Oggi (ieri nd Magu) si celebra la Giornata mondiale del rifugiato, un’occasione per riflettere su un fenomeno, quello dello spostamento/fuga da un paese all’altro per cercare un rifugio, che coinvolge solo in Europa 3 milioni di individui.
Le sue tracce sono fortemente intrecciate alla storia e alla cultura dell’Europa. Eppure il diritto di asilo è ancora intaccato da incertezze, ingiustizie e approssimazioni. Nel Medioevo la Chiesa offriva rifugio in conventi e luoghi di culto a chi era ricercato, talvolta ingiustamente, per aver commesso reati. Il “diritto di santuario” istituiva una sorta di extra-territorialità che poteva tutelare le persone da punizioni ingiuste. Oggi il diritto d’asilo è un diritto universale, che la dichiarazione dei diritti umani del 1948 ha sancito quale patrimonio comune dell’uomo, eredità di diverse tradizioni culturali. Dittature e guerre mondiali hanno portato il diritto d’asilo nella legislazione internazionale e in molte leggi nazionali, in adozione della Convezione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 che per prima ha dettagliato la materia. La Convezione, poi integrata da altri testi, definisce il rifugiato “chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche” si trovi al di fuori dello stato di origine e da esso non possa ottenere protezione.
Nonostante una storia profonda e antica, oggi il diritto d’asilo continua a essere in pericolo, assediato da paure e interessi politico-economici. Nel giorno dedicato dalle Nazioni Unite ai rifugiati è utile sottolineare alcune criticità di un sistema poco conosciuto.
La costituzione italiana all’art. 10 comma 3 sancisce il diritto d’asilo come uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento, nato dall’esperienza dell’antifascismo e dalla conoscenza diretta dei danni apportati da un regime autoritario. È rimandata però al legislatore la formulazione di una legge organica sull’asilo. Delega che ha pesantemente influenzato i destini di chi arrivava in Italia fino al 1989, anno della prima legge sull’immigrazione, e che continua a produrre precarietà e discrezionalità. Pur discussa in parlamento negli ultimi 10 anni una legge ad hoc non è stata mai valutata realmente e tanto meno approvata. Le norme attuali sono distribuite in leggi sull’immigrazione (la c.d. Bossi-Fini del 2002, modifica della Turco-Napolitano del 1998) e dovute al recepimento di importanti direttive europee. Una situazione che ha dato vita a problemi di interpretazione delle norme e a spazi di discrezionalità da parte di organi statali preposti all’esame delle domande di asilo, di questure e prefetture e degli stessi ordini degli avvocati che dovrebbero tutelare il rifugiato nei confronti di decisioni sul suo status legale ritenute approssimative.
Il problema principale dei rifugiati in Italia è però l’insufficienza delsistema di accoglienza. Il Servizio Centrale per la protezione di richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), creato nel 2004, dispone attualmente di 3500 posti in tutta Italia. Un numero esiguo se pensiamo che dal 1998 le domande di asilo non sono scese sotto le 9000 all’anno. Tale fatto determina inevitabilmente un basso inserimento sociale e la deriva verso situazioni di marginalità di molti, come ha evidenziato Centro Astalli in uno studio presentato nei giorni scorsi.
L’Unione Europea ospita attualmente circa 1.600.000 rifugiati sui 3 milioni presenti in Europa, soprattutto nei Balcani e in Russia. Con il consiglio di Amsterdam del 1997 si è iniziato a parlare di un Sistema Comune Europeo per l’Asilo, che avrebbe dovuto uniformare legislazioni e standard di accoglienza. Se questo ha portato ad alcuni risultati significativi, cercando talvolta di uniformare al livello dei paesi più avanzati, rimangono nella pratica disuguaglianze notevoli fra stato e stato. L’obiettivo del 2012 come anno di convergenza delle politiche sul tema è ancora lontano. La libera circolazione dei rifugiati in Europa è per esempio ancora un miraggio, nonostante possano essere equiparati a cittadini degli stati membri per molti aspetti, e gli stessi tassi di riconoscimento della domanda di asilo e i sistemi di accoglienza sono molto differenziati. Si tratta insomma di una convergenza più tecnica che di sostanza, che non garantisce veramente i diritti dei rifugiati, come sottolinea il rapporto 2010 dell’European Council for Refugees and Exiles. L’agenzia Frontex, creata per monitorare le frontiere esterne dell’Unione potrebbe dare l’impressione che l’unico elemento veramente “comune” del sistema europeo sia la difficoltà a entrarvi per presentare la domanda d’asilo.
Quello dell’accesso alle frontiere è un problema centrale. Se abbiamo qualche dato sulle morti nel Mediterraneo, oltre 2000 quelle documentate nel solo 2011, molto meno sappiamo delle morti alle frontiere greche o bulgare, di chi muore di freddo o soffocamento nei tir che attraversano i Balcani, nelle stive delle navi o addirittura nei viaggi rischiosissimi dall’Iran, dall’Afghanistan, dalla Georgia. Lo scorso febbraio l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani per il “caso Hirsi”. Questa vittoria, basata sull’effettività del principio di “non refoulement” (non respingimento), cardine della convenzione di Ginevra (art. 33), non da purtroppo garanzie sul futuro. Lo testimonia il fatto che governo italiano ha stretto un nuovo accordo con la Libia post-Gheddafi, che prevede anche il monitoraggio delle frontiere. Se i termini utilizzati dal governo sono cambiati (non più “clandestini” ma “irregolari”, non più “emergenza migranti” ma “allarme), non ci sono garanzie sul rispetto dei diritti dei migranti e rifugiati che tentano di raggiungere l’Italia da sud, in fuga da Somalia, Sudan, Eritrea e da tutti i paesi della fascia subsahariana. Il testo dell’accordo, reso noto solo negli ultimi giorni, ha destato molte preoccupazioni, come sottolinea Amnesty International. Per padre Giovanni La Manna, presidente di Centro Astalli, è “molto grave che in un momento in cui si stabiliscono linee guida nei rapporti fra i due paesi, non si faccia menzione della tutela dei diritti dei richiedenti asilo”. “Ritorna – continua - lo spettro di respingimenti di fatto e la previsione di ancora troppi morti nel Mar Mediterraneo. Il governo deve fare quanto in suo potere per evitare il sacrificio di vite umane al largo delle coste italiane”.
Proprio in collaborazione con Amnesty in molte città italiane oggi, 20 giugno viene proiettato “Mare Chiuso”, il documentario di Segre e Liberti sui respingimenti in mare verso la Libia e sulle situazioni di sofferenza estrema che hanno provocato. Una modalità ulteriore per ricordare che la garanzia di un accesso protetto alle frontiere è essenziale per tutelare veramente i rifugiati.
L’arrivo in Italia di circa 25.000 persone dalla Libia e oltre 10000 dalla Tunisia dopo lo scoppio delle rivolte in questi paesi ha riportato il tema dei migranti e dei rifugiati al centro dell’attenzione. La così detta “emergenza Nord Africa” incarna in modo convincente l’approccio ideologico e la strumentalizzazione che continuano a subire i migranti anche in Europa. Chi è giunto dalla Libia in fra l’aprile e il settembre 2011 ha avuto la “fortuna” di trovare strutture di accoglienza approntate da Protezione Civile e enti locali, all’interno di un piano nazionale per l’accoglienza. È stato però obbligato a presentare domanda di asilo, nonostante la legge 189/2002 preveda permessi di soggiorno per motivi umanitari, rivolti proprio a chi scappa in massa da situazioni di guerra, carestia, disastri ambientali. Poiché la domanda di asilo è individuale e si basa sulla contesto del paese di origine del richiedente, molte domande sono state respinte sulla base proprio della condizione di relativa stabilità di paesi che talvolta i migranti avevano lasciato da parecchi anni, con l’effetto paradossale di creare un sistema di accoglienza piuttosto buono ma non dare il titolo di soggiorno necessario per usufruirne e per creare una reale prospettiva per persone fuggite da una guerra.
Questo episodio, che ha luci e ombre, ha messo ulteriormente in luce contraddizioni insite nel nostro sistema, privo di una normativa chiara e vittima della politica dell’emergenza e della paura. Si inserisce in questa linea la proposta di Melting Pot per il 20 giugno: dopo una campagna lunga e capillare, la Giornata è occasione rilanciare la richiesta del rilascio di “permessi umanitari” per chi è giunto dalla Libia in guerra e non ha titolo per essere riconosciuto rifugiato.
Il diritto di asilo è dunque messo in pericolo da una parte dall’insufficienza legislativa e dall’altra dalla scarsa volontà politica di tutelarlo in modo universale, senza subordinarlo a ragionamenti politici e strategici. L’ultimo rapporto semestrale dell’Alto Commissariato per i Rifugiati racconta un mondo in cui i rifugiati sono in crescita (più 800mila nel 2011 secondo UNHCR su 15milioni circa) in modo esponenziale,e solo una piccola parte si trova nei paesi industrializzati. Aumentano anche i casi di torture e di trattamenti disumani e degradanti. Sessantamila rifugiati sono oggi in Italia, con numeri inferiori ai maggiori paesi europei. Garantirne i diritti, oltre che un obbligo internazionale, è un interesse di tutti i cittadini.
Fonte: www.unimondo.org
Nessun commento:
Posta un commento