mercoledì 3 luglio 2013

Armare la pace? Una riflessione sulle parole del Ministro

Il dibattito accesosi in Parlamento sull'acquisto dei caccia-bombardieri F-35 ci permette di affrontare una riflessione più profonda e di più ampio respiro sul modello di difesa presente e futuro, in un momento, dove, la nazione, i cittadini, donne e uomini, aspettano risposte concrete e indicazioni di una via d'uscita, di una prospettiva di futuro, di un nuovo modello sostenibile di società, da parte delle istituzioni.
E' in questo contesto che l'affermazione del Ministro della Difesa, Mauro, durante il suo intervento in parlamento, per giustificare l'impegno dell'Italia nell'acquisto dei caccia-bombardieri nucleari F-35, ci obbliga a domandarci: ma di che ragioni e di che pace stiamo parlando?

Siamo di fronte alla più grande crisi di sistema dalla nascita della nostra Repubblica parlamentare. Crisi che attraversa l'Unione Europea, nelle sue fondamenta ed in particolare, vede paesi come Grecia, Portogallo, Spagna, Italia vicini al collasso economico: esplosione del debito pubblico, perdita di milioni di posti di lavoro, smantellamento dello stato sociale, disastri ambientali, perdita di diritti, deficit democratico, migrazioni forzate, esclusione sociale e con i giovani senza un futuro. Istituzioni, democraticamente elette, sempre più dipendenti da istanze e interessi particolari del sistema speculativo finanziario. Guerre e conflitti che esplodono in ogni dove. Interventi militari che si moltiplicano coprendo il vuoto della politica e del diritto internazionale.

Impossibile negare che stiamo vivendo una spirale distruttiva, mossa da un sistema ed un modello di società neo-liberale, che tiene insieme, con l'ideologia del mercato regolatore, lo sfruttamento delle risorse naturali in modo indiscriminato ed illimitato, la mercificazione del lavoro e dei beni comuni, l'esportazione della democrazia con l'industria bellica, la speculazione finanziaria con i paradisi fiscali. E' quindi logico e conseguente, che un simile sistema sia indifendibile ed in contrasto con un sistema imperniato sull'uguaglianza, sull'inclusione sociale, sul benessere collettivo e sull'equilibrio ambientale, senza discriminazioni alcune e su base globale. L'unica strada, per sostenere questo impianto distruttivo è quello di costruirsi delle ragioni a difesa di un sistema iniquo e predatore, magari adducendo che non esistono alternative e che ogni male è necessario o alla fine non vien per nuocere. Ed eccoci arrivati alle ragioni della pace armata. Non potrebbe essere altrimenti.

In questo e per questo, le parole del Ministro sono chiare e ben collocate in quel determinato modello e sistema di società e di relazioni tra individui e stati. Dall'Iraq (1991) in poi, abbiamo vissuto dentro questo sistema di relazioni, dove gli investimenti militari, gli accordi commerciali, hanno marciato di pari passo con i regimi dittatoriali, il controllo delle risorse energetiche e l'attacco ai diritti ed alla democrazia. Tutto si lega, come si usa dire tra di noi. Le violazioni degli accordi internazionali e del diritto internazionale, gli interventi armati promossi dalle “coalizioni dei volonterosi” bypassando le Nazioni Unite, il doppio standard nel giudicare le azioni delittuose dei governi amici, la difesa degli interessi nazionali a giustificazione degli accordi con i regimi dittatoriali, sono tutte azioni che rientrano a pieno titolo nella logica e nel pensiero che ci porta a teorizzare le ragioni della pace armata.

L'errore, quindi, è di fondo e non solamente congiunturale. L'insistenza di chi vuole a tutti i costi l'acquisto degli F-35, rappresenta un doppio errore politico che non possiamo più permetterci, né per le larghe intese, né per le alleanze o per gli impegni presi con i partner NATO. Se prima vi era la ragione di fondo, inascoltata dai nostri rappresentanti nel Parlamento e nel Governo, ora vi si aggiunge la grave situazione economica e sociale in cui versa il paese che può solamente essere affrontata con una iniezione di risorse economiche, di politiche tradotte con rapidità in programmi e progetti di promozione d'imprenditorialità locale e lavoro, qualificati, competitivi e con diritti, orientati a risolvere i problemi strutturali del nostro paese. Un'azione che deve partire dal livello nazionale ma che deve coinvolgere l'Europa e la politica di vicinato ed internazionale. Questi non sono sogni o pensieri “da anime belle” sono scelte politiche, realizzabili e sostenibili. Sono l'alternativa alla strada intrapresa nell'ultimo ventennio che ci ha portato dove siamo, a non saper più cosa dire ai nostri figli, a chiudere le fabbriche ed a lasciar soli gli anziani e i disabili, a giustificare più armi tecnologiche per allontanare e sconfiggere il male.

Caro Ministro non ci sono ragioni per armare la pace, se veramente vogliamo affrontare le cause di guerre e conflitti. Basterebbe rimettere al centro la politica di pace, prevenendo i conflitti, investendo sui diritti, sulle libertà e sulla democrazia. Perchè non seguire la nostra Costituzione, lo spirito originale ed il sistema del diritto internazionale costruito negli ultimi sessant'anni nell'ambito delle Nazioni Unite, a casa nostra come in ogni angolo del pianeta. Più che una rivoluzione culturale si tratterebbe di ripristinare la volontà e gli impegni di quei politici ed intellettuali che dopo il disastro umano del secondo conflitto mondiale e l'utilizzo della bomba atomica, decisero di cambiar registro, nunca mas, dando vita ad un altro sistema di relazioni tra stati, nazioni e popoli.
E le occasioni, per fare ciò, non mancano, anzi sono sotto i nostri occhi che attendono: dall'opportunità di riconvertire la spesa militare prevista in spesa produttiva per l'industria civile e per la messa in sicurezza del nostro paese, alla riconversione delle missioni di pace dal militare al civile, investendo nella società civile e nello sviluppo locale, sostenibile. Un cambio di paradigma; dalla pace armata, alla pace condivisa, mettendo in sicurezza la nostra società e paesi come l'Afghanistan, l'Iraq, il Libano, la Siria, la Libia, dal terrorismo e dalla violenza. Impegnandoci seriamente per risolvere i conflitti ancora frutto del processo di decolonizzazione del secolo scorso, da quello palestinese a quello del Sahara occidentale, al popolo curdo.

Auspico, in fine, che il Parlamento non cada in questo doppio errore e che trovi le ragioni della pace nella democrazia, nel lavoro dignitoso, nel diritto di ogni uomo ed ogni donna ad avere uguali opportunità, nella prevenzione dei conflitti, nel rispetto delle regole e delle norme, nell'applicazione della giustizia senza discriminazioni tra forti e deboli, nella lotta alla povertà, nella redistribuzione della ricchezza e nella solidarietà. Auspico un Parlamento che assuma le responsabilità del paese e non decida in base ad interessi particolari e di equilibri congiunturali.

Fonte: www.lettera22.it

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