mercoledì 17 luglio 2013

Il voto al Senato sugli F35

Aggiornamento delle 11.30: Con 202 sì, 55 no e 15 astenuti l’aula del Senato ha approvato la mozione della maggioranza sugli F35. Sono state bocciate invece le mozioni del Movimento 5 Stelle, di Sinistra ecologia e libertà e quella di Felice Casson (Pd), che chiedevano l’annullamento (M5S) e la sospensione immediata del programma di spesa sui nuovi aerei da guerra.

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Lunedì 15 luglio si è svolta al Senato la discussione delle mozioni sugli F35, i nuovi modelli di aerei da guerra della società Lockheed-Martin al cui progetto di sviluppo, guidato dagli Stati Uniti, partecipa anche l’Italia. Questa mattina la seduta al Senato si concluderà con le dichiarazioni di voto e il voto. Il 26 giugno scorso la Camera aveva approvato il documento presentato dalla maggioranza (con 381 voti a favore, 149 contrari e 11 astensioni nel Pd) che impegnava il governo a non procedere a «nuove acquisizioni» senza che il Parlamento si fosse espresso dopo un’indagine conoscitiva di sei mesi: di fatto non si esprimeva sugli acquisti fatti e rinviava la decisione su eventuali altri.

Il Consiglio supremo di Difesa
Il voto al Senato probabilmente confermerà quello della Camera. Rispetto a quella prima decisione c’è però la novità del pronunciamento del Consiglio supremo di Difesa che si è svolto all’inizio di luglio e che è stato presieduto da Giorgio Napolitano: erano presenti tra gli altri il capo del governo Enrico Letta, il ministro degli Esteri Emma Bonino, il ministro dell’Interno Angelino Alfano, il ministro dell’Economia e delle Finanze Fabrizio Saccomanni, il ministro della Difesa Mario Mauro. Il Consiglio supremo era intervenuto sul passaggio più significativo della mozione votata alla Camera: quello che richiamava una legge del 31 dicembre 2012 (la numero 244) che dà al Parlamento l’ultima parola sull’acquisto delle armi, ricordando di fatto al Governo che non può decidere senza prima il voto delle Camere.

Il Consiglio aveva ribadito invece che la titolarità delle scelte sulle forze armate, e quindi anche sugli F35, spetta al governo e che il Parlamento non può porre veti. Nella nota conclusiva si leggeva infatti:

«La facoltà del Parlamento di eventuale sindacato delle Commissioni Difesa sui programmi di ammodernamento delle Forze Armate, non può tradursi in un diritto di veto su decisioni operative e provvedimenti tecnici che, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’Esecutivo.»

Le mozioni presentate al Senato

Ieri al Senato sono state presentate 4 diverse mozioni sull’acquisto dei cacciabombardieri F35: la prima, quella della maggioranza (Partito democratico-Popolo delle libertà- Scelta Civica) ha come primi firmatari Zanda (Pd) e Schifani (Pdl) e sostanzialmente coincide con quella presentata e votata alla Camera. Prevede infatti di «non procedere  a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito».

Il senatore del Partito democratico Felice Casson, con una ventina di altri senatori del Pd che non condividono la posizione di maggioranza del loro partito ha presentato invece una mozione in cui si chiede di «sospendere immediatamente la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell’aereo JSF/F-35», di «procedere, in prospettiva europea, ad una visione strategica della politica di difesa» e di «destinare le somme risparmiate ad investimenti pubblici riguardanti la tutela del territorio nazionale dal rischio idrogeologico, la tutela dei posti di lavoro, la sicurezza dei lavoratori».

La richiesta si basa su alcune premesse che, secondo Casson, smentiscono gli argomenti utilizzati dai sostenitori del programma: i quali, semplificando, dicono che il programma di acquisto e produzione di F35 è, per l’Italia, vantaggioso da un punto di vista strategico e industriale e che comunque è necessario un ammodernamento dell’Aeronautica italiana visto che le sue capacità militari sono piuttosto arretrate. Gli F35 andrebbero a sostituire tre modelli di aereo militare, e cioè i Tornado, gli AM-X e gli AV8B. Questi tre diversi aerei sono stati introdotti nelle forze armate italiane tra gli anni Ottanta e i primi anni 2000.

La mozione Casson spiega che non esiste ad oggi alcun impegno all’acquisto di questi velivoli; che non c’è alcun contratto firmato e tantomeno alcuna penale; che dal punto di vista operativo «difficilmente potrà configurarsi, per l’Italia, la necessità di dover sostenere un conflitto ad alta intensità tale da giustificare un “cacciabombardiere di superiorità aerea”» e che, infine, «è sempre meno convincente l’affidabilità di questo modello ancora alle prese con molte difficoltà tecniche». Inoltre, si precisa che la maggior parte dei Paesi della Nato ha deciso di non adottare questo velivolo.
La «sospensione immediata» è stata presentata con una terza mozione separata anche da Sinistra ecologia e libertà, che è stata firmata anche da alcuni senatori del Pd come ad esempio Laura Puppato.

La mozione del Movimento 5 Stelle non chiede invece la sospensione, ma l’abbandono «in via definitiva» del programma «ponendo in essere ogni utile azione al fine di risolvere il contratto d’acquisto dei velivoli». Propone inoltre di «destinare le somme del programma per l’acquisto degli F-35 al finanziamento di attività quali: attribuzione di un reddito di cittadinanza; peacekeeping e soluzione non violenta dei conflitti; attivazione di un programma straordinario di investimenti pubblici riguardanti piccole opere e finalizzato alla messa in sicurezza degli edifici scolastici; tutela del territorio nazionale dal rischio idrogeologico; realizzazione di un piano pluriennale per l’apertura di asili nido».

Ieri, durante un riunione del Movimento 5 Stelle, il gruppo si è però diviso sull’atteggiamento da tenere in aula rispetto la mozione di Felice Casson: in quindici, contro la decisione della maggioranza del loro partito, hanno deciso di votare a favore anche del testo di Casson, in cinque si sono astenuti. Sembra quindi che oggi non tutto il gruppo dei senatori del Movimento voterà in nodo compatto.

Che cosa sono gli F-35
Il programma di sviluppo e costruzione degli F-35 ha il nome ufficiale di “Joint Strike Fighter (JSF)” e ha l’obiettivo di costruire un aereo da combattimento cosiddetto “di quinta generazione”. È svolto dagli Stati Uniti in collaborazione con Regno Unito, Italia, Canada, Danimarca, Norvegia, Olanda, Australia, Turchia, Singapore e Israele. I diversi paesi hanno diversi livelli di coinvolgimento nel progetto: il Regno Unito è l’unico di primo livello (partecipa a circa il 10 per cento delle spese di ricerca e sviluppo), mentre Italia e Olanda sono due partner di secondo livello (partecipazione intorno al 5 per cento). Gli F-35 della società Lockhhed-Martin hanno vinto la gara per lo sviluppo dell’aereo del JSF. Per l’Italia il programma prevede che Finmeccanica fornirà componenti dell’ala e del cassone alare dell’F35. L’accordo con la Lockheed comprende anche contratti di manutenzione. La cifra del costo del programma, per l’Italia, è rimasta per parecchio tempo incerta e non è, ad oggi, ancora definibile: comunque non sarebbe inferiore ai 12 miliardi di euro complessivi e si articolerebbe nell’arco di 12 anni.

Il programma del JSF è iniziato nei primi anni Novanta e l’interessamento italiano ha attraversato governi di ogni colore. È iniziato intorno al 1998, quando il ministro della Difesa dell’allora governo Prodi era Beniamino Andreatta. I negoziati per l’inserimento dell’Italia nel programma sono iniziati nel 2001 e si sono conclusi tra giugno e luglio 2002, quando il ministro della Difesa del governo Berlusconi era Antonio Martino, con la firma di due documenti di accordo tra l’Italia e gli Stati Uniti. Al momento della firma del documento, l’Italia si impegnava a fornire i fondi per circa il 4 per cento dell’intera fase ricerca e sviluppo, che è iniziata nello stesso 2002 e non si è ancora conclusa. A febbraio 2012, il ministro Di Paola – che è stato capo di stato maggiore della difesa dal 2004 al 2008 – ha annunciato che l’Italia aveva ridotto le ordinazioni da 131 a 90 aerei, come contributo al processo di spending review del governo.

Fonte: www.ilpost.it

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