mercoledì 18 gennaio 2012

Sicilia, uno sguardo oltre i forconi


Stella Spinelli (eilmensile)
La Sicilia da ieri è teatro di una mobilitazione che sta coinvolgendo agricoltori, pescatori, edili, disoccupati, artigiani e autotrasportatori (Aias) impegnati a dire basta all’indifferenza dei politici per le sorti dell’isola. Sono le “Cinque giornate di Sicilia” improntate su manifestazioni nei punti cruciali di autostrade e svincoli, in modo da bloccare la regione e impedire l’uscita e l’entrata di qualsiasi prodotto. Una protesta che si sta rivelando efficace, grazie anche allo stop totale della circolazione di camion e mezzi pesanti in tutta la Sicilia. A organizzarla, una cordata chiamatasi Forza d’urto, il Movimento agricolo dei Forconi e gruppi spontanei, espressione di un malcontento reale, che in molti, sin da subito, stanno tentando di strumentalizzare. È il caso di Forza Nuova e delle correnti della destra estrema, che in vari modi hanno appoggiato la manifestazione. Eppure, in tutte le occasioni, manifestanti e organizzatori hanno precisato di rifiutare ogni etichetta e di respingere chiunque si presenti con qualche bandiera. Dov’è la verità? Ce lo spiega Vito Lo Monaco, presidente del Centro Studi Pio La Torre di Palermo.
Questo tipo di manifestazioni che si ripetono ciclicamente nei momenti di crisi sono politicamente strumentalizzabili, ma sono espressione di un malcontento reale. A provocarlo più fattori. Innanzitutto, la profonda crisi strutturale dell’economia agricola siciliana, fondata sulle medie e piccole aziende ormai non più protette né dalle politiche comunitarie – dirette verso le imprese medio-grandi – né dalle politiche statali e regionali, ridotte nella loro possibilità di intervento.
A questo si aggiunge la debolezza, anch’essa strutturale, del tessuto agroalimentare siciliano nel collegamento con il mercato globalizzato. E questo è un fatto storico non recente e di difficile soluzione visto che sono venute meno le forze che avrebbero dovuto promuovere questo tipo di aggregazione. Parlo delle associazioni, del movimento cooperativo e delle altre organizzazioni professionali, che nella loro politica generale si sono profondamente indebolite. A dimostrarlo il fatto che nelle scelte di politica economica anti-crisi la questione agricola viene solo sfiorata.
Da qui questa protesta?
Certo. La tensione sociale, il malcontento, sono ormai così profondi che la gente si auto-organizza anche su basi elementari, che alle volte sembrano anche corporative, e che cedono all’antipolitica. Contro tutto e tutti, diventando così anche facile preda dell’antipolitica cosciente.
Il punto è che in Sicilia c’è una profonda debolezza politica del movimento agricolo organizzato, che non riesce a diventare il tramite di questo malcontento. Quindi questa gente, da sempre combattiva, alla fine esplode. Ed esplode in questo tipo di movimenti. Un po’ come i pastori sardi, ai quali si collegano con il Movimento dei Forconi. Hanno queste forme di qualunquismo associate però a un’esasperazione sociale vera. La gente è veramente in crisi. Girando per i campi della Sicilia è ben visibile come si sia ridotta la superficie seminativa, e come siano entrate in crisi le serre, che costituivano il settore più avanzato dell’agricoltura siciliana, ossia l’ortofrutta, un settore fondamentale dal quale dipende la maggioranza delle famiglie, che ora è sull’orlo del disastro. Tutto questo, senza una politica che almeno tenti di rispondere a questa emergenza, e senza strumenti di aggregazione, dà come risultato l’esplosione. Siamo di fronte a una crisi d’identità delle organizzazioni rappresentative e a una crisi d’identità del tessuto sociale, che unite non si sa dove vanno a parare.
Ma a discredito del Movimento dei Forconi c’è anche l’episodio che lo lega a Vittorio Sgarbi e alla sua invettiva contro le terre espropriate alla mafie e consegnate alle cooperative sociali come quelle gestite da Libera di Don Ciotti. Sgarbi ha gridato a favore del fatto che la terra, invece, torni ai contadini siciliani e non alle cooperative sociali. Che ne pensa?
Penso che Sgarbi sia un populista da strapazzo e che questo episodio dimostri lo spessore della strumentalizzazione politica a cui questo movimento è sottoposto. Innanzitutto la terra gestita dalle cooperative sociali organizzate da Libera è tornata in mano a gente che la sta lavorando. Si tratta soprattutto di giovani contadini siciliani che si stanno cimentando in un’attività nuova per loro, ridando vita a terre che la malavita aveva sottratto attraverso traffici illeciti. Il fatto che Sgarbi se ne esca dicendo ‘Ridiamo la terra ai contadini’ come se fossimo di fronte ai contadini del 1945 senza terra è anacronistico e assurdo. Il problema degli agricoltori in Sicilia non è la mancanza di terra da coltivare, è il controllo del mercato, è la presenza sul mercato. Hanno bisogno di capitale e di innovazione tecnologica, che nessuno fornisce loro, perché le politiche agroalimentari e agroindustruiali non sono rivolte a loro. Sgombriamo questo movimento frutto del malcontento dalle sovrastrutture politiche e culturali di strumentalizzazione e ascoltiamolo, perché il dato di fatto resta ed è la sofferenza reale della gente che nessuno, né i partiti, né le organizzazioni professionali riescono a capire e a organizzare dandole uno sbocco positivo.
E la mafia, in tutto questo, dove si pone?
In tutti i segmenti dove c’è ricchezza.  Il compito della mafia è impadronirsi della ricchezza in modo illecito e trasferirla nelle aree dove più conviene. Gli investimenti mafiosi non sono infatti più sui terreni agricoli siciliani, ma sono nel capitale finanziario o nelle grandi città come Milano, o all’estero. Proprio come fanno i camorristi e la ‘ndrangheta.

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