Solo una persona molto smemorata, o un orecchiante dell'economia, possono credere che negli anni '70 il tasso di disoccupazione italiano fosse a due cifre come oggi. L'analisi dei dati lo dimostra
Un interessante scambio su Twitter mi ha fatto capire che nel mondo dell'informazione sono per lo più ignoti (a meno che non siano travisati) alcuni fatti cruciali relativi all'economia italiana. Con l'occasione, mi preme sottolineare che il Sole24Ore, per una volta, ha fornito il dato in modo corretto: dire che il dato attuale è il più elevato dal 1977, infatti, non significa dire che il dato attuale sia uguale a quello del 1977, cioè che si sia, per così dire "tornati" al 1977. Significa semplicemente dire che se si va indietro fino al 1977 con i dati dell'Istat non si riscontra mai un valore altrettanto elevato.Credo che la forzatura commessa dal dr. Zucconi, affermando che "siamo tornati al 1977", risenta di un suo certo qual desiderio compulsivo di ricostruire orwellianamente la storia, un peccatuccio nel quale ogni tanto egli incorre (se sia veniale o meno lo giudichino i lettori, considerando la recidiva, e la posizione di responsabilità che il personaggio occupa).
Tuttavia alcune osservazioni fatte da lettori del mio blog mi hanno reso consapevole del fatto che, al di là delle possibili distorsioni ideologiche, esiste un reale bisogno di informazione statistica corretta. Voglio chiarire che in questo caso la distorsione ideologica appare determinata dalla volontà di indurre nel lettore l'idea che quando l'Italia era dotata di una propria valuta nazionale tutto (disoccupazione inclusa) andasse peggio. Una volontà palesata dal tanto rivelatorio quanto ingenuo "e non potevamo nemmeno dare la colpa all'€". Insomma, Zucconi è effettivamente convinto che negli anni '70 la disoccupazione fosse a due cifre, e ovviamente, se così fosse stato, non si sarebbe che potuto concludere con lui che l'euro non c'entrava nulla (essendo ancora in mente Dei, o più esattamente nella mente di Werner).
Peccato però che le cose non stiano esattamente così.
Chiariamoci: nessuno può ragionevolmente pensare che la valuta nazionale (come del resto la valuta sovranazionale) sia una bacchetta magica che risolva tutti i problemi. Semplicemente, ogni economista professionista sa che non esistono "pasti gratis" (no free lunch), non ci sono soluzioni miracolose. In ogni circostanza i benefici vanno soppesati coi costi. Per capire però quali siano gli effettivi costi e gli effettivi benefici sarebbe auspicabile che chi informa fornisse dati corretti, senza i quali non si può avere una effettiva e compiuta democrazia.
Ora, duole rimarcare che solo una persona molto smemorata, o un orecchiante dell'economia, possono credere che negli anni '70 il tasso di disoccupazione italiano fosse a due cifre come oggi.
Come mi è capitato di fare in precedenti post, vi fornisco il dato. La storia della sua evoluzione ci prenderebbe troppo spazio. Dopo vent'anni di attività di ricerca nel campo della modellistica macroeconomica mi è facile fornirvi una serie storica sufficientemente lunga del tasso di disoccupazione in Italia. Uso a questo scopo il dato annuale, disponibile fin dal 1960 (e certamente anche da prima, con un po' di pazienza). La serie è ricostruita attingendo a varie fonti sovranazionali, le quali riportano il dato che viene loro trasmesso, nel quadro di protocolli standardizzati, dagli uffici statistici nazionali. In altri termini, la consultazione dei relativi Annuari Statistici dell'Istat, che può essere effettuata presso la biblioteca di ogni Dipartimento di Economia, fornirebbe un quadro sostanzialmente identico (a meno di qualche decimale).
Credo che vedere i dati effettivi aiuterà tutti a farsi un'idea sia del tipo di informazione che circola nei media cosiddetti mainstream, sia, cosa più seria ed urgente, della tragicità della situazione attuale (le etichette dei dati ne indicano la fonte, per la quale vedi sotto).
Brevi commenti. La disoccupazione, in Italia, è passata "a due cifre" nel 1985 (i "terribili" anni '70 erano finiti da un lustro, salvo errore), e ci è rimasta fino al 2000, raggiungendo un massimo pari al 12% nel biennio 1988-89. La discesa della disoccupazione si fa evidente dal 1998, anno nel quale cominciano ad avvertirsi gli effetti del discusso pacchetto Treu (al quale oggi si tende ad imputare almeno in parte il calo della produttività del lavoro e quindi il declino dell'economia italiana, come ho argomentato qui e come è stato discusso in questoe in altri seminari). Notate che per raddoppiare dal 6% al 12%, il tasso di disoccupazione, nei "terribili" anni '70, impiegò 17 anni (dal 1972 al 1988). Nell'attuale regime (monetario) europeo ce ne sono voluti solo 7 (dal 2007 al 2013).
Dato che l'informazione corretta viene osteggiata dai media, mi perdonerete se mi dilungo in noiosissime precisazioni, inutili a chiunque abbia un minimo di memoria storica, ma necessarie in un paese nel quale pronunciare una semplice verità statistica apre la stura a un profluvio di fastidiose polemiche.
OECD è il tasso di disoccupazione calcolato utilizzando le serie degli occupati totali e della forza lavoro riportate dall'edizione 1997#2 del Compendio Statistico OCSE, utilizzato nel database di questo lavoro (la serie termina nel 1990).
IFS è il tasso di disoccupazione riportato dall'edizione 2012#12 delle International Financial Statistics del Fondo Monetario Internazionale (la serie inizia nel 1985 e termina nel 2011).
WEO è il tasso di disoccupazione riportato dall'edizione di aprile 2013 del World Economic Outlook (la serie coincide con la precedente ma arriva al 2012).
Notate che per ognuna di queste serie il grafico riporta osservazioni parzialmente sovrapposte (overlapping), in modo da verificare che effettivamente i dati fossero compatibili. Siccome i dati sono compatibili, la sovrapposizione è pressoché perfetta, tanto che se non ve lo avessi detto forse non l'avreste nemmeno notata. In altre parole: i dati sono questi. Full stop.
Previsione è la previsione riportata dalla fonte precedente (WEO), che arriva fino al 2018.
Notiamo, per concludere, che una riduzione così rapida del tasso di disoccupazione si è in effetti già manifestata in passato, ma appunto a patto di riforme "strutturali" la cui logica oggi viene discussa non solo in Italia e che comunque, proprio in quanto strutturali, sono irripetibili. La struttura del mercato del lavoro italiano è già stata cambiata (riteniamo in peggio), e non è pensabile che ulteriori "flessibilizzazioni" possano fare nuovamente il "miracolo", se tale è stato (cosa sulla quale, come abbiamo detto, siamo in molti economisti a nutrire più di qualche ragionevole dubbio).
Dal blog di Alberto Bagnai
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