado di assumere.
    Occorre rendere evidente il progetto e al tempo stesso l'asse politico che può sostenerlo.
    Ribadisco, questa e' l'esigenza primaria.
    Questo vuol dire evitare di ripercorrere un sistema di alleanze ad ogni costo.
    Un centrosinistra di governo aperto a un patto di legislatura con forze democratiche e civiche moderate alle quali si chiede un accordo di governabilità e una parziale cessione di sovranità che in caso di controversie fondamentali, i gruppi parlamentari decideranno a maggioranza.

    Saluti
    Ivan

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  3. Il Pd c'è e propone, su base programmatica condivisa, un'alleanza tra progressisti (centrosinistra) e moderati (forze politiche e civiche di centro) per una legislatura di riforme e di ricostruzione dell'Italia.
    Per il centrosinistra si prospetta l'ipotesi di una "Carta d'intenti" quale base comune su cui fondare la scelta del candidato premier attraverso le primarie aperte proposte da Bersani.
    Per l'alleanza politica e di governo di legislatura tra progressisti e moderati Casini ha battuto un colpo. Dunque può esserci. Anche se non partecipa alle primarie. Quel che conta è il programma riformatore da condividere.
    Vendola dice: "o Di Pietro c'è o non se ne fa niente". Errore.
    O Di Pietro la smette di attaccare in continuazione e scompostamente il Governo, il Presidente della Repubblica e il Pd, oppure, obiettivamente, non può esserci. E Vendola non può e non deve, a mio avviso, sacrificare gli obiettivi politici di SEL e il destino dell'Italia per voler agitare a tutti i costi la foto di Vasto. Deve decidere in proprio. E farlo apertamente. Enunciando con chiarezza le proprie priorità programmatiche da confrontare con la Carta d'intenti del Pd e rinunciando a mettere veti o a dettare ultimatum.
    Su queste basi, dopo i necessari passaggi, l'alleanza progressisti-moderati potrà affermarsi elettoralmente e governare per cinque anni il Paese.

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