Mai avremmo immaginato di scrivere qualcosa in difesa di Alessandro Sallusti.
Lo ha fatto persino Travaglio, ma lui è un giornalista, è parte in causa, noi no.
E questo è sbagliato. Perché quando si mettono a rischio la libertà di stampa e di espressione, siamo tutti parti in causa. Perché molti politici, o potenti in genere, usano la querela preventiva come mezzo per intimidire giornalisti, comici e voci a loro contrarie. Non a caso, quando accadde a Luttazzi, propose di inserire nei codici civile e penale un comma che diceva, più o meno, così: “Ok, te mi quereli per centinaia di migliaia di euro. Però se perdi la causa, li dai te a me!”
Ma Luttazzi è stato troppo frettolosamente, e ingiustamente, dimenticato.
E ora tocca a Sallusti.
Sallusti che ha intrapreso una battaglia di libertà contro un magistrato che lo ha denunciato per diffamazione.
Sallusti nuovo Bobby Sands, nuovo Gandhi, nuovo Nelson Mandela… e la Santanché nuova Winnie Mandela.
Sallusti che è stato condannato e che, ovviamente, non farà neanche un giorno di carcere e, forse, sarà assegnato ai servizi sociali, tipo accompagnare gli anziani a fare le analisi, portare la spesa a casa di vecchie vedove, o fare da vigile all’uscita delle scuole elementari.
E già questo dovrebbe essere un motivo per schierarsi contro la condanna: tenete Sallusti lontano dai nostri padri, dalle nostre madri e soprattutto dai nostri figli, per favore!
Ma la questione è tutt’altro che semplice, perché non ci passa neanche lontanamente per la testa l’idea di gioire quando qualcuno, perfino uno come Sallusti, viene condannato per aver espresso un’opinione o per aver riportato e commentato una notizia. Anzi, per aver fatto scrivere a un altro, in qualità di direttore responsabile.
Però. C’è un però.
Da tempo, certe testate (giornali e telegiornali) fanno della diffamazione a mezzo stampa una strategia editoriale e politica, la cosidetta “macchina del fango”. Le migliaia di euro da pagare per una causa per diffamazione vengono addirittura messe a budget, quando si dirigono certi giornali. Cosa sono poche migliaia di euro, davanti alla possibilità di infangare un avversario politico o di diffondere notizie false e tendenziose? Si paga, magari si pubblica una smentita nella pagina degli annunci delle troie (ma anche no) e intanto si è portato a casa il risultato.
Ecco, questo modo di fare giornalismo, tanto di voga negli ultimi anni, è vergognoso e deve finire.
L’arresto è un modo per mettere in regola le cose? No, sicuramente no, di questo siamo sicuri. Così come siamo sicuri… no, via diciamo sospettiamo che il buon Sallusti e il suo editore (chi sarà mai?) non sperassero altro per poter così lanciare un’altra offensiva mediatica contro i magistrati e i loro calzini turchesi.
Però mai avremmo pensato di scrivere qualcosa in difesa di Sallusti.
E, infatti, non lo facciamo nemmeno ora.
donzauker.it
Lo ha fatto persino Travaglio, ma lui è un giornalista, è parte in causa, noi no.
E questo è sbagliato. Perché quando si mettono a rischio la libertà di stampa e di espressione, siamo tutti parti in causa. Perché molti politici, o potenti in genere, usano la querela preventiva come mezzo per intimidire giornalisti, comici e voci a loro contrarie. Non a caso, quando accadde a Luttazzi, propose di inserire nei codici civile e penale un comma che diceva, più o meno, così: “Ok, te mi quereli per centinaia di migliaia di euro. Però se perdi la causa, li dai te a me!”
Ma Luttazzi è stato troppo frettolosamente, e ingiustamente, dimenticato.
E ora tocca a Sallusti.
Sallusti che ha intrapreso una battaglia di libertà contro un magistrato che lo ha denunciato per diffamazione.
Sallusti nuovo Bobby Sands, nuovo Gandhi, nuovo Nelson Mandela… e la Santanché nuova Winnie Mandela.
Sallusti che è stato condannato e che, ovviamente, non farà neanche un giorno di carcere e, forse, sarà assegnato ai servizi sociali, tipo accompagnare gli anziani a fare le analisi, portare la spesa a casa di vecchie vedove, o fare da vigile all’uscita delle scuole elementari.
E già questo dovrebbe essere un motivo per schierarsi contro la condanna: tenete Sallusti lontano dai nostri padri, dalle nostre madri e soprattutto dai nostri figli, per favore!
Ma la questione è tutt’altro che semplice, perché non ci passa neanche lontanamente per la testa l’idea di gioire quando qualcuno, perfino uno come Sallusti, viene condannato per aver espresso un’opinione o per aver riportato e commentato una notizia. Anzi, per aver fatto scrivere a un altro, in qualità di direttore responsabile.
Però. C’è un però.
Da tempo, certe testate (giornali e telegiornali) fanno della diffamazione a mezzo stampa una strategia editoriale e politica, la cosidetta “macchina del fango”. Le migliaia di euro da pagare per una causa per diffamazione vengono addirittura messe a budget, quando si dirigono certi giornali. Cosa sono poche migliaia di euro, davanti alla possibilità di infangare un avversario politico o di diffondere notizie false e tendenziose? Si paga, magari si pubblica una smentita nella pagina degli annunci delle troie (ma anche no) e intanto si è portato a casa il risultato.
Ecco, questo modo di fare giornalismo, tanto di voga negli ultimi anni, è vergognoso e deve finire.
L’arresto è un modo per mettere in regola le cose? No, sicuramente no, di questo siamo sicuri. Così come siamo sicuri… no, via diciamo sospettiamo che il buon Sallusti e il suo editore (chi sarà mai?) non sperassero altro per poter così lanciare un’altra offensiva mediatica contro i magistrati e i loro calzini turchesi.
Però mai avremmo pensato di scrivere qualcosa in difesa di Sallusti.
E, infatti, non lo facciamo nemmeno ora.
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P.S. Apprendiamo adesso che la condanna è stata sospesa. Vabbè, via, provaci ancora, Sal!donzauker.it