martedì 12 febbraio 2013

NOI ITALIANI? UNA MASSA DI IGNORANTI


Un Paese assuefatto, segnato da un neoanalfabetismo galoppante, destinato all'impoverimento e all'imbarbarimento della vita collettiva. E' la diagnosi amara argomentata in "Ignoranti", saggio in libreria per Chiarelettere


Riporto anche qui l'intervista che ho rilasciato alla Gazzetta del Mezzogiorno, a cura di Gino Dato. 

"Ignoranti". L'insulto e l'anatema campeggiano nel titolo dell'ultimo saggio di Roberto Ippolito da qualche giorno apparso per le edizioni "Chiarelettere". La pesante e circostanziata accusa a "L'Italia che non sa. L'Italia che non va", come recita il sottotitolo, indaga le regioni storico-ereditarie, ma soprattutto quelle più recenti, per cui il nostro paese è ormai in coda nelle classifiche per l'istruzione e la cultura. Oggi il 45,2 per cento degli italiani ha al massimo la licenza media contro il 27,3 per cento dell'Europa, mentre siamo in Europa ventiduesimi per la quota di spesa pubblica destinata all'istruzione in rapporto al Pil. Tra gli strafalcioni delle eminenze di governo e gli errori persino nel formulare le domande ai concorsi, tra la pervicace negligenza e il voluto abbandono del patrimonio storico-culturale, appaiono quasi un eldorado gli anni del boom, quando l'innalzamento culturale accompagnò il miracolo. 

Ippolito, per questa sorta di analfabetismo di ritorno ci saranno pure delle ragioni storiche?
"Il fenomeno è molto più ampio, tant'è vero che parlo anche di neo-analfabeti, a proposito di coloro che sono estranei al nuovo modo della conoscenza, computer e di internet, oltre un quarto degli italiani".

Ma alla ragioni storiche se ne aggiungono altre?
"E' difficile dare una risposta certa. Vedo un paese che purtroppo si è seduto sul proprio benessere, si èassuefatto a questo, e si è ritenuto soddisfatto a tal punto da addormentarsi. Neanche una crisi come quella attuale riesce più a stimolarlo."

Quindi? 
"Il cuore del ragionamento è che, quando si abbassa in modo pervicace e generalizzato il livello delle conoscenze e competenze dell'istruzione di grandi e piccoli, indifferentemente, si diventa il paese dell'Europa che, dal 1999, cresce di meno. Abbiamo un impoverimento e un imbarbarimento della vita collettiva".

Dovunque si volga lo sguardo?
"Se vogliamo parlare di scuola, l'attacco quotidiano e sistematico alla scuola pubblica, uno dei beni essenziali di qualunque paese civile, è sotto gli occhi di tutti. In tre anni, sotto il governo Berlusconi, sono stati cancellati 87mila insegnanti e 43 dipendenti ausiliari nella scuola e, nel successivo anno di Monti, non ne è stato assunto uno in più. Ancora, se pensiamo ai beni storici, il fatto che in due anni e mezzo non sia stato fatto nulla per Pompei, dopo i numerosi crolli, vuol dire che abbiamo proprio smarrito la strada. Ma, dall'altro, qualcuno potrebbe anche dire che quasi scientificamente si è lavorato per smarrirla".

Subiamo i colpi di una povertà oggettiva, ma c'è una pervicacia nel perseverare?
"Il giorno più importante per i due governi precedenti è stato quello in cui si sono presentati in Parlamento per chiedere la fiducia. Ma Berlusconi nel suo discorso del 2008 non pronuncia mai le parole scuola e università. E Monti, nel novembre 2011, dedica solo pochissime battute generiche al tema dell'istruzione nelle "politiche microeconomiche per la crescita". C'è da ironizzare sull'espressione "microeconomiche". E poi, i partiti litigano mai sulla cultura e sulla scuola?"

Tutti uguali?
"Alcuni si sono dedicati di più, altri meno, però l'attenzione generale è insufficiente e soprattutto, anche se ci fossero programmi fantastici, nessuno dichiara prioritario il tema dell'istruzione. La sera in cui Francois Hollande è diventato presidente della Repubblica francese, ha detto testualmente: "La nostra priorità sarà la scuola". Abbiamo mai sentito un presidente del Consiglio italiano fare dichiarazioni simili?"

Questa vicenda italiana ha dell'incredibile e fa pensare subito alla negligenza
"La negligenza può essere complice e sfociare nella malafede."

E l'attenzione al merito?
"Il merito di cui pure mi occupo nel libro, è un tema di rilievo. Ma quale merito è mai possibile se tutti i laureati vengono bocciati per una preparazione non adeguata, se nei concorsi per presidi e nei test per essere ammessi al tirocinio una domanda su cinque è sbagliata? Sia ben chiaro, un problema simile non esiste solo per la scuola".

Il degrado della cultura è la più grande sconfitta della politica italiana.
"Ancor più, è la sconfitta della classe dirigente del Paese. La politica nel complesso ha le sue responsabilità, ma vogliamo parlare dell'impegno della classe dirigente? Vogliamo dire che non legge libri?"

Come si esce da questa palude?
"La battuta potrebbe essere: con una svolta culturale. Così non possiamo andare avanti. Siamo gli ultimi per la crescita e gli ultimi in numero di laureati. Le questioni di bilancio sono delicate, ma oggi siamo arrivati a pagare una vera e propria tassa sullo studiato perché studiare costa troppo ed è diventata una cosa da ricchi. Dal 2003 diminuiscono gli immatricolati all'università mentre a crescere sono solo i master. Questo conferma che l'istruzione di fascia elevata è ormai riservata a pochi". 

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