Ospite ieri di "Bersaglio mobile", Mario Monti ha ricordato l'eredità disastrosa del condono tombale 2002 del governo Berlusconi. Dimentica però di precisare che l'allora capo della Ragioneria generale dello Stato è il suo attuale ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, e che il suo governo ha prorogato di un anno il termine per recuperare le risorse dei furbetti. Ecco l'articolo del novembre 2012 di Altreconomia, dedicato alle conseguenze della sanatoria fiscale: dieci anni dopo, un ristretto gruppo di evasori deve ancora 1,75 miliardi. Che nessuno pare voler riscuotere ---di Duccio Facchini
Mille contribuenti devono 1 miliardo e 750 milioni di euro all’erario. Chi si è messo sulle loro tracce -lo Stato- si ritrova tra le mani (da dieci anni) i loro codici fiscali. Eppure non sembra intenzionato ad andare fino in fondo. Spargete la voce, il condono “tombale”, sanatoria introdotta con la legge 289 del dicembre 2002 dall’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, compie dieci anni. Via XX settembre e la Ragioneria generale dello Stato, che allora era guidata da Vittorio Grilli, avevano rassicurato gli scettici: la garanzia di anonimato, una rinnovata verginità penale e fiscale ed aliquote di favore, avrebbero consentito all’erario di incassare, entro poco, almeno 26 miliardi di euro. Non è andata così. 63mila soggetti che hanno aderito al provvedimento devono ancora saldare la seconda rata per un totale di 4,1 miliardi di euro. L’ha ben evidenziato la Corte dei Conti, all’interno dellaRelazione sul rendiconto generale dello Stato del 2011, smontando il mito secondo cui il condono sarebbe una medicina amara, eticamente discutibile ma finanziariamente redditizia: l’iniziale successo del condono tributario, secondo la Corte, “veniva ad essere ridimensionato [...] anche e soprattutto dal fatto che ben 5,2 miliardi dei 26 miliardi, dichiarati come dovuti dai contribuenti che si erano avvalsi del beneficio, non erano stati poi versati neppure dopo l’iscrizione a ruolo e la notifica delle relative cartelle di pagamento”. 5,2 miliardi di ammanco scesi a 4,1 nel luglio del 2011, a seguito del recupero effettuato da Equitalia spa per conto dell’Agenzia delle entrate. Di questi, ben 2,8 miliardi di euro risultano in capo a poco meno di trentamila contribuenti, coloro che -evasori per caso o per attitudine- rientrano nella tipologia disciplinata dall’articolo 9-bis della legge istitutiva del condono, quella che riguarda “modalità di definizione dei ritardati od omessi versamenti”, la parte “tombale” del provvedimento. E ancora. Soltanto 1.023 soggetti (persone fisiche o giuridiche), ognuno dei quali ha un debito superiore a 500mila euro nei confronti dell’erario, devono allo Stato 1 miliardo e 750 milioni di euro, mezzo miliardo in più, per fare un esempio, del taglio delle detrazioni fiscali proposto dal governo di Mario Monti, che metterebbero ulteriormente in ginocchio il welfare.
Gli esiti disastrosi del raffinato meccanismo di emersione non erano affatto sconosciuti al legislatore. Per un semplice elemento: ne aveva costruito le premesse. L’ha scritto, per conto della Corte dei Conti, il consigliere Stefano Siragusa, relatore di un’istruttoria ad hoc del maggio 2011 per conto della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato. Ecco la regola, tutta a danno dello Stato: “Con il versamento della prima rata [...], la controversia risulta estinta, e il relativo condono diviene definitivamente efficace anche sotto l’aspetto penale [...], pur nella circostanza del mancato pagamento degli importi dovuti alle scadenze temporali successive”.
Dunque una rata salva l’altra, allungando i tempi e confondendo i termini. Ed è così che la rateizzazione delle “quote eccedenti” -sempre secondo la Corte- “ha consentito” ai contribuenti, definiti “non proprio ignari”, di rendersi “incapienti” rispetto alla mossa successiva dell’erario. Ricapitolando: lo Stato, raggirato, ha teso la mano ai furbetti: “Basterà una rata per estinguere la pratica”, il generoso messaggio. Chi l’ha beffato una volta, ingolosito dai buchi normativi, non solo non ha pagato il dovuto -la seconda rata, la seconda beffa- ma ha persino fatto perdere le tracce, beffandolo per la terza volta. Con buona pace dei soggetti incaricati di andare a reperire quelle risorse, il cui operato è stato -per insufficienza organizzativa, scarsità di mezzi o incapacità- al di sotto delle rassicuranti previsioni fornite dall’Agenzia delle Entrate all’istruttoria della magistratura contabile presieduta da Luigi Giampaolino. Equitalia, controllata dall’Agenzia, s’era detta in grado di “riscuotere per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011, 300 milioni di euro in più rispetto al recupero ordinario”. Pronostici rivelatisi sovrastimati, vista la “diversa e minore capacità di riscossione” certificata dalla Corte. Ecco perché un altissimo dirigente del settore, che ha preferito mantenere un profilo di riservatezza, ha definito il condono tombale come una “sfortunata vicenda italiana”, per cui “è ipotizzabile che quelle risorse non verranno mai recuperate”. Sensazione di scoramento confermata dall’eliminazione dall’agenda della Sezione di controllo della Corte dei Conti del recupero di queste risorse mancanti. Stefano Siragusa, che non è stato confermato nel suo ruolo di consigliere, ha chiarito che l’azione è stata spuntata e non più riproposta.
Sull’operato di Equitalia, poco o nulla. Dal settore “relazioni esterne” dell’organismo presieduto da Attilio Befera, che è anche presidente dell’Agenzia delle Entrare, fanno sapere che la società di riscossione è mera esecutrice, non maneggia dati e non incrocia statistiche. E dello stesso vizio pare soffrire persino il Parlamento. Risale al 6 settembre 2011 l’interrogazione a risposta scritta con primo firmatario l’onorevole Marco Marsilio, deputato del Popolo della libertà. Destinatario: il ministero dell’Economia. Oggetto: condono fiscale. Nella parte finale del documento si richiedeva a via XX settembre di “trasmettere al Parlamento l’elenco dei soggetti iscritti a ruolo nei confronti dei quali Equitalia sta procedendo alla riscossione coattiva delle somme dovute, per consentire al Parlamento di svolgere le opportune valutazioni del caso”. Marsilio, componente della Commissione V sul bilancio, un anno dopo racconta ad Ae di non aver ricevuto alcun riscontro. Senz’alcuna pressione mediatica, il ministero dell’Economia può quindi chiamarsi fuori e gli oltre 60mila condonati doppiamente infedeli -compresi i 1.023 che devono 1,75 miliardi di euro- congratularsi con gli estensori della sanatoria. Perché l’ora del confronto con il fisco tarda ad arrivare. E non c’è governo “tecnico” che tenga. All’interno del decreto “Salva-Italia”, convertito in legge nella fine del dicembre 2011, è spuntato un comma “salva-furbetti”. Il termine entro cui la Guardia di finanza e l’Agenzia delle entrate dovranno porre sotto stretto controllo la posizione del “contribuente” inadempiente, costringendolo a versare il dovuto mediante “azione coattiva” e “intimazione al pagamento”, è stato spostato al 31 dicembre 2013. Cortesia ai condonati? Moratoria a favore di chi dovrà riscuotere? Non è certo, sta di fatto che, sul punto, dall’Agenzia tengono a precisare -informalmente- che “noi eravamo pronti anche in vista del primo termine, e non conosciamo i motivi della proroga”. Mentre sposta il termine ai condonati, il governo prosegue la lotta “senza quartiere” all’evasione insieme al ministero dell’Economia. E non c’è motivo per dubitarne, visto che, dal luglio di quest’anno, a guidarlo c’è prorpio l’ex capo della Ragioneria dello Stato, Vittorio Grilli. ---
Dunque una rata salva l’altra, allungando i tempi e confondendo i termini. Ed è così che la rateizzazione delle “quote eccedenti” -sempre secondo la Corte- “ha consentito” ai contribuenti, definiti “non proprio ignari”, di rendersi “incapienti” rispetto alla mossa successiva dell’erario. Ricapitolando: lo Stato, raggirato, ha teso la mano ai furbetti: “Basterà una rata per estinguere la pratica”, il generoso messaggio. Chi l’ha beffato una volta, ingolosito dai buchi normativi, non solo non ha pagato il dovuto -la seconda rata, la seconda beffa- ma ha persino fatto perdere le tracce, beffandolo per la terza volta. Con buona pace dei soggetti incaricati di andare a reperire quelle risorse, il cui operato è stato -per insufficienza organizzativa, scarsità di mezzi o incapacità- al di sotto delle rassicuranti previsioni fornite dall’Agenzia delle Entrate all’istruttoria della magistratura contabile presieduta da Luigi Giampaolino. Equitalia, controllata dall’Agenzia, s’era detta in grado di “riscuotere per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011, 300 milioni di euro in più rispetto al recupero ordinario”. Pronostici rivelatisi sovrastimati, vista la “diversa e minore capacità di riscossione” certificata dalla Corte. Ecco perché un altissimo dirigente del settore, che ha preferito mantenere un profilo di riservatezza, ha definito il condono tombale come una “sfortunata vicenda italiana”, per cui “è ipotizzabile che quelle risorse non verranno mai recuperate”. Sensazione di scoramento confermata dall’eliminazione dall’agenda della Sezione di controllo della Corte dei Conti del recupero di queste risorse mancanti. Stefano Siragusa, che non è stato confermato nel suo ruolo di consigliere, ha chiarito che l’azione è stata spuntata e non più riproposta.
Sull’operato di Equitalia, poco o nulla. Dal settore “relazioni esterne” dell’organismo presieduto da Attilio Befera, che è anche presidente dell’Agenzia delle Entrare, fanno sapere che la società di riscossione è mera esecutrice, non maneggia dati e non incrocia statistiche. E dello stesso vizio pare soffrire persino il Parlamento. Risale al 6 settembre 2011 l’interrogazione a risposta scritta con primo firmatario l’onorevole Marco Marsilio, deputato del Popolo della libertà. Destinatario: il ministero dell’Economia. Oggetto: condono fiscale. Nella parte finale del documento si richiedeva a via XX settembre di “trasmettere al Parlamento l’elenco dei soggetti iscritti a ruolo nei confronti dei quali Equitalia sta procedendo alla riscossione coattiva delle somme dovute, per consentire al Parlamento di svolgere le opportune valutazioni del caso”. Marsilio, componente della Commissione V sul bilancio, un anno dopo racconta ad Ae di non aver ricevuto alcun riscontro. Senz’alcuna pressione mediatica, il ministero dell’Economia può quindi chiamarsi fuori e gli oltre 60mila condonati doppiamente infedeli -compresi i 1.023 che devono 1,75 miliardi di euro- congratularsi con gli estensori della sanatoria. Perché l’ora del confronto con il fisco tarda ad arrivare. E non c’è governo “tecnico” che tenga. All’interno del decreto “Salva-Italia”, convertito in legge nella fine del dicembre 2011, è spuntato un comma “salva-furbetti”. Il termine entro cui la Guardia di finanza e l’Agenzia delle entrate dovranno porre sotto stretto controllo la posizione del “contribuente” inadempiente, costringendolo a versare il dovuto mediante “azione coattiva” e “intimazione al pagamento”, è stato spostato al 31 dicembre 2013. Cortesia ai condonati? Moratoria a favore di chi dovrà riscuotere? Non è certo, sta di fatto che, sul punto, dall’Agenzia tengono a precisare -informalmente- che “noi eravamo pronti anche in vista del primo termine, e non conosciamo i motivi della proroga”. Mentre sposta il termine ai condonati, il governo prosegue la lotta “senza quartiere” all’evasione insieme al ministero dell’Economia. E non c’è motivo per dubitarne, visto che, dal luglio di quest’anno, a guidarlo c’è prorpio l’ex capo della Ragioneria dello Stato, Vittorio Grilli. ---
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