Si è aperta ieri al Senato la discussione sul disegno di legge delega che avrebbe dovuto tagliare la spesa militare. Quella del ministro Di Paola è una “riforma” che comporterà l’aumento della spesa pubblica e delle spese militari. Altro che scure sulla Difesa.
Articolo di: Flavio LottiFinalmente si taglia. I cacciabombardieri F35 passano da 131 a 90. I soldati passano da 190.000 a 150.000. Uno sente queste cose e pensa: finalmente si tagliano le spese militari. E invece no. Quella del ministro Di Paola è una “riforma” che comporterà l’aumento della spesa pubblica e delle spese militari. Altro che scure sulla Difesa. Altro che “spending review”! Questa è una “spendi di più”.
Sottoposto a una fortissima pressione morale ed economica, il ministro della Difesa ha dovuto annunciare la revisione di tutti i programmi di armamento delle forze armate e dell’intero apparato militare. Per ottemperare a questo impegno il ministro ha predisposto un disegno di legge oggi in discussione al Senato con il titolo “Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale”. Cosa dice il ministro? Non c’è alcun bisogno di ridefinire il modello di difesa, perderemmo solo un sacco di tempo. Facciamo noi militari. Il Parlamento deve solo delegarci e noi taglieremo dappertutto: spese, personale, caserme, sprechi, armamenti. Alla fine avremo delle FFAA più efficaci ed efficienti “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, neppure nella fase iniziale del processo”. Anzi, “al termine del processo di riforma, ci saranno significativi vantaggi per la finanza pubblica.” Meglio di così? Dov’è il problema?
Di problemi non ce n’è uno ma molti. Ecco un primo elenco.
1. Il progetto comporta non una riduzione ma un aumento della spesa pubblica. Il ministro vuole liberarsi di circa 33.000 militari scaricando il loro costo sulle altre amministrazioni dello stato. Allo stesso tempo pretende di mantenere inalterato il bilancio a sua disposizione. Ma se il saldo della Difesa resta invariato vuol dire che aumenterà la spesa degli altri ministeri.
2. Il progetto comporta non una riduzione ma un aumento della spesa militare. Il principio-guida è: meno soldati più armi. Ci teniamo gli stessi soldi, riduciamo il personale e investiamo i “risparmi” per comprare nuove armi.
3. Anche la vendita delle infrastrutture militari da dismettere non porterà alcun beneficio al bilancio dello stato o alle comunità locali ma dovrà contribuire ad aumentare il bilancio della difesa.
4. Per incassare altri soldi il ministro pretende inoltre di essere autorizzato a svendere direttamente ad altri paesi le armi di cui si vuole sbarazzare, magari per poi dire che gliene servono di nuove. Di più. Molto di più. Con la riforma il ministro della difesa potrà impegnarsi personalmente nella vendita di armi italiane nel mondo cancellando d’un botto tutte le ipocrisie che circondano l’intreccio tra i militari e l’industria degli armamenti. “In sostanza, l’intervento è volto a rendere maggiormente efficace il rapporto tra lo Stato e le imprese nazionali, al fine di promuoverne l’affermazione in ambito internazionale.”
5. Il ministro ha le idee chiare anche in materia di protezione civile. Non importa quale sia la minaccia da fronteggiare: ogni intervento di protezione civile delle FFAA dovrà essere pagato (dai comuni o dallo stato si vedrà) a piedilista direttamente al ministero della Difesa. Lo stesso vale per i servizi di assistenza al volo sugli aeroporti militari aperti al traffico civile e per ogni altra attività svolta in favore di altri soggetti pubblici o privati. Se qualcuno vuole i nostri servigi deve pagare.
6. Un’altra pretesa del ministro Di Paola si chiama “flessibilità gestionale di bilancio”. Come a dire: voi dateci i soldi, poi decidiamo noi come spenderli. Visto le performance del passato c’è da giurare che non si faranno mancare nulla. Ieri le maserati e domani?
7. Con la stessa spudoratezza il ministro pretende di gestire tutto il delicatissimo capitolo della riduzione del personale militare e civile. Per liberarsi di questo “peso” senza troppi problemi, il ministro pretende che ai suoi uomini non venga applicata la riforma delle pensioni appena approvata, che si adottino trattamenti di favore per il trasferimento dei militari in altre amministrazioni pubbliche, negli enti locali e persino nelle municipalizzate e si estendano alcuni privilegi oggi negati a tutti gli altri.
8. Il piano presentato dal ministro è estremamente vago e difficilmente realizzabile. Ci costringe a impegnare centinaia di miliardi di euro da qui al 2024 senza alcuna garanzia di successo. Tant’è che tra le tante pretese c’è anche quella di prorogare annualmente il termine entro cui realizzare la riforma. Se non basteranno 10 anni, la faremo in 11, 12, 13, 14…. Ma questa è la riforma della repubblica delle banane!
Una riforma così delicata e complessa richiede un ben altro approccio. Prima di tutto il Parlamento discute i problemi della sicurezza dell’Italia e ridefinisce gli obiettivi da perseguire con i diversi strumenti a disposizione. L’ultima volta che ha tentato di farlo erano ancora gli anni ’80. Individuate le finalità si ridefiniscono i criteri d’impiego delle FFAA anche alla luce delle necessità di contenimento della spesa pubblica. Solo allora si dà mandato ai tecnici di riformulare l’organizzazione dello strumento militare. Nel frattempo si dà il via ad un’operazione accurata di lotta agli sprechi, ai privilegi e agli scandali che investono la Difesa e di revisione puntuale di tutti i programmi di armamento, a cominciare dai cacciabombardieri F35.
Niente di tutto questo. Il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola chiede una delega in bianco che gli consentirà di continuare a comprare armi costosissime utili solo a coinvolgere l’Italia in nuove guerre ad alta intensità, di rafforzare l’oscuro mix di interessi che lega la Difesa all’industria militare, di difendere i privilegi della casta militare e di tenere in piedi un carrozzone anacronistico ma molto utile alla mala politica. Impediamoglielo!
Ps. Come mai il disegno di legge delega è stato presentato solo dal Ministro della Difesa? Eppure si tratta di un provvedimento estremamente complesso che coinvolge numerosi ministeri e modifica ruoli e poteri. Perché non c’è la firma del Presidente del Consiglio dei ministri? Perché il testo non è stato concordato con i ministri dell’economia, delle finanze, degli affari esteri, del lavoro e delle politiche sociali, per la pubblica amministrazione e la semplificazione?
Flavio Lotti, Coordinatore Nazionale della Tavola della pace
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