Ha scritto Lucina Di Meco su Europa pochi giorni fa un articolo prodigo di elogi a Matteo Renzi, impostando la propria analisi dell’elettorato di sinistra su una supposizione tutta particolare. In breve, nell’articolo, eloquentemente intitolato “Renzi cittadino della Sinistra”, si sostiene che il Sindaco di Firenze non riesca ancora a scaldare i cuori dei fedelissimi elettori della Sinistra, dei militanti storici, di quella parte non indifferente di elettori che hanno votato direttamente il Pci o, comunque, ne sono culturalmente eredi.
E, continua la giornalista, questa insofferenza verso Renzi non è non dovuta tanto a questa o quella scelta, questa o quella proposta, ma al fatto che loro non lo riconoscono come parte della sinistra. Ancor più interessante è la motivazione che la Di Meco dà a questa più o meno apparente lontananza di Renzi dalla Sinistra: “Con il suo pragmatismo, la sua mancanza di falsa modestia e la sua incapacità di identificarsi con l’apparato e le correnti di partito, Renzi si allontana da quello che è stato finora lo stile della sinistra. Uno stile che, dopo la caduta del Partito comunista italiano, è diventato per molti l’unico segno distintivo dell’appartenenza di sinistra“. In pratica, secondo questa lettura, Renzi sarebbe così moderno e politicamente “anglosassone” che i vecchi e nuovi militanti “estremi” della sinistra italiana non riescono a identificarsi in lui.
Ci sarebbe dunque un’avversione a prescindere nei suoi confronti, al di là delle sue proposte politiche. Questo soprattutto perché l’identità della sinistra è ancorata al Pci come principale punto di riferimento ideologico e culturale. Continua lapidaria l’editorialista di Europa: “Che piaccia o no, il Pci è ancora il grande mito della sinistra. Dopo più di vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino (e del Pci), la sinistra non è ancora riuscita a proporre al paese un nuovo modello sociale, economico e culturale alternativo a quello del centrodestra. Una cosa è certa, e vale in particolare per la sinistra: non sarà guardando al passato, al mito e alle ceneri del Pci, che riempiremo di nuovo le piazze di gente appassionata“.
Leggendo questa breve analisi politico-psicologico-elettorale (a tratti è così superficiale e sbrigativa che sarebbe arduo ammetterla anche a uno solo di questi campi) viene istintivamente da porsi almeno due domande. La prima è se sia davvero reale che i militanti “ex-Pci” non trovino in Renzi un punto di riferimento a prescindere dalle sue proposte. La seconda è più generale e riguarda il valore e lo scopo della Politica.
Alla prima domanda la risposta è del tutto evidente: sostenere che i militanti di sinistra siano pregiudizialmente contrari a Renzi è una stupidaggine grande come la Reggia di Caserta. Le persone di sinistra sono forse quelle che in questi anni sono rimaste ad ascoltare molto di più di quanto non abbia fatto chiunque altro. E, guarda caso, i “militanti storici” hanno anche sentito Renzi difendere senza se e senza ma Sergio Marchionne nel 2010, hanno anche visto Renzi avere un supporter del tutto particolare, come Silvio Berlusconi. E, guarda caso, hanno anche visto Renzi fare suo il programma economico liberista di Pietro Ichino; hanno sentito Renzi criticare l’attivismo sindacale della Fiom; hanno sentito Renzi avere una posizione quantomeno ambigua sui beni comuni. Insomma, tutto si può dire sulle critiche “da sinistra” a Renzi, ma non che siano prive di fondamenti fattuali.
Sulla seconda questione, il valore e il significato della politica, appare alquanto particolare che una persona intelligente come Lucina Di Meco sostenga che l’obiettivo della sinistra debba essere quello di tornare a riempire le piazze come faceva il Pci.
A cosa serve dunque riempire le piazze se non si riempiono i discorsi di contenuti, di progetti, di una visione? Possiamo forse bearci di fare concorrenza a Grillo e Berlusconi portando tanta gente in piazza? E dopo? Quando avremo superato in quantità i due simpatici figuri sopra citati, che facciamo? Si vince un premio? Non sarebbe forse meglio partire da ciò che il Pci nelle piazze diceva e, coerentemente, in Parlamento attuava? Non sarebbe forse più proficuo cercare di scardinare il concetto di politichetta che ha dominato questi ultimi venti anni, quello di un comitato affaristico che, se va bene, ha nell’adulazione del Capo la propria funzione essenziale ed esistenziale? Non sarebbe forse meglio ripartire dalla questione morale, dai diritti civili come risorsa di sviluppo civico e di benessere sociale? Non sarebbe forse meglio riempire le piazze basandosi su alcuni fermi e saldi principi, come l’Eguaglianza, la Giustizia sociale e la Solidarietà invece che sull’osannazione sistematica dell’uomo forte di turno?
Scritto da: Gill Gastaldelli
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