Il commissario europeo per l’ambiente, Janez Potočnik, ha messo in allerta l’Europa per l’eccessivo sfruttamento e lo spreco di risorse, in particolare di energia e materie prime. Il rischio è una nuova e più dura recessione. Ma la crisi attuale non è già frutto dello stridente contrasto tra il credo della crescita del Pil e le risorse finite del pianeta?
Nei giorni scorsi è stata trascurata, soprattutto nel nostro paese, una notizia di un certo interesse. Il commissario europeo per l’ambiente, il polacco Janez Potočnik, ha messo in allerta l’Europa per l’eccessivo sfruttamento e lo spreco di risorse, in particolare di energia e materie prime, perché, ha spiegato, potrebbe essere questa la miccia per una nuova e più durarecessione.
La scarsità di queste risorse potrà spingere i prezzi ancora più in alto e ridurre gli standard di vita degli europei. “Semplicemente, non abbiano scelta – ha detto Potočnik – dobbiamo usare con più efficienza quello che abbiamo o avremo problemi di competitività; ‘efficienza’ deve essere la parola chiave per rendere competitive le imprese europee”.
Potremmo dire che finalmente anche dalla componente ambientale della Commissione Europea arriva l'allarme: le nostre abitudini di consumo e di produzione delle risorse dovranno cambiare radicalmente, pena una nuova crisi o l’inasprimento di quella che stiamo vivendo. Un problema sempre trascurato dagli economisti e dalla politica.
Si capisce chiaramente dalle dichiarazione di Potočnik che c’è un forte timore che i nostri sistemi economici avranno enormi difficoltà a portare avanti il credo, la bibbia, dei nostri tempi: la crescita.
Ci troviamo di fronte a una coperta corta: il Pil non può crescere sempre e in tutti i paesi, così come accadeva quando le risorse erano a buon mercato. Oggi la pressione della domanda cinese e di altri paesi emergenti sulle materie prime sta mettendo sotto scacco il modello globale di sviluppo, prima riservato al club dei paesi di vecchia industrializzazione.
Si parla sempre più insistentemente delle cosiddette “terre rare”: rischiano di diventare scarsi molti materiali necessari per i nuovi prodotti hi-tech, incluse batterie e componenti per gli impianti a fonti rinnovabili, cioè anche quelli legati alle speranze di sviluppo dellagreen economy. Le terre rare almeno per un terzo sono sotto il controllo del gigante asiatico, che le va ad accaparrare anche fuori dai suoi confini.
Consumare risorse tuttavia incide pesantemente sull’ambiente e il segnale più significativo ce lo forniscono le statistiche sull’aumento della CO2 in atmosfera: dal 1990 al 2010 le emissioni mondiali sono cresciute del 45%, raggiungendo quota 33 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. E uno scenario di crescita business as usualcomporterebbe un aumento certo della temperatura di 6 gradi a fine secolo. A dirlo non sono gli ambientalisti, ma il capo economista della IEA, Fatih Birol. Per il resto tutti gli impegni presi dai diversi paesi restano possibili, ma sulla carta, e comunque non sufficienti.
L’uscita del commissionario europeo è importante anche perché insolita per un’economista, quale lui è. Addirittura parla dell’annosa questione dei nostri sistemi dicontabilità relativi agli impatti dell’utilizzo delle risorse. Potočnik chiede con forza che questi costi vengano finalmente internalizzati. Ma lo potrà fare solo la vecchia Europa?
Quello che però stride in tutto questo ragionamento è che forse dentro una recessione ci siamo già. Questa non è solamente una crisi economica-finanziaria, o, come sostengono alcuni, solo legata ad una moneta, come l’euro. Questa non è solo una semplice crisi, ma forse una crisi più profonda, quasi sistemica, che abbraccia, anzi è l’effetto, di una profonda pressione sulle risorse ambientali ed energetiche. Diciamo qualcosa di ovvio: in fin dei conti la crescita, come la intendono i teorici, dovrebbe essere fondata sulle risorse ambientali, minerarie ed energetiche, quindi si basa su elementi materiali, e non su un incremento indiscriminato dei prodotti della finanza. Provate voi a spiegare alla maggioranza degli economisti (o politici), anche quelli meno conservatori, lo stretto legame tra Pil e risorse finite del Pianeta. Personalmente ci ho provato più volte. Fiato sprecato. Si parlano linguaggi differenti. La tesi è che passata la burrasca si possa tornare sui trend degli ultimi decenni.
Ci sono delle eccezioni per fortuna. L’economista britannico Tim Jackson nel libro “Prosperità senza crescita” si chiede: “E’ già impossibile immaginare un mondo in cui le cose andranno semplicemente avanti come prima. Ma che dire di un mondo in cui 9 miliardi di persone possano raggiungere livelli di ricchezza e abbondanza attesi per nazioni dell’OCSE? Ci sarebbe bisogno di un’economia pari a 15 volte quella attuale (75 volte quella del 1950) entro il 2050, e pari a 40 volte quella attuale entro la fine del secolo. A cosa può avvicinarsi un’economia del genere? Offre davvero una visione realistica di prosperità condivisa e duratura? Nella maggior parte dei casi evitiamo di guardare in faccia la dura realtà di questi dati …”.
Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani nel loro libro “Energy for a Sustainable World” spiegano come ogni secondo l’umanità consuma quasi 1000 barili di petrolio, 93mila m3 di gas naturale e 221 tonnellate di carbone. Mantenere questi livelli di utilizzo delle risorse energetiche al 2050 significherebbe costruire ogni giorno circa tre centrali a carbone due centrali nucleari o 10 kmq di pannelli fotovoltaici. Impossibile!
Nel lucido ultimo libro di Lester Brown, “Un mondo al bivio” (Edizioni Ambiente), con la bella prefazione di Gianfranco Bologna, si parla di collasso ambientale ed economico e di quali risposte servono per affrontare un declino che sembra inevitabile.
Brown apre il suo libro, citando John Beddington, il principale consulente scientifico del governo inglese, che nel 2009 affermò che entro il 2030 il mondo si troverà ad affrontare una ‘tempesta perfetta’ caratterizzata da carenze di cibo, acqua e da un elevato prezzo del petrolio che farà accelerare la crisi ambientale e provocherà agitazioni di massa. Altri hanno avvicinato nel tempo questa data. Ma se ci guardiamo intorno le avvisaglie già oggi sono tante. Sarebbe utile rivedere con attenzione, più che ai numeri, ai principi presentati 40 anni fa nello studio “I limiti della crescita” del Club di Roma.
Richard Heinberg del Post Carbon Institute afferma che la crescita è finita. Non è possibile pensare ad una crescita infinita e che prosegua nel tempo. Solo il credito facile e quindi il reiterato debito pubblico ci ha fatto illudere che questa fosse il sole che mai poteva spegnersi. Ma il debito non può essere scollato dalle risorse naturali che se decrescono portano a far scoppiare la bolla. L’unica salvezza – dice Heinberg - è quella di iniziare a fare meno e in maniera differente, utilizzando sempre meno combustibili fossili. Pensare di progettare le nostre comunità senza l’assillo della crescita si può fare.
Lester Brown propone di adattare la vita umana alla capacità di rigenerazione dei sistemi biologici della Terra e ai limiti delle risorse rinnovabili, cosa che richiederà unanuova etica sociale. In estrema sintesi bisognerà adeguare le aspirazioni degli uomini alle risorse disponibili e quindi è fondamentale fermare subito il deterioramento del rapporto dell’uomo con la natura.
L’economia, con buona pace di Marx, è solo una sovrastruttura. Per un sito di informazione come il nostro, che vuole raccontare quale potrebbe essere il sistema energetico e quindi la società del futuro, affrontare questa complessa e primaria questione della crescita e della limitatezza delle risorse deve essere una necessità, un nodo gordiano, ed è per questo che cercheremo di offrire ai nostri lettori più chiavi di lettura intorno a questo tema.
Leonardo Berlen Qualenergia
11 gennaio 2012
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