La situazione dell'Italia rischia di precipitare: è sempre più difficile -e costoso- "piazzare" i titoli del ministero del Tesoro, e attaccare il nostro Paese è il modo più diretto per colpire l'euro. Il commento di Alessandro Volpi, autore di "Sommersi dal debito"
di Alessandro Volpi* - 19 giugno 2012
Esiste ormai un evidente pericolo di contagio per l’economia italiana, che sta per subire -anzi in parte già subisce- una recrudescenza della crisi, dopo la parziale tregua conosciuta per pochi mesi. La recente vicenda spagnola ha dimostrato che neppure l’annuncio di un sostegno di 100 miliardi di euro alle banche di quel Paese è stato sufficiente per spegnere l’“incendio”, perché i tempi della crisi sono ben più rapidi degli annunci.
Soprattutto, l’attacco alla Spagna ha ribadito che la faglia lungo la quale corre il contagio è quella dei debiti sovrani e dei portafogli delle banche, due ambiti in cui l’Italia è in chiarissimo affanno.
Il debito pubblico continua a crescere e deve essere coperto a tassi di interesse che, per i decennali, hanno nuovamente superato la soglia critica del 6%. A far lievitare il debito, oltre agli interessi, contribuisce proprio l’onere dei salvataggi, che sono già costati quasi 50 miliardi di euro.
Tali salvataggi, se fatti ancora con il Fondo salva-Stati, continueranno ad ingigantire lo stock del debito pubblico. Se verranno realizzati con il Meccanismo europeo di stabilità (Esm), invece, non graveranno direttamente sul debito, ma avendo i titoli del Meccanismo natura di “crediti privilegiati” faranno una pericolosa concorrenza ai titoli di Stato italiani, messi nella condizione di non trovare compratori. In entrambi i casi quindi l’effetto per i conti pubblici sarà assai negativo. Sulla crescita del debito italiano gravano poi alcune poste non ancora contabilizzate, ma assai consistenti: dai debiti nei confronti dei fornitori delle pubbliche amministrazioni, stimabili intorno ai 70 miliardi di euro, al costo degli esodati, che secondo le più recenti stime dell’Inps potrebbe salire fino a 12,5 miliardi di euro.
Il quadro generale è appesantito anche dalla costante caduta del Pil, che dipende in larga misura dagli effetti recessivi della manovra e che è stimata in 82 miliardi di euro per il solo 2011, e dalla ormai decennale perdita di competitività e del valore delle esportazioni italiane. Secondo le valutazioni di alcuni analisti il combinato disposto di crescita del debito e recessione potrebbe far esplodere il rapporto debito/Pil, nel 2014, al 137%, imponendo di fatto una ristrutturazione prima di tale data. Esiste, inoltre, il già ricordato problema delle banche, che sono travolte da un vero e proprio uragano. Gli istituti di credito italiani hanno in pancia 294 miliardi di euro in titoli del debito pubblico italiano, con una crescita di 95 miliardi da inizio 2012; una cifra molto corposa, che lega le sorti delle banche italiane a quelle del debito pubblico del nostro Paese. Se lo stock di debito si deprezza, per effetto degli spread che restano costantemente sopra 450 punti, si deprezzano anche i portafogli delle banche stesse, che devono fare i conti con la questione delle sofferenze.
Dal 2009 al 2012 le sofferenze delle banche italiane sono più che raddoppiate, e hanno raggiunto la cifra lorda di 109 miliardi di euro; una mole di sofferenze siffatta potrebbe comportare accantonamenti e perdite nei bilanci bancari dei prossimi anni per il 40% del loro valore.
Si tratterebbe di una perdita secca di oltre 35 miliardi di euro, superiore alla loro attuale capitalizzazione e a un terzo del loro patrimonio. Sarebbero in grado di sopravvivere a questa ondata d’urto o dovranno, come è avvenuto per molte banche in vari Paesi europei, chiedere uno specifico aiuto allo Stato? E ci saranno le risorse per farlo? Per cogliere meglio le dimensioni della crisi in atto è utile ricordare che la capitalizzazione “bruciata” lunedì 11 giugno dalle prime 8 banche italiane è stata di poco inferiore ai 9 miliardi di euro, più di tre volte il capitale di Monte dei Paschi di Siena.
Il listino di Milano, precipitato ai livelli subito successivi al crollo di Lehman Brothers, è ormai incapace di influire sul volume degli investimenti produttivi, che peraltro continuano a sparire sia sul versante pubblico sia su quello privato. In simili condizioni, è chiaro che tendono a combinarsi due fenomeni estremamente pericolosi: da un lato si accentua la speculazione ribassista contro i titoli del debito pubblico italiano, dall’altro si rafforza la paura del possibile default di Stato e sistema bancario nazionale, dai quali fuggono gli investitori istituzionali e i risparmiatori. Se a tutto ciò si aggiunge che attaccare i titoli italiani è il modo più diretto per aggredire l’euro, allora diventa comprensibile quanto sia vicina la tempesta perfetta.
* Università di Pisa
Altreconomia
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