Quanto valgono 26 milioni di voti? Nulla, almeno in Italia. Sono passati più di due anni da quel 12 e 13 giugno 2011 quando ci si recò alle urne per i referendum: due dei quattro quesiti riguardavano l'acqua. Al primo, contro la privatizzazione della gestione delle risorse idriche, si espressero col “sì” 25.935.372 elettori, pari al 95,35% dei votanti. Il secondo, che voleva l’abolizione della “adeguata remunerazione del capitale investito dai gestori” (ossia che le società private lucrassero sull'acqua), ottenne addirittura 26.130.637 consensi, il 95,80% dei voti espressi.
Risultato? Zero. O meglio, quasi zero: le tariffe non sono cambiate e non è stata fatta alcuna nuova legge che tenesse conto della pressoché unanime volontà popolare. Solo quattro Comuni su ottomila (Napoli, Palermo, Reggio Emilia e Vicenza) sono tornati a rendere pubblica la gestione dell'acqua. Nel resto del Paese tutto è come prima.
Non è la prima volta. Accadde anche col referendum sul finanziamento pubblico dei partiti, come pure sull'immunità parlamentare dei politici. Il voto popolare li abolì entrambi, ed entrambi sono stati camaleonticamente reintrodotti, sotto forme e formule diverse. Mai era successo, però, come nel caso dell'acqua, che tanti elettori si recassero ai seggi (è stato il referendum con la più alta affluenza della storia repubblicana) e che esprimessero in maniera tanto schiacciante il “no” alla privatizzazione.
L'unica norma introdotta dopo la consultazione del 2011 è quella che demanda all'“Autorità per l'energia elettrica e il gas” la determinazione dei nuovi criteri per calcolare le tariffe. E che ha fatto l'Autorità? Ha inserito, alla fine del 2012, una nuova voce: il “rimborso degli oneri finanziari” per i gestori delle risorse idriche. Che secondo il Forum dei movimenti per l’acqua pubblica è un sotterfugio per far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta: cioè garantire un utile alle società private di gestione. L'esatto contrario di quanto avevano votato i cittadini, che rifiutavano il principio stesso che si consentisse alle aziende di fare profitti su un bene comune essenziale alla vita come l'acqua.
Dunque, referendum tradito. Rimangono le proteste dei comitati dei cittadini, le cause legali, le battaglie dei ricorsi al Tar. E la politica del palazzo. Che del voto di due anni non sembra serbare neanche il ricordo.
Fonte: www.famigliacristiana.it
Risultato? Zero. O meglio, quasi zero: le tariffe non sono cambiate e non è stata fatta alcuna nuova legge che tenesse conto della pressoché unanime volontà popolare. Solo quattro Comuni su ottomila (Napoli, Palermo, Reggio Emilia e Vicenza) sono tornati a rendere pubblica la gestione dell'acqua. Nel resto del Paese tutto è come prima.
Non è la prima volta. Accadde anche col referendum sul finanziamento pubblico dei partiti, come pure sull'immunità parlamentare dei politici. Il voto popolare li abolì entrambi, ed entrambi sono stati camaleonticamente reintrodotti, sotto forme e formule diverse. Mai era successo, però, come nel caso dell'acqua, che tanti elettori si recassero ai seggi (è stato il referendum con la più alta affluenza della storia repubblicana) e che esprimessero in maniera tanto schiacciante il “no” alla privatizzazione.
L'unica norma introdotta dopo la consultazione del 2011 è quella che demanda all'“Autorità per l'energia elettrica e il gas” la determinazione dei nuovi criteri per calcolare le tariffe. E che ha fatto l'Autorità? Ha inserito, alla fine del 2012, una nuova voce: il “rimborso degli oneri finanziari” per i gestori delle risorse idriche. Che secondo il Forum dei movimenti per l’acqua pubblica è un sotterfugio per far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta: cioè garantire un utile alle società private di gestione. L'esatto contrario di quanto avevano votato i cittadini, che rifiutavano il principio stesso che si consentisse alle aziende di fare profitti su un bene comune essenziale alla vita come l'acqua.
Dunque, referendum tradito. Rimangono le proteste dei comitati dei cittadini, le cause legali, le battaglie dei ricorsi al Tar. E la politica del palazzo. Che del voto di due anni non sembra serbare neanche il ricordo.
Fonte: www.famigliacristiana.it
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