Gli ultimi sondaggi, aggregati ed analizzati dal blog +972Mag, continuano a dare la vittoria al blocco di destra, guidato dal partito del primo ministro uscente Benyamin Netanyahu, che ha presentato una lista unica del Likud e di Yisrael Beitenu del falco Avigodr Liberman. Likud Beitenu avrebbe 33 seggi, equivalenti a quasi il 28 per cento dei voti. Gli alleati più prossimi, Bait Yehudi e Otzma, avrebbero altri 15 seggi (14 e 1 rispettivamente), portando a 48 il pacchetto di seggi “sicuri” da cui partire per creare una coalizione di governo con altri partiti.
Dall’altro lato dello schieramento parlamentare, il partito Laburista di Shelly Yachimovich, si fermerebbe a poco meno di 17 seggi (13,8 per cento dei voti) e alla sua sinistra il Meretz potrebbe arrivare a sei seggi (5 per cento). In mezzo, i partiti centristi: Kadima, ormai in via di sparizione con meno del 2 per cento; Hatnua, guidato dall’ex ministra degli esteri Tzipi Livni, con 7 seggi (5,9 per cento) e il nuovissimo Yesh Atid, del giornalista televisivo Yair Lapid, che con il 9 per cento dei voti e probabilmente 11 seggi è di fatto il principale partito di centro. I partiti religiosi (Shas, United Torah Judaism e Am Shalem, arrivano assieme a 18 seggi, mentre il blocco dei partiti non sionisti (Hadash, Ra’am Ta’al e Balad, gli ultimi due sono arabi, il primo invece è misto arabo-ebraico) potrebbe arrivare a undici seggi.
Le ultime ore di campagna elettorale sono dedicate alla caccia agli indecisi che, stando alle ultime rilevazioni, sarebbero ancora il 15 per cento di quanti hanno dichiarato che andranno alle urne. L’equivalente insomma di 17 o 18 seggi alla Knesset, abbastanza per spostare radicalmente gli equilibri parlamentari e lasciare aperta la possibilità, invero abbastanza remota, di una coalizione alternativa a un nuovo governo guidato da Netanyahu.
Il giorno dopo il voto, quindi, si aprirà una cruciale fase di negoziato tra i partiti per capire quale governo potrebbe avere la maggioranza alla Knesset. L’ipotesi di una “grande coalizione” Likud-Laburisti è tramontata da tempo, visto che Yachimovich ha escluso questo scenario dopo le dichiarazioni di alcuni candidati a proposito del futuro del negoziato di pace con i palestinesi.
La sensazione prevalente è che il nuovo governo rischia di essere ancora di più sbilanciato a destra. Sia perché nelle liste di Likud Beitenu sono entrati – grazie a primarie mal organizzate da Netanyahu – molti falchi schierati su posizioni analoghe a quelle di Liberman, sia perché negli ultimi giorni di campagna elettorale, Netanyahu stesso ha corteggiato i settori più conservatori e nazionalisti del suo elettorato, in particolare usando il tema delle colonie – illegali per la legge internazionale – costruite oltre la linea verde del 1967.
Nelle ultime settimane, Netanyahu e i suoi sono diventati sempre più espliciti nel dichiarare il proprio sostegno ai movimenti di coloni e il governo ha anche lanciato nuovi piani di edificazione, sia a Gerusalemme Est che nella cosiddetta zona E1, quella tra Gerusalemme e la colonia di Maale Adumim. L’ultima mossa in questa direzione è dell’ex leader laburista e ora ministro della difesa Ehud Barak che ha ordinato di ridisegnare il tracciato del Muro in modo da comprendere anche la E1, tagliando di fatto l’accesso ai palestinesi a questa zona, che è poi quella dove, nei giorni scorsi attivisti palestinesi e internazionali avevano costruito un “insediamento” di protesta, Bab al-Shams (Porta del sole, dal titolo del romanzo dello scrittore libanese Elias Khoury, una grande epopea palestinese), sgomberato rapidamente dalle autorità israeliane. L’intento di Barak è di chiudere l’accesso alla E1 dal villaggio palestinese di Al Zaim, i cui abitanti avranno sostanzialmente due scelte: essere inglobati dai nuovi insediamenti o abbandonare il villaggio. Il governo Netanyahu dovrà decidere cosa fare nella prossima settimana, dopo il voto. Un ottimo caso per capire che, anche un eventuale nuovo governo – ammesso che ne abbia la volontà e la forza politica – dovrà confrontarsi con i provvedimenti presi da Netanyahu negli ultimi anni e con i danni, interni e internazionali, che hanno causato.
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
Dall’altro lato dello schieramento parlamentare, il partito Laburista di Shelly Yachimovich, si fermerebbe a poco meno di 17 seggi (13,8 per cento dei voti) e alla sua sinistra il Meretz potrebbe arrivare a sei seggi (5 per cento). In mezzo, i partiti centristi: Kadima, ormai in via di sparizione con meno del 2 per cento; Hatnua, guidato dall’ex ministra degli esteri Tzipi Livni, con 7 seggi (5,9 per cento) e il nuovissimo Yesh Atid, del giornalista televisivo Yair Lapid, che con il 9 per cento dei voti e probabilmente 11 seggi è di fatto il principale partito di centro. I partiti religiosi (Shas, United Torah Judaism e Am Shalem, arrivano assieme a 18 seggi, mentre il blocco dei partiti non sionisti (Hadash, Ra’am Ta’al e Balad, gli ultimi due sono arabi, il primo invece è misto arabo-ebraico) potrebbe arrivare a undici seggi.
Le ultime ore di campagna elettorale sono dedicate alla caccia agli indecisi che, stando alle ultime rilevazioni, sarebbero ancora il 15 per cento di quanti hanno dichiarato che andranno alle urne. L’equivalente insomma di 17 o 18 seggi alla Knesset, abbastanza per spostare radicalmente gli equilibri parlamentari e lasciare aperta la possibilità, invero abbastanza remota, di una coalizione alternativa a un nuovo governo guidato da Netanyahu.
Il giorno dopo il voto, quindi, si aprirà una cruciale fase di negoziato tra i partiti per capire quale governo potrebbe avere la maggioranza alla Knesset. L’ipotesi di una “grande coalizione” Likud-Laburisti è tramontata da tempo, visto che Yachimovich ha escluso questo scenario dopo le dichiarazioni di alcuni candidati a proposito del futuro del negoziato di pace con i palestinesi.
La sensazione prevalente è che il nuovo governo rischia di essere ancora di più sbilanciato a destra. Sia perché nelle liste di Likud Beitenu sono entrati – grazie a primarie mal organizzate da Netanyahu – molti falchi schierati su posizioni analoghe a quelle di Liberman, sia perché negli ultimi giorni di campagna elettorale, Netanyahu stesso ha corteggiato i settori più conservatori e nazionalisti del suo elettorato, in particolare usando il tema delle colonie – illegali per la legge internazionale – costruite oltre la linea verde del 1967.
Nelle ultime settimane, Netanyahu e i suoi sono diventati sempre più espliciti nel dichiarare il proprio sostegno ai movimenti di coloni e il governo ha anche lanciato nuovi piani di edificazione, sia a Gerusalemme Est che nella cosiddetta zona E1, quella tra Gerusalemme e la colonia di Maale Adumim. L’ultima mossa in questa direzione è dell’ex leader laburista e ora ministro della difesa Ehud Barak che ha ordinato di ridisegnare il tracciato del Muro in modo da comprendere anche la E1, tagliando di fatto l’accesso ai palestinesi a questa zona, che è poi quella dove, nei giorni scorsi attivisti palestinesi e internazionali avevano costruito un “insediamento” di protesta, Bab al-Shams (Porta del sole, dal titolo del romanzo dello scrittore libanese Elias Khoury, una grande epopea palestinese), sgomberato rapidamente dalle autorità israeliane. L’intento di Barak è di chiudere l’accesso alla E1 dal villaggio palestinese di Al Zaim, i cui abitanti avranno sostanzialmente due scelte: essere inglobati dai nuovi insediamenti o abbandonare il villaggio. Il governo Netanyahu dovrà decidere cosa fare nella prossima settimana, dopo il voto. Un ottimo caso per capire che, anche un eventuale nuovo governo – ammesso che ne abbia la volontà e la forza politica – dovrà confrontarsi con i provvedimenti presi da Netanyahu negli ultimi anni e con i danni, interni e internazionali, che hanno causato.
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
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