Non aver rimosso nessuno degli strumenti della turbofinanziarizzazione sta mettendo a repentaglio -in Europa- la libertà delle scelte democratiche. Anche in Italia, dove il conto della crisi rischia di diventare sempre più insostenibile, scaricato sulle spalle di enti locali e contribuenti
di Alessandro Volpi* - 30 aprile 2012
Troppa incertezza; questo pare essere il tratto che sta caratterizzando da qualche tempo il governo Monti, la cui natura tecnica dovrebbe essere, invece, garanzia di estrema determinazione e soprattutto di grande efficacia.
Certo, a complicare in maniera pesante il quadro concorre l’instabilità generale e quella dei "mercati", che mostrano una cupa tendenza al ribasso, destinata a costituire un’ipoteca gravosa sugli scenari politici. Non aver rimosso nessuno degli strumenti della turbofinanziarizzazione sta mettendo a repentaglio la libertà delle scelte democratiche come testimoniano gli spread, "spaventati" dai risultati del primo turno delle elezioni presidenziali francesi.
La Commissione europea continua a consentire le vendite allo scoperto di titoli del debito pubblico, e sono rimasti in vita sia i derivati sintetici sui debiti sovrani sia la fiera dei credit default swap, che dovrebbero proteggere dai rischi di ribasso e sono diventati invece vere e proprie scommesse sul ribasso stesso. Il valore nominale dei derivati over the counter ha raggiunto i 708mila miliardi di dollari, il 18 per cento in più del 2010, e gran parte di questa montagna di carta è fatta di speculazioni su monete e Stati, fortemente cresciute proprio con la crisi.
Le prime 10 banche Usa hanno fatto utili in un solo trimestre per 20 miliardi di dollari, conseguiti scommettendo al ribasso sull'euro e sui debiti europei. È evidente che i mercati finanziari utilizzano gli strumenti di cui dispongono per scommettere contro le democrazie, dopo aver tratto dagli Stati le risorse per i salvataggi delle banche stesse. Se non si rimuovono tali strumenti la libertà delle scelte democratiche sarà sempre in pericolo. E i contribuenti dovranno finanziare le perdite, pari a 160 miliardi di euro per ogni seduta di borsa negativa.
In un simile circuito vizioso, le stime relative alla consistenza delle manovre di risanamento dei conti pubblici sono sempre carenti: ogni seduta di Borsa che lascia sul campo decine di miliardi di euro e ogni asta che impone rendimenti lievitati costringono i governi a chiedere nuovi sacrifici ai propri contribuenti. Se poi il numero dei Paesi sotto attacco cresce e coinvolge persino triple A, come l’Olanda, o colossi del calibro francese, senza che l’eurozona si sia dotata di uno scudo protettivo sufficientemente esteso, allora i margini dell’incertezza diventano vastissimi.
Tuttavia, pur considerando queste fondamentali variabili di natura esterna, il professor Monti sembra non riuscire a mettere i numeri corretti nelle varie caselle che dovrebbero comporre il quadro del risanamento e del raggiungimento del pareggio di bilancio. Ci sono numeri contrastanti in tema di esodati e ci sono numeri non chiari in relazione alla possibilità o meno di non introdurre a fine estate l’aumento dell’Iva per compensare il mancato taglio dell’esteso repertorio di esenzioni e riduzioni fiscali.
Ci sono numeri controversi sull’entità della spending review, con cifre che ballano di qualche miliardo di euro. In particolare non sono affatto chiari i numeri dell’Imu.
In questi giorni gli enti locali hanno appreso l’entità dei trasferimenti da parte dello Stato, e hanno constatato con sconcerto riduzioni comprese tra il 40 e il 90%, in alcuni casi persino del 100% rispetto all’anno passato. Si tratta di decurtazioni che di fatto impedirebbero in moltissime circostanze di svolgere persino le funzioni essenziali. Per rendere sostenibili tali tagli, tuttavia, il ministero dell’Economia ha messo in rete simulazioni del gettito Imu che risultano estremamente più alte non solo di quelle della vecchia Ici, come era prevedibile per effetto della rivalutazione degli estimi e dell’inserimento della prima casa, ma anche delle proiezioni costruite dai Comuni stessi sui dati in loro possesso. Gli scostamenti tra le previsioni fatte dal ministero e quelle condotte dai Comuni risultano spesso milionarie. Una simile vicenda lascia davvero perplessi perché fa temere una molto probabile rivisitazione verso l’alto delle aliquote di base stabilite dal governo, che del resto si è riservato l’anomala prerogativa di intervenire in tal senso fino al 10 dicembre; da ciò scaturirebbero un pesante aggravio del carico fiscale sui contribuenti, e una vera e propria confusione gestionale per gli enti locali.
Il governo dei tecnici deve sicuramente far fronte ad una situazione difficilissima e sconta incertezze determinate dal contesto generale non preventivabili. È assolutamente indispensabile però che si adoperi per evitare di trasformare l’incertezza in una costante rincorsa normativa e in un caos di numeri troppo mutevoli e poco credibili perché altrimenti il Paese rischia di essere travolto.
* Alessandro Volpi insegna Storia contemporanea e Geografia politica ed economica della Facoltà di Scienze politiche dell’università di Pisa. Il suo ultimo libro è "Sommersi dal debito" (Altreconomia, 2011)
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