martedì 23 aprile 2013

Il paese del vino


L’Italia è il paese del vino, con 632.000 ettari di vigneti e ben 383.645 aziende, tra piccole, medie e grandi. I residui delle potature rappresentano, per la maggior parte di esse, un problema e non una fonte di reddito. Non è così a Torgiano, in Umbria, dove ha sede l’azienda vitivinicola Lungarotti. Con oltre 2 milioni di bottiglie di vino prodotte ed esportate in 50 Paesi del mondo, qui hanno puntato sull’ecosostenibilità, dalla vigna alla cantina, con progetti di compensazione e abbattimento delle emissioni di CO2 prodotte e l’installazione di 5 stazioni meteorologiche per il monitoraggio climatico e per il controllo dei parametri vitali e qualitativamente ottimali dei vigneti.
I cambiamenti climatici si sa, minacciano anche i vitigni, è l’unico modo per combatterli è ridurre le emissioni di C02, impiegando energia pulita e diminuendo l’uso di prodotti chimici. Su quest’ultimo fronte, dalla vendemmia 2014 tutti i vini Lungarotti prodotti nelle Tenute di Montefalco saranno certificati “bio”. Il vero fiore all’occhiello dell’azienda però è l’impianto a biomasse, che produce circa 720 MWh l’anno, sufficienti per soddisfare completamente i consumi termici dell’azienda (acqua calda ed acqua surriscaldata) e circa il 30% dei consumi elettrici delle macchine frigorifere a compressione. Il risparmio è di 100 tonnellate l’anno di CO2. Un progetto grazie al quale le Cantine Lungarotti, nel 2006, sono state selezionate dal Ministero delle Politiche agricole come cantina pilota a livello europeo nell’ambito del programma del Centro Ricerca Biomasse (CRB) dell’Università di Perugia.
L’idea è semplice: perché non recuperare gli scarti di potatura dei vigneti per produrre energia? Il progetto ha coinvolto i 250 ettari di vigneti di Lungarotti ed è giunto nella fase conclusiva di realizzazione e monitoraggio dell’impianto pilota. Le potature di vite, lasciate lungo i filari, vengono raccolte automaticamente da una macchina che forma balle a forma di rotolo di dimensioni di un metro di diametro e un metro di lunghezza, con un peso di circa 150 chili. Prima di arrivare alla caldaia a biomassa bisogna produrre un cippato di pochi centimetri, ma l’elevato volume delle rotoballe non ha consentito l’impiego di una cippatrice tradizionale e si è così sperimentato con successo l’impiego di un carro miscelatore normalmente utilizzato per la l’alimentazione zootecnica irrobustito per tale funzione.
«Vogliamo riuscire presto a recuperare il calore ad alta temperatura ancora presente nei fumi della caldaia per coprire anche la restante parte dell’energia elettrica attualmente consumata per il condizionamento estivo e per la refrigerazione delle botti, diventando totalmente indipendenti dalle fonti fossili» afferma Chiara Lungarotti, amministratore unico dell’azienda. «Così potremo finalmente sorseggiare un calice di vino prodotto solo con l’energia della vite».
Si tratta di un processo facilmente replicabile in altre aziende del settore vitivinicolo. Secondo Itabia (Italian Biomass Association), la disponibilità potenziale dei residui annualmente ottenuti dalle potature dei vigneti va oltre il milione di tonnellate l’anno in sostanza secca. Dal recupero di questi residui si potrebbero alimentare circa 200 centrali da 500 kW elettrici per una produzione annua di 0,8 TWh, in grado di soddisfare il fabbisogno elettrico di 200 mila famiglie di 4 persone. Purtroppo l’eccessiva frammentazione delle aziende vitivinicole rende quest’obiettivo difficilmente raggiungibile, ma già recuperando la metà delle potature si raggiungerebbe un ottimo risultato in termini di contenimento delle emissioni e di integrazione del reddito aziendale agricolo.
Di Gabriele Salari – LaStampa.it

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