venerdì 25 novembre 2011

Giovani, quanto conta partecipare?


Arciragazzi e Cevas hanno presentato recentemente un'indagine che mette in relazione l'autonomia e la capacità critica dei giovani con le forme di partecipazione associativa. L'intervista a Pasquale D'Andrea, presidente di Arciragazzi, per approfondire questi dati.

Articolo di: Toni Castellano
Foto di arciragazzibrescia.it
       
Un questionario somministrato a un campione di 2070 ragazzi di età compresa tra i 15 e i 29 anni ha rivelato che far parte di un'associazione o di un'organizzazione ha effetti generalmente positivi.
Il 25% degli intervistati ha dichiarato di aderire ad associazioni culturali, il 18% ad associazioni di volontariato e il 14% pratica lo scoutismo. Solo il 20% dei giovani non ha mai fatto parte di un movimento associativo. Di questi, circa il 60%, ha scarsa fiducia nel futuro e nel cambiamento. Un dato che si inverte in coloro che hanno avuto più di 3 esperienze associative: insomma, i ragazzi che partecipano sembrano più ottimisti. Ma non solo. Esiste, secondo l'indagine, una relazione negativa tra la partecipazione e la propensione ad accettare favoritismi e raccomandazioni, il che vuol dire che i giovani più attivi socialmente credono anche di più nella meritocrazia. Altri aspetti interessanti riguardano la minore ricettività di fronte ai modelli televisivi; la crescita del coinvolgimento politico (solo il 7,8% di coloro che hanno avuto esperienze associative si astiene dal voto); una maggiore fiducia nelle proprie capacità come strumento per raggiungere obbiettivi personali ma anche per contribuire a cambiamenti sociali.
Abbiamo intervistato Pasquale D'Andrea, presidente di Arciragazzi, per approfondire questi dati.
 
Come è nata l'idea di questa ricerca? L'impegno giovanile in Italia è in calo o in crescita? 

I centri servizi sul volontariato e il Forum nazionale giovani hanno fatto recentemente una ricerca su temi simili, ma il taglio di queste due inchieste era orientato sulla partecipazione dei giovani alla politica. Il nostro lavoro, invece, si è occupato più in generale delle forme di partecipazione giovanile. A differenza di chi ha svolto indagini percentuali, noi abbiamo cercato di formulare delle tesi, mettendo in relazione numerosi indici: età, contesti di vita, famiglia e istruzione. Più che quantificare l'impegno, abbiamo voluto verificare l'incidenza della partecipazione associativa nella crescita di bambini e adolescenti.
 
E qual è stato il risultato di questa verifica?

Su più di 2.000 giovani intervistati, il 65% circa ha avuto almeno un'esperienza in un'associazione, alcuni in due, altri addirittura in tre. Il trend dice che man mano che le esperienze associative aumentano, cresce anche la fiducia dei ragazzi nella vita. Giovani e adolescenti acquisiscono modelli positivi, riescono a desiderare e progettare un domani, rifuggono da modelli populisti, scoprono la solidarietà e l'identificazione  territoriale, lavorano per il proprio e altri futuro. Di contro, la conferma viene da quel 35% di ragazzi che non hanno mai 'partecipato' e tendono verso l'esatto opposto: scarsa fiducia, scoraggiamento, isolamento.
 
Altri aspetti importanti, e magari inattesi?

Tra i dati più interessanti che emergono dal rapporto ce n'è uno che riguarda la questione politica. I ragazzi intervistati non hanno più identificazioni di destra o sinistra: le delusioni recenti li hanno indirizzati verso qualcosa di meno intaccabile delle ideologie, ossia i diritti. I nostri giovani, oggi, sono protesi verso la tutela della libertà e della dignità umana.
 
Quali sono gli ambiti in cui oggi i ragazzi s'impegnano maggiormente?

I giovani s'impegnano molto per i diritti dei più piccoli. C'è poi il discorso delle minoranze e dell'immigrazione: sono sempre di più i ragazzi e le ragazze che scelgono di confrontarsi con questi temi. Il mondo cattolico fa la parte del leone, e penso a realtà importanti come Agesci e Azione Cattolica, ma anche il mondo laico sta crescendo con associazioni sempre più impegnate.
 
In un periodo in cui i bilanci si risanano tagliando la spesa sociale e molte attività associative sono costrette a chiudere, che peso ha l'apporto dei giovani volontari? Quanto è forte il rischio che il volontariato si sostituisca allo Stato?

Mi piace rispondere con una storia. Noi a Palermo, in Borgo nuovo, abbiamo come Arciragazzi una ludoteca, aperta negli anni 80, che negli anni 90 era arrivata a costare all'associazione anche 100 milioni di lire all'anno. Per tenerla aperta si spendeva tantissimo, lavorando 10-12 ore al giorno. Oggi la stessa ludoteca, pur restando aperta per un monte ore molto ridotto, non supera i 6.000 euro di budget. E la sua importanza nel territorio è sempre forte, anzi in crescita. Questo succede grazie all'impegno gratuito dei nostri ragazzi. Se si dà loro un percorso autoformativo, una sperimentazione partecipata dove l'educatore si mette al servizio del gruppo di giovani, i ragazzi rispondono e cominciano a far cose grandi. Penso però che il volontariato non può e non potrà mai sostituire lo Stato. Noi crediamo molto in una comunità educante. Crediamo in una comunità che si relazioni, dialoghi, parli. Ma è necessario creare le condizioni. Gianni Rodari diceva che nella scuola dovevano esserci muratori e idraulici esperti, oltre che maestri. Insomma, oggi come allora serve lo specialista e non un esercito di sottopagati animatori, che poi non crescono professionalmente e nemmeno migliorano la struttura con il loro servizio. Si possono far fiorire le passioni dei giovani in formazione, come è successo con la nostra ludoteca, così magari da limitare le spese. Ma questa deve essere una scelta politica dei ragazzi, non una politica che li sceglie per sfruttarli. Lo Stato deve garantire i servizi minimi. A partire da quelli, possiamo poi lavorare.
Fonte: Gruppo Abele

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