Il documento della SEN, presentato in bozza dal Governo, se da una parte prende atto del nuovo contesto e si allinea alla riflessione in atto in Europa, scostandosi nettamente dalle posizioni del precedente Esecutivo, resta scarno in quanto a strumenti e prevede opzioni non condivisibili sul fronte delle fonti fossili. L'editoriale di Gianni Silvestrini.
Finalmente, dopo essere stata annunciata per anni, esce una bozza della mitica Strategia Energetica Nazionale (SEN), uno strumento quanto mai necessario visti i radicali cambiamenti avvenuti nel mondo dell’energia. Il documento prende atto del nuovo contesto e si allinea alla riflessione in atto in Europa.
Iniziamo dalla previsione sui consumi di energia primaria. Al 2020 questi sono stimati in calo del 4% rispetto ai livelli del 2010, mentre quelli elettrici sono previsti stabili nel decennio. Un cambiamento netto rispetto agli scenari elaborati nell’ultimo mezzo secolo e agli storici andamenti dei consumi che sconta gli effetti della crisi economica ma che sarà raggiungibile solo con adeguate politiche sul lato dell’efficienza.
Altra novità viene dal mix delle fonti al 2020. Le rinnovabili dovrebbero soddisfare, alla fine del decennio, il 20% dei consumi finali totali, superando l’obiettivo del 17% richiesto dall’Europa. In particolare, la produzione elettrica verde dovrebbe balzare alprimo posto con il 38%, superando di poco il gas. Un cambiamento di prospettiva non marginale rispetto al precedente Governo che ipotizzava una quota di rinnovabili elettriche del 25% al 2030 (ricordate: un quarto nucleare, un quarto rinnovabili e il resto idrocarburi), data in cui l’elettricità verde coprirà almeno il 45% della domanda…
Un altro elemento che sottolinea il cambio di prospettiva del documento è dato dagli investimenti da attivare entro la fine del decennio. Il 72% dei 180 miliardi di euro previsti sono infatti legati agli interventi sull’efficienza e sulle rinnovabili. Solo il 28% è attribuibile ai settori “convenzionali” quali l’estrazione di idrocarburi e la costruzione di centrali termoelettriche, elettrodotti, gasdotti, rigassificatori.
Tutto bene dunque? Non proprio e per diverse ragioni. La distanza tra obiettivi ambiziosi e gli strumenti previsti, le strane dimenticanze, le proposte poco condivisibili.
Comparti green: buoni obiettivi, strumenti carenti
Partiamo dal primo aspetto. Il percorso normativo e di supporto appare molto incerto. Il caso più clamoroso è quello del fotovoltaico, gestito male già dal precedente Governo, per il quale si auspica un problematico passaggio a una diffusione senza incentivi, visto che il sostegno è destinato ad esaurirsi entro la prossima estate. Anche i meccanismi di incentivazione delle altre rinnovabili elettriche presentano irrigidimenti burocratici e scarsità di risorse. Nel caso delle rinnovabili termiche si ipotizza un raddoppio del loro contributo, ma il sostegno medio, previsto di 0,9 miliardi €/anno, pare difficilmente compatibile con questi risultati.
Per quanto riguarda l’efficienza energetica, giustamente viene definita la priorità della SEN mentre i certificati bianchi vengono indicati come lo strumento principale dei prossimi anni. Peccato che, a soli 4 mesi dalla scadenza degli obiettivi che i distributori di energia elettrica e gas devono raggiungere (dicembre 2012) non si è ancora indicato il target al 2020, elemento decisivo per rendere la proposta credibile. Positiva invece l’indicazione della prosecuzione delle detrazioni fiscali del 55%, ma andranno analizzate le modifiche preannunciate.
Complessivamente, a essere benevoli, la sensazione che emerge rispetto ai compartigreen e white è quella di un “vorrei ma non posso”, avendo indicato come “di gran lunga il primo obiettivo” la riduzione dei costi.
Ma non si considera che una politica oculata sul mix efficienza e rinnovabili si giustifica anche dal punto di vista economico e aiuta il Paese alla radicale transizione energetica dei prossimi decenni. Passiamo ora agli aspetti poco condivisibili.
Criticità estrattive
Una delle novità del documento è la proposta di un improbabile raddoppio della produzione nazionale di idrocarburi da raggiungere con una serie di azioni come quella di ridurre la distanza minima dalle coste per l’estrazione a mare. Aldilà degli aspetti ambientali e di sicurezza che fanno prevedere una battaglia durissima contro molti progetti, questa opzione viene enfatizzata per gli aspetti occupazionali, per le entrate nelle casse pubbliche e per la riduzione delle importazioni per un valore pari a 5 miliardi, rispetto ai 62 miliardi che attualmente vengono spesi. Mentre le prime due ricadute sono reali, ma inferiori rispetto ad altre soluzioni green, come vedremo fra un attimo, l’ultima è alquanto discutibile. Il greggio che Shell o Total contano di estrarre in Basilicata verrà venduto sul mercato internazionale e se l’Italia lo vorrà utilizzare lo pagherà alle quotazioni del momento. Diverso è il caso delle rinnovabili o dell’efficienza che al 2020 comporteranno, secondo gli scenari della SEN, un'effettiva riduzione fisica delle importazioni del valore di 18 miliardi l’anno.
In realtà esistono percorsi alternativi che possono portare benefici maggiori al Paese, come la riqualificazione energetica dell’edilizia, la produzione di biometano (peraltro inopinatamente bocciata dal documento), l’incremento delle rinnovabili.
Vediamo come, per esempio, il fotovoltaico potrebbe garantire un risparmio di metano di 3,7 miliardi di mc/anno, analogo all’aumento estrattivo del 45% ipotizzato nel SEN. In un tempo paragonabile a quello necessario alla ricerca, autorizzazione e messa in attività dei pozzi si potrebbero installare 14 GW solari evitando l’importazione della stessa quantità di metano. Si tratta di una potenza inferiore all’incremento fotovoltaico registrato nel triennio 2010-2012 da connettere in rete senza incentivi e con ricadute occupazionali ed entrate per lo Stato maggiori rispetto all’accelerazione delle estrazioni. Peraltro, sarebbe probabilmente più saggio conservare come riserva di emergenza questi idrocarburi per un futuro in cui i prezzi dell’energia schizzeranno alle stelle.
Incertezze sul gas
Ci sono poi alcuni aspetti poco chiari. Si punta molto per esempio a fare dell’Italia un “hub” del gas, anche per ridurre il prezzo, più alto della media europea, che si traduce anche in aumento delle bollette (a proposito sarebbe interessante un’analisi storica di quest'anomalia). L’idea è condivisibile, ma il rischio è quello di avere unasovrabbondanza di infrastrutture (rigassificatori, gasdotti) rispetto a una domanda in calo e a un'Europa che si avvia verso la decarbonizzazione. Del resto si nota un'incongruenza tra le previsioni sul consumo italiano di gas al 2020 contenute in SEN (-16% rispetto al 2010) e le valutazioni della Snam che ipotizza invece un aumento del 20%. In assenza di indicazioni programmatiche di lungo periodo - a questo dovrebbe servire la SEN - le scelte le faranno le compagnie con il rischio di sovradimensionare gli investimenti, ripetendo lo scenario già visto con le centrali a gas a ciclo combinato.
Amnesie sulle centrali
E a proposito di centrali, un aspetto curioso e anomalo del documento è che non se ne parla affatto. Va bene dare la giusta enfasi a rinnovabili ed efficienza, ma è inspiegabile l’assenza di un capitolo sulla necessità o meno di nuovi investimenti nella produzione convenzionale. Così non si parla degli impianti di Porto Tolle, Rossano Calabro, Saline Joniche, Sulcis, per limitarsi all’alimentazione a carbone, sui quali esistono progetti molto contestati. In una situazione di eccesso di capacità, di forte crescita delle rinnovabili e di domanda stazionaria, dalla Strategia Energetica Nazionale ci si aspetterebbe un'indicazione chiara sulle dinamiche dell’offerta “convenzionale”.
In questa sede si sono analizzati solo alcuni aspetti della SEN. Sulla rivista e sul portale web verranno approfondite criticamente queste e altre tematiche, come quelle riguardanti la rete elettrica e la claudicante ricerca, e si avanzeranno proposte alternative.
04 settembre 2012 Qualenergia
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