venerdì 5 luglio 2013

Il Paese delle ovvietà

C’era una volta un Paese dove capitavano cose normali. Di buon senso. Niente eccessi, urla, esagerazioni. Niente proclami ai quali far mancare sempre le azioni conseguenti.Chi governava lo faceva per un periodo di tempo determinato, mettendo a disposizione della comunità un mix di competenza, passione, emozioni, visione del futuro. E ce la metteva tutta per far del proprio meglio nella gestione della cosa pubblica. Si facevano un sacco di errori, anche, ma in fondo era normale perché solo chi non agisce non sbaglia mai. Sbagliando.
In questo Paese i cittadini non voltavano la testa dall’altra parte, almeno non quando c’era bisogno di rimanere con la barra fissa e difendere i diritti di qualcuno, che e’ poi l’unico modo per far si’ che rimangano di tutti, sempre. Il senso civico non era affogato in una tazzina amara di caffè e considerazioni qualunquistiche nel bar sotto casa, per cui tutto faceva schifo ed era da buttare.
C’era una volta un Paese dove la sobrietà non era un’etichetta da affibbiare allo strano di turno, allo scemo del villaggio per intenderci. Ma un obiettivo comune, perché sempre più persone avevano capito che negli anni precedenti si era un po’ tutti esagerato, con la barzelletta della crescita infinita e dell’usa e getta. La gente aveva ricominciato a scegliere di vivere, piuttosto che consumare. Di essere, piuttosto che di avere. Capire, piuttosto che pretendere.
In questo strano Paese non bruciavano più rifiuti. Di più, avevano smesso di chiamarli così. Avevano anche tagliato la bolletta energetica e quindi non dipendevano più dagli altri per illuminare e riscaldare le loro case, i loro uffici, i capannoni delle loro fabbriche.
Al cemento avevano sostituito la ragione, e questo aveva fatto si’ che invece di consumare nuovo territorio si andasse a recuperare aree dismesse, edifici inutilizzati. Le auto non comandavano più, per strada, avendo abdicato il loro scettro a pedoni e biciclette.
Al posto delle telecamere e dei guardiani supremi della sicurezza avevano messo panchine, e aree verdi, e riempito le piazze di concerti, spettacoli, libri e persone. E finalmente la gente del posto aveva smesso di rinchiudersi ogni sera nei bunker ipotecati delle loro abitazioni, allettati con flebo di tivù.
C’era una volta un Paese. Il Paese delle ovvietà. Dicono che esista una mappa che consente a chi la legge di raggiungerlo. Molti ne hanno sentito narrare le gesta, nessuno di quelli che parlano ha mai conosciuto anche un solo abitante. Sembra più una leggenda che altro.
Ma io ho trovato la mappa e voglio provare ad andare. Da come mi e’ stato descritto e’ un luogo perfetto per far crescere i miei figli. La mappa e’ un mattone che si spezza in due se la passo a qualcuno. Ci sono abbastanza mattoni per costruirlo insieme, quel posto.

Dal blog di Marco Boschini

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