Un lunedì di pioggia annunciata come gelo siderale, mezzogiorno, Piccolo Eliseo a Roma: “Se non ora quando“, il movimento che, il 13 febbraio del 2011, riuscì a dar voce a migliaia di donnestanche di subire la rappresentazione berlusconiana della funzione della femmina sul pianeta terra,incontra i responsabili di tutti gli schieramenti che si candidano a governare il Paese. L’intenzione è costringerli ad ascoltare le donne: quelle organizzate, che leggeranno un documento fitto di richieste, e poi esporranno i risultati di un puntiglioso monitoraggio dei programmi dei partiti, da un punto di vista di genere. Le altre, parleranno nel film “Un giro nel nostro mondo” della propria vita e di quello che vogliono chiedere alla politica.
Il teatro è gremito, posti in piedi. Circolano due notizie. La prima: Berlusconi durante un comizio ha chiesto a una impiegata presente sul palco quante volte “viene”, le ha controllato il posteriore, ne ha valutato la commestibilità erotica di fronte a una platea divertita e compiaciuta. La seconda: Papa Benedetto XVI ha annunciato le sue dimissioni. Quale delle due è uno scherzo? La seconda, perché la prima non fa ridere.
Buio in sala: sul palco cala uno schermo sul quale si alternano facce di donne, più giovani, più vecchie, italiane di nascita o per scelta (la prima è una rumena), operaie, dottoresse, bariste e domestiche. Sono state filmate con i cellulari e con gli iPad, alcune hanno un’acustica perfetta, altre il fracasso della strada come colonna sonora. Sono testimonianze e sono cinema. Sono video girati da nord a sud, in città e in provincia, dalle donne di “Se non ora quando”, selezionati e montati sotto la direzione della regista Francesca Comencini. Queste donne hanno voci e accenti diversi, ma compongono un quadro terribilmente omogeneo: giornate che cominciano presto, lavoro che si accumula a lavoro, prendersi cura, giornate che finiscono tardi.
Poi una ragazza dice: “Fortuna che non ho figli”. E non è l’unica. Non avere figli è diventata una fortuna? Le tappe del martirio femminile non sono uguali nei secoli: prima essere madri era un obbligo, adesso è un privilegio. Le luci si riaccendono su questo nuovo scenario.
I politici salgono sul palco. L’invito era stato rivolto ai segretari di partito o ai titolari di Lista. Ce n’è soltanto uno, Nichi Vendola, leader di Sel. Per il Pd c’è il responsabile economico del partito Stefano Fassina. Per la Lista civica con Monti Milena Santerini, per Futuro e libertà Fabio Granata, per Rivoluzione civile Gabriella Stramaccioni, per il Movimento 5 Stelle Carla Ruocco. Per Berlusconi, anche lui invitato, ci dovrebbe essere Barbara Saltamartini. Invece non c’è. Il Pdl, così, è l’unico assente sul palco. Si intuisce l’imbarazzo temuto dalla signora, nell’ipotesi che qualche capziosa femminista le potesse chiedere ragione dell’ennesima battutaccia del suo leader all’indirizzo di una donna. La dignità, in fondo, è un obiettivo trasversale agli schieramenti. Del resto: questo è lo spirito che ha sempre animato il movimento. Destra sinistra o centro, non fa differenza. Quello che importa è il programma. E su questo vengono interrogati i candidati.
Che cosa faranno perché l’Italia diventi un Paese per donne? Granata (Fli) fa il vago: “La questione è politica”. Vendola fa il femminista (e tira l’applauso): “Il berlusconismo ha instaurato un regime commercial-pornografico che ha impoverito le relazioni umane”. Fassina (Pd) si impegna a stornare fondi dalla difesa per investirli sugli asili nido, ma prima, avverte, bisogna portare Bersani al governo. La Santerini, che rappresenta la lista di Mario Monti, promette un nuovo stile per la politica: “Le parole che corrispondono ai fatti”. La grillina Ruocco vanta il 55% di capolista donne. La Rivoluzionaria civile Stramaccioni usa i suoi minuti per uno stralcio di comizio. Francesca Caferri, che conduce l’interrogazione, saprebbe incalzarli e costringerli a stringere, ma il tempo non c’è. Il teatro, pagato con una sottoscrizione straordinaria, va restituito.
Sul palco resta Sara de Simone, da Caserta. È lei che ha condotto la mattinata, con la grazia severa dei principianti di talento. Sue le conclusioni: “Carla Lonzi diceva: ‘la differenza della donnasono millenni di assenza dalla storia’. Approfittiamo della differenza. Alle candidate diciamo: ‘approfittate, davvero, della vostra differenza. Non vergognatevene mai. Siate coraggiose, siate autonome. Ricordatevi sempre della vita che fanno le donne’. Io ho 25 anni e sono qui a dirvi chevoglio poter scegliere. Voglio poter avere dei figli, e lavorare, voglio poter vedere intorno a me non più corpi femminili disidentificati, ma corpi veri. E soprattutto, io non voglio andare via da questo Paese. Io voglio restare qui”.
Speriamo che, chi si piazza al governo del Paese, riesca a trattenerla, a esaudire i suoi desideri. A garantire i suoi diritti.
di Lidia Ravera
da Il Fatto Quotidiano del 12 febbraio 2013
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