di Luca Barbirati - www.decrescita.com.
É uscito da qualche giorno il nuovo saggio di Serge Latouche, eco-intellettuale francese, il quale prende in esame i malintesi e le controversie originate sul tema della decrescita. Edito da Bollati Boringhieri, s’intitola “Per un’abbondanza frugale”. Nell’introduzione, spiega Latouche, il titolo “abbondanza frugale” è definito come: orizzonte di senso per una fuoriuscita dalla società dei consumi, ma anche un obiettivo politico a breve termine da opporre alle pseudoterapie neoliberali o keynesiane nella situazione attuale di depressione repressiva.
Cerco, attenendomi al testo, di sintetizzare gli argomenti (limitatamente ai malintesi) trattati, rimandando al sopracitato volume ogni approfondimento e/o chiarimento.
La decrescita è crescita negativa?
Per i non partigiani della decrescita questo concetto fa rabbrividire al solo sentire ed indica la diminuzione dell’indice feticcio delle società della crescita: il PIL. Indica recessione, depressione, declino, crollo di una economia; non esiste scenario peggiore della mancanza di crescita in una società produttivista. Tale indice deve essere tenuto distinto dal programma cultural-politico della decrescita, che presuppone, invece, la fuoriuscita stessa dal produttivismo. La decrescita è un programma, di austerità volontaria, avviato nel momento in cui l’iperconsumo rischia di farci cadere nell’obesità. Non è crescita negativa, è il superamento dell’idea - illusoria - della crescita.
… è stato stazionario?
La tesi, economica classica, sottesa è quella dei rendimenti decrescenti, che portano inevitabilmente al blocco dell’accumulazione e all’avvento di uno stato stazionario. Se i principali economisti classici (Smith, Malthus, Ricardo) la considerano come una condanna alla sopravvivenza ed alla miseria, di ben altra opinione è John Stuart Mill, che intravede l’etica di una società, liberata dall’ossessione della crescita, dedita all’educazione di massa e all’elevazione della cultura. I classici rendimenti decrescenti altro non sono che la finitezza della natura, l’esaurimento delle risorse, il limite del Pianeta (Club di Roma); pertanto l’etica dello Stato Stazionario è un modello non molto lontano dalla frugalità gioiosa proposta dagli obiettori di crescita (Illich, Gorz).
… è tecnofoba?
Gli obiettori di crescita non si oppongono ciecamente al progresso, ma è vero che si oppongono al progresso cieco. La decrescita mette in discussione la fede irrazionale nella scienza prometeica e l’onnipotenza della tecnica. La decrescita si oppone all’ideologia transumanista di Kurzweil dato che la fede irrazionale nella razionalità porta al delirio della ragione. Il problema fondamentale è la fede dell’uomo medio in una qualche entità, sia essa divina, mitica, superumana o transumana, che riporti il problema alla normalità, perdendo la definizione stessa di uomo libero e responsabile di fronte alle proprie azioni. Considerando che la ricerca, oggi, è organizzata al fine di ridurre gli ostacoli nei processi della produzione, per aumentare lo sfruttamento delle risorse, la società decrescente metterà al controllo della società tali illusioni.
… è ritorno all’età della pietra?
Spesso viene tacciata di antimodernismo, lo stesso Massimo Fini ha pubblicato il Manifesto per l’Antimodernità; ma l’età della pietra è poi così male? Stando agli studi di Paul Goodman, Marshall Sahlins e John Zerzan, i primitivi dovevano passarsela piuttosto bene: due ore di lavoro per giorno e il rimanente tra svago e giochi. Dopo questa provocazione Latouche ribadisce che il progetto della decrescita non è un passo indietro, piuttosto un passo di lato, per abbandonare la strada che ci sta portando alla catastrofe. Essere progressisti è arrivare sempre in ritardo sulla cattiva strada.
… è localismo?
Non si nasconde l’evidenza. La volontà di ridurre l’impronta ecologica passa in primo luogo per una profonda rilocalizzazione. Si smantellerà la grande distribuzione e si tornerà a coltivare il proprio orto (anche sui balconi), cuocere il proprio pane, fare lo yogurt, …, riscoprendo il piacere e la soddisfazione della semplicità delle piccole cose. [vedasi ad esempio i consigli di Marta Albè, NdA]. Occorre riterritorializzare l’intera vita, e per farlo – non è tabù – si può seguire la struttura piramidale delle democrazie locali su base bioregionale, ossia regioni naturali dove l’allevamento, le piante, gli animali, le acque e gli uomini formano un insieme relativamente coerente.
… è comunitarismo?
L’inizio è imperativo, Latouche cita Cochet: Non possiamo più sognare un “mondo comune” continentale o planetario come quello a cui aspirava Hannah Arendt cinquant’anni fa. Bisogna però star attenti che la concezione della eco – o bio – regione non si fonda sulla razza e il sangue ma sull’adesione, vissuta o scelta, a un luogo di vita. La decrescita è reinquadramento dell’economia nel sociale, reintroduzione della solidarietà e reciprocità orizzontale, non gerarchia a senso unico. L’autentico individualismo è plausibile come superamento della massificazione. La persona adulta costruisce riconoscendo in modo critico le sue appartenenze e affiliazioni; se un superamento della logica individuo-comunità non fosse possibile, allora non resterebbe altro che aspettare passivamente l’apocalisse ecologica.
… è disoccupazione?
Riduzione del PIL equivale a depressione economica e disoccupazione, lo scenario peggiore in una società produttivista del ben-avere. La società decrescente non si pone il problema dell’indice PIL, superandolo. Il primo obiettivo è una riduzione massiccia dell’orario di lavoro, moltiplicando così i posti occorrenti (si provi a immaginare turni da 4 ore, o anche meno). Per raggiungere l’obiettivo dell’affrancazione dal lavoro occorre una transizione disintossicatoria, nella quale – non è un mistero – non è detto che si blocchi subitamente la crescita; ad esempio per una riconversione sociale occorrerà molto lavoro in alcuni settori:
assistenza sociale
insegnamento
deindustrializzazione agricola
rilocalizzazione industriale
riconversione ecologica
ristrutturazione termina degli edifici
energie alternative (solare ed eolico)
artigianato
riciclaggio dei prodotti
riparazioni e trasformazioni
Sarà organizzata una società di transizione non senza traumi – è vero – verso una società in cui il lavoro sarà abolito in quanto significazione immaginaria centrale.
… è democrazia?
I problemi continuano ad essere linguistici. Attualmente non stiamo vivendo in una democrazia; attualmente il contenuto democratico (responsabilità e coscienza politica del cittadino) è offuscato dall’asservimento cerebrale alle lobbies del marketing multinazionale. Viviamo – non è una novità – in una postdemocrazia, ossia una democrazia caricaturale, priva di contenuto effettivo (l’impossibilità di scegliere i propri rappresentanti, il non rispetto dei referendum cittadini, governi tecnici ecc ecc). La decrescita ha come obiettivo la rifondazione della democrazia attraverso la decolonizzazione dell’immaginario produttivista ed attraverso la pratica di comportamenti virtuosi, approdando a ciò che si può chiamare Democrazia Ecologica. È imperativo l’evoluzione della mentalità; ma se l’uomo non riuscirà ad essere responsabile e capace di gestire la sua libertà, ci penseranno o il realismo-pedagogico o l’insorgenza di aggregazioni neofasciste (peraltro già in movimento).
… è destra o sinistra?
La decrescita non è soltanto contro il capitalismo, è antiproduttivista, ossia anche contro l’ideologia del socialismo scientifico che ha in sé l’immaginario capitalista ed allo sfruttamento dei padroni sostituisce la dittatura del proletariato, senza porsi il problema dell’ambiente naturale. La decrescita può essere espressa con un’ideologia eco-socialista. Lo slogan dei movimenti di contestazione indigeni amerindi è appropriato: “Non c’è giustizia sociale senza giustizia ecologica”.
La decrescita non è comunque prerogativa della sinistra, anche perché – paradossalmente – il capitalismo è avanzato negli ultimi decenni grazie alle socialdemocrazie finto-sinistroidi. La decrescita è stata studiata, sviluppata e proposta da movimenti marxisti ortodossi, anarchici, antimoderni, consiliaristi, situazionisti, e non meno da eco-fascisti (vedi Alain de Benoist).
La decrescita è il riflusso di un torrente straripato. Siccome il fiume dell’economia è uscito dagli argini, è quanto mai auspicabile che vi rientri.
Fonte: http://www.decrescita.com/news/?p=1328.
É uscito da qualche giorno il nuovo saggio di Serge Latouche, eco-intellettuale francese, il quale prende in esame i malintesi e le controversie originate sul tema della decrescita. Edito da Bollati Boringhieri, s’intitola “Per un’abbondanza frugale”. Nell’introduzione, spiega Latouche, il titolo “abbondanza frugale” è definito come: orizzonte di senso per una fuoriuscita dalla società dei consumi, ma anche un obiettivo politico a breve termine da opporre alle pseudoterapie neoliberali o keynesiane nella situazione attuale di depressione repressiva.
Cerco, attenendomi al testo, di sintetizzare gli argomenti (limitatamente ai malintesi) trattati, rimandando al sopracitato volume ogni approfondimento e/o chiarimento.
La decrescita è crescita negativa?
Per i non partigiani della decrescita questo concetto fa rabbrividire al solo sentire ed indica la diminuzione dell’indice feticcio delle società della crescita: il PIL. Indica recessione, depressione, declino, crollo di una economia; non esiste scenario peggiore della mancanza di crescita in una società produttivista. Tale indice deve essere tenuto distinto dal programma cultural-politico della decrescita, che presuppone, invece, la fuoriuscita stessa dal produttivismo. La decrescita è un programma, di austerità volontaria, avviato nel momento in cui l’iperconsumo rischia di farci cadere nell’obesità. Non è crescita negativa, è il superamento dell’idea - illusoria - della crescita.
… è stato stazionario?
La tesi, economica classica, sottesa è quella dei rendimenti decrescenti, che portano inevitabilmente al blocco dell’accumulazione e all’avvento di uno stato stazionario. Se i principali economisti classici (Smith, Malthus, Ricardo) la considerano come una condanna alla sopravvivenza ed alla miseria, di ben altra opinione è John Stuart Mill, che intravede l’etica di una società, liberata dall’ossessione della crescita, dedita all’educazione di massa e all’elevazione della cultura. I classici rendimenti decrescenti altro non sono che la finitezza della natura, l’esaurimento delle risorse, il limite del Pianeta (Club di Roma); pertanto l’etica dello Stato Stazionario è un modello non molto lontano dalla frugalità gioiosa proposta dagli obiettori di crescita (Illich, Gorz).
… è tecnofoba?
Gli obiettori di crescita non si oppongono ciecamente al progresso, ma è vero che si oppongono al progresso cieco. La decrescita mette in discussione la fede irrazionale nella scienza prometeica e l’onnipotenza della tecnica. La decrescita si oppone all’ideologia transumanista di Kurzweil dato che la fede irrazionale nella razionalità porta al delirio della ragione. Il problema fondamentale è la fede dell’uomo medio in una qualche entità, sia essa divina, mitica, superumana o transumana, che riporti il problema alla normalità, perdendo la definizione stessa di uomo libero e responsabile di fronte alle proprie azioni. Considerando che la ricerca, oggi, è organizzata al fine di ridurre gli ostacoli nei processi della produzione, per aumentare lo sfruttamento delle risorse, la società decrescente metterà al controllo della società tali illusioni.
… è ritorno all’età della pietra?
Spesso viene tacciata di antimodernismo, lo stesso Massimo Fini ha pubblicato il Manifesto per l’Antimodernità; ma l’età della pietra è poi così male? Stando agli studi di Paul Goodman, Marshall Sahlins e John Zerzan, i primitivi dovevano passarsela piuttosto bene: due ore di lavoro per giorno e il rimanente tra svago e giochi. Dopo questa provocazione Latouche ribadisce che il progetto della decrescita non è un passo indietro, piuttosto un passo di lato, per abbandonare la strada che ci sta portando alla catastrofe. Essere progressisti è arrivare sempre in ritardo sulla cattiva strada.
… è localismo?
Non si nasconde l’evidenza. La volontà di ridurre l’impronta ecologica passa in primo luogo per una profonda rilocalizzazione. Si smantellerà la grande distribuzione e si tornerà a coltivare il proprio orto (anche sui balconi), cuocere il proprio pane, fare lo yogurt, …, riscoprendo il piacere e la soddisfazione della semplicità delle piccole cose. [vedasi ad esempio i consigli di Marta Albè, NdA]. Occorre riterritorializzare l’intera vita, e per farlo – non è tabù – si può seguire la struttura piramidale delle democrazie locali su base bioregionale, ossia regioni naturali dove l’allevamento, le piante, gli animali, le acque e gli uomini formano un insieme relativamente coerente.
… è comunitarismo?
L’inizio è imperativo, Latouche cita Cochet: Non possiamo più sognare un “mondo comune” continentale o planetario come quello a cui aspirava Hannah Arendt cinquant’anni fa. Bisogna però star attenti che la concezione della eco – o bio – regione non si fonda sulla razza e il sangue ma sull’adesione, vissuta o scelta, a un luogo di vita. La decrescita è reinquadramento dell’economia nel sociale, reintroduzione della solidarietà e reciprocità orizzontale, non gerarchia a senso unico. L’autentico individualismo è plausibile come superamento della massificazione. La persona adulta costruisce riconoscendo in modo critico le sue appartenenze e affiliazioni; se un superamento della logica individuo-comunità non fosse possibile, allora non resterebbe altro che aspettare passivamente l’apocalisse ecologica.
… è disoccupazione?
Riduzione del PIL equivale a depressione economica e disoccupazione, lo scenario peggiore in una società produttivista del ben-avere. La società decrescente non si pone il problema dell’indice PIL, superandolo. Il primo obiettivo è una riduzione massiccia dell’orario di lavoro, moltiplicando così i posti occorrenti (si provi a immaginare turni da 4 ore, o anche meno). Per raggiungere l’obiettivo dell’affrancazione dal lavoro occorre una transizione disintossicatoria, nella quale – non è un mistero – non è detto che si blocchi subitamente la crescita; ad esempio per una riconversione sociale occorrerà molto lavoro in alcuni settori:
assistenza sociale
insegnamento
deindustrializzazione agricola
rilocalizzazione industriale
riconversione ecologica
ristrutturazione termina degli edifici
energie alternative (solare ed eolico)
artigianato
riciclaggio dei prodotti
riparazioni e trasformazioni
Sarà organizzata una società di transizione non senza traumi – è vero – verso una società in cui il lavoro sarà abolito in quanto significazione immaginaria centrale.
… è democrazia?
I problemi continuano ad essere linguistici. Attualmente non stiamo vivendo in una democrazia; attualmente il contenuto democratico (responsabilità e coscienza politica del cittadino) è offuscato dall’asservimento cerebrale alle lobbies del marketing multinazionale. Viviamo – non è una novità – in una postdemocrazia, ossia una democrazia caricaturale, priva di contenuto effettivo (l’impossibilità di scegliere i propri rappresentanti, il non rispetto dei referendum cittadini, governi tecnici ecc ecc). La decrescita ha come obiettivo la rifondazione della democrazia attraverso la decolonizzazione dell’immaginario produttivista ed attraverso la pratica di comportamenti virtuosi, approdando a ciò che si può chiamare Democrazia Ecologica. È imperativo l’evoluzione della mentalità; ma se l’uomo non riuscirà ad essere responsabile e capace di gestire la sua libertà, ci penseranno o il realismo-pedagogico o l’insorgenza di aggregazioni neofasciste (peraltro già in movimento).
… è destra o sinistra?
La decrescita non è soltanto contro il capitalismo, è antiproduttivista, ossia anche contro l’ideologia del socialismo scientifico che ha in sé l’immaginario capitalista ed allo sfruttamento dei padroni sostituisce la dittatura del proletariato, senza porsi il problema dell’ambiente naturale. La decrescita può essere espressa con un’ideologia eco-socialista. Lo slogan dei movimenti di contestazione indigeni amerindi è appropriato: “Non c’è giustizia sociale senza giustizia ecologica”.
La decrescita non è comunque prerogativa della sinistra, anche perché – paradossalmente – il capitalismo è avanzato negli ultimi decenni grazie alle socialdemocrazie finto-sinistroidi. La decrescita è stata studiata, sviluppata e proposta da movimenti marxisti ortodossi, anarchici, antimoderni, consiliaristi, situazionisti, e non meno da eco-fascisti (vedi Alain de Benoist).
La decrescita è il riflusso di un torrente straripato. Siccome il fiume dell’economia è uscito dagli argini, è quanto mai auspicabile che vi rientri.
Fonte: http://www.decrescita.com/news/?p=1328.
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