venerdì 24 maggio 2013

Da Penati al governo Letta, fino su al Colle. La Repubblica fondata sulle balle


L'ultimo in ordine di tempo è Filippo Penati, ex capo della segreteria di Bersani, che da mesi va dicendo di voler rinunciare alla prescrizione e non lo fa. Ma è solo un elemento di una lunga fila di menzogne raccontate dalla politica e dai politici agli italiani. Balla per balla, ecco la legislatura della pacificazione

di   Il Fatto Quotidiano

L’Italia è una Repubblica fondata sulla balla. L’ultima, in ordine di tempo, è la promessa di Filippo Penati di rinunciare alla prescrizione nel processo sulle tangenti per l’ex area Falck. Per evitare equivoci l’ha anche ribadita anno per anno (“Non mi nascondo dietro alla prescrizione“, 30/8/2011, “Pronto a rinunciare“, 8/8/2012) e fino all’ultimo (“Non voglio la prescrizione“, 13/5/2013) A sette giorni dall’ultima promessa, però, l’ex presidente della Provincia e responsabile della segreteria politica di Bersani non si è presentato in aula, non ha risposto al suo legale che lo cercava disperatamente sul telefonino e alla fine ha incassato la prescrizione del reato. Evviva.
Ma come prendersela con lui quando l’intera storia politica italiana è costellata di bugiardi patentati? Lasciamo stare le promesse elettorali e le balle storiche che, giorno dopo giorno, hanno minato la credibilità del ceto politico italiano, a suon di case e cose a loro insaputa. Le prime settimane delgoverno Letta offrono già un ricco campionario, a partire dal giorno in cui si è presentato alle Camere con una serie di impegni solenni sui quali ha ottenuto la fiducia. Dal giorno dopo – è sotto gli occhi di tutti – i propositi del governo sono naufragati, uno dopo l’altro, sulla strada del compromesso dei partiti che lo sostengono. Perfino la sua composizione, la natura stessa dell’esecutivo, si rivelano presto viziati da una serie di promesse subito infrante.
LE BUGIE DI LETTA: “GOVERNO DI EMERGENZA, SQUADRA SNELLA E SOBRIA”Nei giorni in cui Enrico Letta fa le consultazioni lancia un messaggio di cambiamento importante (“Governo snello e sobrio in grado di agire subito”, 25/4/2013). Finalmente. Passano due giorni, i partiti fanno a gara per garantirsi poltrone su poltrone, e il governo Letta nasce con 21 ministri e40 sottosegretari. Da snello a extra-large. Ma almeno è sobrio? Abbastanza da infilare l’amazzoneBiancofiore, notoriamente ostile ai gay (“Si ghettizzano da soli“, 4/5/2013), sulla seconda poltrona del Ministero per le Pari Opportunità e una laureata in giurisprudenza (Nunzia De Girolamo) come ministro dall’Agricoltura (in palese conflitto di interesse familiare). Pesante anche il fardello di impresentabili nei sottoranghi del governo che annovera un viceministro (Bruno Archi) che è teste della difesa del processo Ruby, uno agli Interni (Filippo Bubbico) con un processo a carico per abuso d’ufficio, fino al Micciché nazionale. Spunta anche Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno con procedimenti a carico, dunque viceministro di Infrastrutture e trasporti. Insomma, sobrietà al potere. 
LA STRATEGIA: NON CENTRARE GLI OBIETTIVI MINIMI PER ALLUNGARE LA VITA AL GOVERNO 
Per fare cosa? Presa la fiducia, in più occasioni, il nuovo premier rassicura tutti che il governo del compromesso nasce sotto la stella polare dell’emergenza e dovrà durare giusto il tempo di fare tre cose: la riforma della legge elettorale, un taglio netto ai costi della politica, provvedimenti urgenti per rilanciare l’occupazione. Ebbene? Dall’insediamento a oggi, meno di un mese, le priorità sono già cambiate e i tempi di vita del governo si sono dilatati, dalla convenzione di 18 mesia cinque anni. La legge elettorale si sta rivelando ogni giorno di più una colossale presa per i fondelli. All’inizio era “una legge da cambiare assolutamente” (5/5/2013). 
Fino a tre giorni fa Letta assicurava ancora: “Quella con cui voteremo non è il Porcellum” (20/5/2013). Ora che perfino laConsulta rischia di bocciare la legge porcata, il governo si dà da fare per tenerla in vita a ogni costo, rimaneggiandola perché passi il vaglio dei magistrati (“Bisogna rispondere alla Consulta“, 22/5/2013). Resta invece in alto mare quel decretino di quattro righe che doveva garantire quanto meno il ritorno al Mattarellum. Non è pervenuto. 
Fin qui sono balle politiche. Ma c’è un altro tema che sta a cuore al governo, il fronte caldo del lavoro. Quello che per Letta doveva essere “la mia ossessione” (“E’ il cuore del mio impegno, lo dimostrano le parole e soprattutto i fatti“, 19/5/2013). Per la verità finora non si è visto molto, se non l’intenzione di ridurre i tempi d’attesa tra un contratto a termine e l’altro. In pratica l’occupazione, questa la tesi giuslavoristica che guida l’esecutivo, arriverebbe da un’ulteriore iniezione di flessibilità. Nel frattempo, il lavoro Letta lo cerca a Bruxelles, dove ha strappato l’ok per mettere il tema al centro del prossimo vertice di giugno. Ci pensino loro. 
LE PROMESSE TRADITE DELLA PACIFICAZIONEInsomma, al netto delle promesse infrante, il bottino del governo finora è magro. Del resto, dopo aver palesato le sue finalità essenziali, si è dovuto impegnare su altre. A rincorrere, ad esempio, le promesse elettorali del Pdl sull’abolizione dell’Imu che, tanto per cambiare, era una balla (non c’era alcun accordo con la Svizzera a coprire l’operazione). E infatti si è approdati non all’abolizione e tantomeno alla restituzione ma a un incerto salto della rata di giugno e alla promessa di una riforma entro il 31 agosto. L’altro fronte caldo del governo è legato a una missione speciale: far sopravvivere se stesso alle continue rappresaglie dello scomodo azionista, Silvio Berlusconi. Campione di balle al punto da meritarsi un libro (“Le mille balle blu“, Rizzoli 2006), a 76 anni il Cavaliere è in forma smagliante e ne rifila di grosse. La più smaccata, di questi tempi, è la rassicurazione – a reti unificate – sulla deposizione delle armi per il bene del Paese. La promessa è di non minare la strada del governo. Nessuna interferenza da Arcore per neutralizzare la magistratura e i suoi guai. Ci penseranno altri: tutti in fila sulle rampe del tribunale di Milano per il processo Ruby, tutti in piazza a Brescia per quello Mediaset, con le mani pronte ad allungare nuove leggine ad personam (il salva-Dell’Utri sulla prescrizione del concorso esterno, l’ennesimo tentativo di stretta sulle intercettazioni….).
Il principale nega ogni ricatto all’esecutivo, ma ad affermarlo ci pensano i suoi parlamentari, in particolare il presidente della commissione Giustizia Nitto Palma (“Se passa l’ineleggibilità il governo cade”). Berlusconi, a differenza dei meno talentuosi, ha però il senso dell’ironia e quando spara balle, a quanto pare, si diverte. Per settimane il Pd è finito nel panico. Ha preso sul serio le esternazioni di Berlusconi sulla presidenza della convenzione per le riforme costituzionali. Berlusconi padre costituente, roba da sbellicarsi. E infatti sarà lui per primo a riderci sopra dichiarando aMattino Cinque (“Io presidente, facevo per scherzare” 8/5/2013). Ma nella Repubblica delle balle, ormai, si tende a credere a tutto.
LA BUGIE IN CIME AL COLLE E QUELLE A BORDO CAMPOSe il governo e i suoi azionisti sono a pieno titolo impegnati nel girone dei bugiardi non è che le altre cariche dello Stato si tirino indietro. A cominciare dall’imbarazzo di Napolitano nell’annosa vicenda delle intercettazioni e del processo sulla trattativa. Anche nel suo caso la balla è “fondativa” cioè sta alla base del suo incarico. Aveva chiarito in mille salse la sua indisponibilità a restare al Quirinale (“Mio bis non è ipotizzabile“, 13/2/2013). Mai e poi mai (“Non mi convinceranno a restare“, 14/4/2013). Prima perché troppo vecchio, poi perché “pare impossibile che l’Italia sia incapace di esprimere una figura all’altezza”. Ma diventa possibile giusto sei giorni dopo, grazie al Pd. Impallinando Prodi e rifiutandosi di convergere su Rodotà, il partito di Bersani alla fine troverà il modo di lasciarlo lassù.
E Napolitano torna sui suoi passi, si rimangia il fermo proposito presidenziale, e si limita a un laconico “Non prevedevo di essere rieletto” (22/4/2013). Anche chi sta a bordo campo, va detto, si esercita a spararle grosse. Ad esempio Mario Monti, che aveva stragiurato di non voler scendere in campo (“Non mi candido ma pronto a servire paese“, 27/9/2012).  Ci è salito due mesi dopo, lasciando di stucco Napolitano, gli azionisti del suo governo e milioni di italiani. Era una balla tecnica. Un altro campione è Matteo Renzi, uno che non le manda a dire e che quindi è facile cada in contraddizione. Ha giurato in mille modi trasparenza, ma ci sono voluti mesi per avere qualche ragguaglio su chi ha finanziato la sua campagna per le primarie. Renzi è esuberante della politica. Impossibile trattenerlo. Anche quando è lui stesso a fare voto di silenzio. Nel giorno nero del Pd, quello della debaclé su Prodi che prelude alle dimissioni di Bersani silenzia se stesso: “Torno a Firenze e non dicono nulla per non danneggiare il partito”. Davvero? Macché, la tentazione di saltellare sulla spina dorsale del Pd agonizzante è troppo forte. E l’indomani, giorno del silenzio, riuscirà a esternare 22 volte su tutto e tutti, sui 101 traditori, sull’endorsement pro Rodotà di Barca (“intempestivo”) fino a salutare come “molto positiva” la rielezione di Napolitano. 

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