venerdì 6 aprile 2012

L’Aquila, un terremoto infinito


 Il centro storico abbandonato, la ricostruzione bloccata e i fondi fermi a Roma. Cresce il disagio, e almeno 15mila persone sono già fuggite

di Alex Corlazzoli



“Venite a L’Aquila. Venite a vedere cosa fa male all’anima. Venite a vedere le pietre che parlano, sussurrano, gridano. Erano frontoni, architravi, basamenti, capitelli…”. 
Il cartello, scritto a mano, su un cartoncino verde, è appeso alla Casa dello Studente accanto alle fotografie delle otto vittime finite sotto le macerie del terremoto la notte del 6 aprile del 2009, è un disperato grido di dolore. Massi e rovine sono ancora lì, ma la cronaca li ha dimenticati. Per le vie dell’Aquila, a Onna, a Paganica non trovi più una telecamera. Non è stato toccato nulla, nemmeno le macchine sfasciate dalla brutale forza del sisma. Nel centro storico è ancora tutto, o quasi, fermo alle 3.32 di quel lunedì. 
“La situazione l’avrai capita da solo. Al contrario di tanti colleghi che fanno articoli dalle scrivanie romane tu sei venuto e l’hai vista: qui la ricostruzione delle case gravemente danneggiate e di quelle crollate è ferma. Punto. Questo è un dato di fatto. Lo dice il sindaco Massimo Cialente. Lo dice il Commissario delegato alla ricostruzione Gianni Chiodi. Lo dicono tutti”, spiega Giustino Parisse, caporedattore de Il Centro. Parisse quella  notte ha perso i figli Domenico e Maria Paola, nel crollo della sua casa tra via Oppieti e via dei Calzolai, a Onna. Da quel giorno, vive e lavora per ricostruire L’Aquila e il suo paese, per le prossime generazioni. Non ha peli sulla lingua e in poche parole fotografa la complessa situazione che blocca la città: “La ricostruzione è ferma, soldi non si sa quando arriveranno per ripartire; la struttura commissariale è praticamente un fallimento e la ‘Legge speciale sull’Aquila’ dorme in Parlamento per cui siamo nelle condizioni di non sapere quando e come parti ranno i cantieri”.  
Oggi l’esseoesse arriva anche da chi abita nei moduli abitativi provvisori (Map) e nel progetto C.a.s.e., i 185 edifici inaugurati nel giro di sei mesi dal governo Berlusconi: “Riceviamo al giornale continue lamentele per infiltrazioni d’acqua e problemi di gestione dei servizi. Quello che è stato fatto nel post terremoto sono solo baracche, come quelle a Messina, in Friuli, in Irpinia, con la differenza che queste le hanno realizzate con la tecnologia degli anni duemila e le hanno arredate”, spiega Parisse. Al 10 gennaio, secondo i dati della Struttura per la gestione dell’emergenza, 13.125 persone sono alloggiate nei 4.449 alloggi del progetto C.a.s.e., realizzati su 19 aree del Comune; 7.209 vivono nei Map; 1.350 persone sono in affitto presso strutture comunali; 382 in hotel e 177 nelle caserme. 
Tutti lontani dal centro dell’Aquila, che è una città fantasma. Attraversarne il cuore è desolante: in via XX Settembre (ribattezzata via 6 aprile), dove c’è la Casa dello Studente, gli appartamenti sono sventrati. Buchi enormi, pareti crollate, crateri nelle strade. Il terremoto ha spazzato via i muri portanti, e lascia intravedere a chi passa il mobilio abbandonato in fretta e furia. È come se vi fosse un fermo immagine. Il sindaco Massimo Cialente, mi fa da guida. Passeggiamo tra palazzi “legati” da spranghe di ferro, segnati da crepe che fanno pensare a ferite insanabili. Attorno il deserto. Non c’è nessuno. Nessun rumore di passi ma nemmeno di ruspe. Solo macerie. “Ecco vedi, questa è la ‘zona rossa’: qui ancora non completiamo la messa in sicurezza degli edifici. Ora partirà anche la pulizia di questa parte della città. Questa era una delle vie più trafficate, ma non c’è più nessuno -spiega il primo cittadino-. È tutto distrutto: anche l’impianto del gas è saltato, dovremo rifare i servizi. Nel centro storico nel 2010 c’erano più di 7mila operai. Poi nel 2011 si è bloccato tutto. Tutti i lavoratori edili sono in cassa integrazione, molti licenziati. Come vedi abbiamo riaperto i portici, ma non vi sono le attività commerciali. La voglia di centro è rimasta: alla Basilica di San Bernardino si sta rifacendo la cupola, è la prima chiesa che restauriamo. Qualche negozio tende ad aprire con le agibilità provvisorie, ma solo per il recupero dell’edilizia privata nel centro storico servono 4 miliardi e 800 milioni”. 
Tutto è bloccato, spiega Cialente, anche se “i soldi ci stanno”. La colpa è del governo Berlusconi, che avrebbe “creato una macchina burocratica allucinante. Un anno e tre mesi per avere le linee guida per ricostruire in periferia e ora mancano ancora le linee guida per ricostruire qui” racconta il sindaco. Non la pensa così Settimio, ex infermiere professionale, membro della Caritas. Per farmi capire cosa sta accadendo usa un proverbio napoletano: “‘E ciucce s’appiccecano e ‘e varile se scassano, quando gli asini litigano, le botti si rimpono”. “Lo scontro tra poteri ha portato al blocco -conferma Parisse-. C’è un’ordinanza che prevede che per ricostruire i centri storici, ovvero quelli perimetrati come tali in 60 frazioni oltre all’Aquila, si debbano realizzare i piani di ricostruzione che vengono approvati e finanziati dal Commissario. L’amministrazione Cialente non ne vuole sapere di questi piani, perché pensa che la città possa essere ricostruita in base al Piano regolatore del 1975. Il nocciolo è che il Commissario senza piano di ricostruzione non tira fuori i soldi. Perciò il comune può progettare quello che vuole, ma se quello non dà la famosa ‘intesa’ basata sulla valutazione dei costi, tutto resta ferma. Il piano di ricostruzione di Onna è pronto ma il Commissario ha già fatto sapere che l’intesa non la darà. La stessa cosa per Tempera e altri borghi. Nessuno decide e alla fine ci rimettono i cittadini. Io ne sono un esempio: impossibilitato a rifarmi la casa, a spese mie, nel centro storico di Onna, ho dovuto costruire un’abitazione fuori paese”. 
Con il governo Monti si apre un nuovo capitolo per L’Aquila. Negli ultimi giorni di dicembre il primo cittadino si è recato nella capitale per incontrare il Presidente del Consiglio, ma le notizie da Roma sono tinte di nero: la lentezza con cui la “filiera” approva i progetti di ricostruzione rischia di compromettere la disponibilità del governo ad aiutare L’Aquila. Il governo ha annunciato che per la ricostruzione del capoluogo ci saranno sempre meno soldi, e quelli che arriveranno andranno spesi con parsimonia, tagliando le spese dove possibile. “Monti -spiega Cialente- vuole ridurre i tempi dell’emergenza, ma dipende da lui. Se mi fa ricostruire di corsa va bene, altrimenti l’emergenza continua. Pago quasi 70 milioni di euro solo per assistere le persone. E non so come farò con l’Imu. Come faccio a chiedere di tirar fuori i soldi per una tassa a chi già paga un mutuo per queste case. Il problema si pone per le seconde e terze case, perché non è previsto che vengano riparate, se non in parte”. 
Le spese Monti le potrebbe vedere leggendo gli articoli di Parisse: “Un consulente chiamato a razionalizzare le spese della Sge (struttura gestione emergenza) e Stm (struttura tecnica di missione) ha lasciato l’incarico, e ha svelato una situazione di spesa fuori controllo nei due organismi costituiti per ricostruire L’Aquila e guidati dal Commissario alla ricostruzione e presidente della Regione Gianni Chiodi (Pdl). Solo per i telefoni nel 2010 sono serviti 400mila euro. Per i container a noleggio si è arrivati a spendere quasi due milioni di euro, ma è bastata una lettera, inviata dal consulente agli ‘utilizzatori’, e in ottanta hanno risposto che quei moduli non servivano più”. 
A far arrabbiare gli aquilani è anche la notizia che secondo l’università “La Sapienza” la qualità della vita nell’ultimo anno è migliorata, e L’Aquila si classifica in Italia al 62esimo posto. Un dato che fa sorridere in maniera amara Lucia D’Aguanno dell’Arci: “Chi vive qui si avvilisce. Qui c’è da ricostruire non solo le case ma la vita sociale. Nelle C.a.s.e. non c’è un bar, un negozio, uno spazio aggregativo, una chiesa. Sono stati concepiti senza spazi per ritrovarsi. Non c’è un mercato rionale.  Abbiamo realizzato la ‘bibliocasa’, dove prendere libri ma non viene nessuno. La gente è chiusa in casa, davanti alla tv. Gli anziani stanno morendo d’inerzia. I giovani scappano. Certo, il numero degli universitari non è cambiato più di tanto (da 25 a 22mila) ma solo perché non si pagano le tasse. Si iscrivono qui e fanno i pendolari. Il centro storico non è più vissuto: la sera è buio, con qualche giovane che gira in una città fantasma”. Parole che trovano conferma nei dati presentati dal sito www.6aprile.it: “Una rete di monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità ha confrontato i dati sulla salute mentale e sui comportamenti a rischio degli abruzzesi prima e dopo il sisma, verificando che dopo 14-19 mesi dal terremoto la frequenza di sintomi di sofferenza mentale è risultata dieci volte maggiore di quella rilevata in precedenza. Su 957 intervistati, nel 4,1% dei casi è stato riscontrato il disturbo da stress post traumatico”. 
La disperazione dell’Arci e dell’Abruzzo Social Forum è la stessa della Chiesa aquilana. Don Ramon Mangili è il parroco di San Giovanni Battista, comunità di 9mila persone. Lo incontro in un container, uno dei quattro che fungono da “oratorio”. La sua chiesa è una tenda in grado di accogliere più di 200 fedeli. I 160 ragazzi della catechesi li ospita lì. “Mancano spazi su tutto il territorio. Nella diocesi sono ancora cinque le parrocchie che non hanno una chiesa ma un tendone. Nella mia comunità prima del terremoto eravamo in seimila -racconta don Ramon-. Ora siamo in novemila ma non ho un luogo dove accogliere la gente. È da ricostruire anche la socialità: per assurdo molte famiglie che abitavano qui in quartiere sono state mandate nel progetto C.a.s.e. di Coppito o altrove, e chi risiedeva nel centro storico è finito nelle C.a.s.e. della mia parrocchia. Manca la voglia, la volontà da parte di tutti di fare qualcosa per chi vive ancora a L’Aquila. Intanto circa 15mila persone sono già andate via dalla città”. Don Ramon tocca con mano ogni giorno anche la povertà. E lancia un allarme: “Intere famiglie hanno perso il lavoro. La Caritas parrocchiale sostiene ottanta famiglie. Non so fino a quando potrò reggere: le offerte si sono ridotte di un quarto. Al momento non riesco nemmeno a pagare le bollette per la tenda-chiesa. Per la maggioranza degli italiani il problema Aquila è risolto, ma non è così”. 
La città guarda alle elezioni amministrative della prossima primavera in un clima incandescente: il sindaco Cialente e il vescovo Giovanni d’Ercole indagati in una delle inchieste post-sisma, i vertici della Protezione civile sotto inchiesta, gli affitti alle stelle e una truppa di speculatori pronti a tutto. Basti pensare alla vasta area dell’ex ospedale psichiatrico, occupata nel settembre del 2009 dal collettivo 3e32 (www.3e32.com), per garantirne un riutilizzo sociale. A “Casematte” L’Aquila vive, ma il 10 aprile 12 persone -tra cui i giornalisti Angelo Venti (responsabile del presidio di Libera) e Marco D’Antonio- saranno processati per occupazione d’edificio. Libera, in merito, ha diffuso un comunicato con parole pesanti: “L’intero complesso pubblico è strategico per la ricostruzione, ma fa gola anche alla speculazione privata, stimolata dalle ipotesi di vendita dell’ intera area per ripianare il debito della Sanità regionale. Un disegno che qualcuno teme possa essere messo in crisi proprio dalla presenza di quei giovani nella minuscola struttura, a cui va la piena solidarietà di Libera per il lavoro svolto e per il recupero di un’area abbandonata diventata spazio di democrazia e socialità”. Vicende che fanno non fanno perdere l’entusiasmo, a chi sogna L’Aquila com’era. ---


Altreconomia

Nessun commento:

Posta un commento