Un rigurgito. Il capo della polizia Antonio Manganelli non ha dubbi sulla matrice del ferimento del dirigente Ansaldo Roberto Adinolfi. Sulla natura della rivendicazione della Federazione anarchica informale (Fai) rimandiamo all’opinione espressa su E il mensile on line da Aldo Giannuli, quando analizza un logo sostanzialmente in creative common, pronto all’uso per chiunque voglia appropriarsene. Ma con qualche sfumatura in più. Manganelli, infatti, oggi ha tenuto a ricordare che questo rigurgito era atteso. E infatti la relazione del 22 febbraio del 2012 alla Camera dei Deputati offre alcuni spunti interessanti.
Di quella relazione i media riportarono due concetti elementari: il primo, che gli anarchici insurrezionalisti erano pronti al salto di qualità e cioè l’assassinio. Il secondo che Manganelli chiedeva un reato ad hoc di tipo associativo per riuscire a fermare gruppi di persone che per la natura stessa della loro matrice di militanza sono difficilmente prevedibili o individuabili.
Di quella relazione i media riportarono due concetti elementari: il primo, che gli anarchici insurrezionalisti erano pronti al salto di qualità e cioè l’assassinio. Il secondo che Manganelli chiedeva un reato ad hoc di tipo associativo per riuscire a fermare gruppi di persone che per la natura stessa della loro matrice di militanza sono difficilmente prevedibili o individuabili.
Così’ parlava Manganelli, testo preso dalla relazione nel resoconto stenografico.
L’anarco‐insurrezionalismo, a differenza della mafia, è molto più gentile nei nostri confronti perché ci racconta quello che ha fatto e che farà. Siccome, in questo momento, ci sta dicendo che sta per fare salti di qualità ‐ nello specifico, si parla di assassinio ‐ dobbiamo capire che fino ad oggi ciò non è accaduto solo perché abbiamo avuto fortuna. Infatti, se salta una pentola a pressione o si mette una bomba in un giardino, provocando l’intervento delle forze di polizia, per poi far scoppiare, due minuti dopo, un’altra bomba nelle vicinanze, è evidente che si intende colpire coloro che sono intervenuti. Peraltro, in Grecia l’assistente del Ministro dell’interno ha ricevuto un plico ed è morto.
Certo, potremmo dire che siamo in Italia, quindi non c’entra la Grecia, ma non è così. Infatti, un’altra interessante novità è che la Federazione anarchica informale (FAI) ‐ cioè aggregazione di anarchici di casa nostra ‐ ha ritenuto di aderire a una proposta dell’omologa organizzazione anarchica greca, la Cospirazione delle cellule di fuoco, che ha offerto all’organizzazione italiana e di altri Paesi di formare una sorta di network internazionale piuttosto agguerrito che potesse mettere in piedi delle violente azioni antisistema (le definiamo in questo modo per indicare il tradizionale desiderio anarchico). L’organizzazione anarchica italiana ha, quindi, aderito a questo network e vi sta partecipando.
In una giornata in cui il ministro Cancellieri afferma “più intelligence e meno scorte”, un utilizzo maggiore dell’esercito nella sorveglianza di persone o luoghi a rischio, resta un certo stupore nella parabola di enfasi che ha seguito il ferimento del dirigente. Preoccupazione, prudenza e attenzione non sono in discussione per chi ha cariche istituzionali o per competenza di pubblica sicurezza e repressione dei reati.
Sono i caratteri cubitali a tutta pagina, gli svarioni incredibili di chi ha titolato riportando fra virgolette frasi inesistenti per accreditare i primi documenti non di rivendicazione, ma a sostegno dell’azione, le pagine del giorno dopo che sbattevano fra i fogli e nel dibattito nazionale la Genova sconvolta dalle Brigate Rosse (e si dovrebbe ricordare anche quella sconvolta da metodi poco chiari dell’antiterrorismo). Gli intervistati: Curcio (che peraltro chiedeva di non essere pubblicato), Segio, le firme chiamate a ripercorrere dinamiche arrugginite invocando lo spettro di anni bui. Di piombo, appunto. Uno si riscopre a rileggere le dichiarazioni del capo della polizia – che oggi ha detto che la stagione brigatista è chiusa – cercando di capire come mai gli esperti di eversione, i grandi giornalisti con gli amici fra le barbe finte non hanno saputo indirizzare i titoli dei giornali su altri quadranti. Viene il sospetto, fondato, di trovarsi di fronte a una emergenza nazionale che viene fatta crescere per imporre un tema all’attenzione sociale, specie nel momento di crisi economica che inevitabilmente – lo si scriveva già tre anni fa – sarebbe prima o poi diventato tema di contestazione sociale. Di rivolta non sappiamo ancora.
Sono i caratteri cubitali a tutta pagina, gli svarioni incredibili di chi ha titolato riportando fra virgolette frasi inesistenti per accreditare i primi documenti non di rivendicazione, ma a sostegno dell’azione, le pagine del giorno dopo che sbattevano fra i fogli e nel dibattito nazionale la Genova sconvolta dalle Brigate Rosse (e si dovrebbe ricordare anche quella sconvolta da metodi poco chiari dell’antiterrorismo). Gli intervistati: Curcio (che peraltro chiedeva di non essere pubblicato), Segio, le firme chiamate a ripercorrere dinamiche arrugginite invocando lo spettro di anni bui. Di piombo, appunto. Uno si riscopre a rileggere le dichiarazioni del capo della polizia – che oggi ha detto che la stagione brigatista è chiusa – cercando di capire come mai gli esperti di eversione, i grandi giornalisti con gli amici fra le barbe finte non hanno saputo indirizzare i titoli dei giornali su altri quadranti. Viene il sospetto, fondato, di trovarsi di fronte a una emergenza nazionale che viene fatta crescere per imporre un tema all’attenzione sociale, specie nel momento di crisi economica che inevitabilmente – lo si scriveva già tre anni fa – sarebbe prima o poi diventato tema di contestazione sociale. Di rivolta non sappiamo ancora.
“La Tav è la madre di tutte le preoccupazioni. Lavoreremo anche per il Piemonte”, ha detto la ministra dell’Interno. Eppure la gestione della protesta No Tav ha già visto l’esercito in prima linea e nessun tipo di mediazione politica. Il radicalizzarsi della protesta, che avviene anche per una scelta di ordine pubblico spesso violenta, fa confluire soggetti diversi nella comunità dei No Tav. Se lo notano gli osservatori nei media, l’intelligence lo sa fin da prima, magari anche dall’interno della stessa protesta. Non ci sarebbe davvero da stupirsene.
Allora la domanda che rimane è a cosa serva andare a ripescare gli spettri del passato, di un passato peraltro mai davvero chiuso nemmeno politicamente, solo in nome di dinamiche di agguato molto simili, a prima vista. Come si fa a prospettare un ritorno ad anni che socialmente e politicamente non esistono più. In pochi giorni si è tornati a parlare di esercito con funzione di polizia, di reati ad hoc (la petizione di Manganelli è rimasta sospesa nell’aria), di attenzione alla No Tav.
Il passo successivo può essere la criminalizzazione di chi protesta anche non con metodi pacifici e venga equiparato a chi spara nelle gambe. Gli autunni sono per definizione caldi. Ma con i numeri su occupati, disoccupati e inattivi, con la politica ‘equa’ che ha preso i soldi a senso unico, con i sindacati marginalizzati, la fine della concertazione, la Fiom fuori dalle fabbriche forse si dovrebbero usare parole e pesi con maggiore attenzione.
O si dovrebbe cercare di capire il perché di questa orgasmatica attenzione, spesso senza vere fonti, o con fonti incerte, che fa discendere da un fatto violento una discussione che arriva fino alle espressioni di dissenso, anche di scontro. Cè una politica partitica debole, che reagisce con un linguaggio ripetitivo e che poco si interessa dei mutamenti sociali in atto. Che non riesce a rispondere alla domanda che si pone il prefetto Manganelli nel corso dell’audizione alla Camera: come mai così tanti sedicenni o minorenni negli scontri di piazza che vengono ascritti all’anarco insurrezionalismo?
Emma Bonino, oggi: «Mi ricordo gli anni del terrorismo, niente è mai uguale, ci possono essere similitudini ma in ogni caso la mia impressione è che alla fine è proprio la vanificazione della politica che produce effetti collaterali». «La parte più violenta -ha concluso- è la parte più preoccupante, ma a volte le forze politiche rischiano di soffiare sul fuoco senza rendersi conto che non possono poi spegnere il fuoco quando decidono loro. Trovo irresponsabile questo meccanismo, e mi auguro che chi soffia sul fuoco si ponga qualche domanda in più. Ogni politica ha l’antipolitica che si merita, mi pare di aver sentito dire».
Angelo Miotto E
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