Ci sono alcune cose che, dopo il preannuncio delle dimissioni di Monti, vengono sospese; altre che invece proseguono, anche se meriterebbero – per la loro importanza – di essere esaminate dal prossimo Parlamento e dal prossimo governo. La revisione dello strumento militare è purtroppo tra le seconde, e oggi l’Aula della Camera ha dato in via definitiva la delega al governo perché ci metta mano. I miei dubbi li avevo già esternati la settimana scorsa, nella discussione generale, e purtroppo non sono venuti meno in questi ultimi giorni: anzi, se possibile, il precipitare della crisi politica li ha addirittura moltiplicati. Così oggi ho deciso di non votare il provvedimento, in dissenso dal mio gruppo: nell’intervento qui sotto, pubblicato nei resoconti della Camera, ho spiegato perché.
ANDREA SARUBBI. Signor presidente, nella discussione generale di lunedì scorso – invero piuttosto rapida, con la partecipazione di un numero esiguo di deputati rispetto all’importanza della questione – avevo avuto già modo di illustrare i miei dubbi sulla delega al governo che oggi ci viene richiesto di votare. Ne avevo fatto anche una questione di merito, definendomi “obiettore di coscienza a mani nude”, ma oggi vorrei mettere il merito da parte e concentrarmi sul metodo. Perché mentre in questo ramo del Parlamento si sta approvando la delega militare, nell’altro ramo si decide di far saltare il taglio delle Province, e la stessa delega fiscale sembra non abbia i tempi di essere approvata entro fine legislatura. Non dipende certo dal Partito democratico, d’accordo, perché non è stato il Pd a innescare una crisi ormai inevitabile; ma come parlamentare della Repubblica mi sento a disagio: non solo di fronte alla mia coscienza, ripeto, ma anche e soprattutto di fronte ai cittadini. E per questo motivo non voterò il provvedimento.
Come ha scritto Flavio Lotti, coordinatore della Tavola per la pace, in una lettera toccante inviata a tutti noi deputati, “non sono d’accordo. E non mi serve di invocare le ragioni del pacifismo. Mi basta prendere atto del reale”. Credo che la riforma delle forze armate, definita da alcuni “indispensabile, essenziale ed epocale” sia in realtà frutto di un grande equivoco, perché in realtà – nonostante rafforzi il controllo parlamentare sul bilancio della Difesa e sull’acquisto di armi – finisce soltanto per tagliare la quota del bilancio relativa ai costi del personale, ma non quella relativa agli armamenti: si liberano soldi per l’acquisto dei cacciabombardieri (che nella risoluzione da me sottoscritta insieme all’onorevole Pezzotta veniva subordinata appunto a una riforma complessiva dello strumento militare, condivisa da tutto il Parlamento) e di altri 70 programmi d’armamento, in un momento in cui si chiedono alle famiglie sacrifici. Se davvero questa fosse una revisione (peraltro attesa da molti) dello strumento militare, affronterebbe parecchi temi che invece vengono lasciati da parte: “i criteri – cito ancora il documento della Tavola della pace – che dovrebbero guidare una riforma coerente e motivata da un’aggiornata analisi geopolitica delle minacce, del ruolo che vuole svolgere il nostro Paese e dalle missioni da realizzare, i criteri che dovrebbero comportare una vera riqualificazione della spesa, la cancellazione degli sprechi e dei privilegi di cui ancora godono le alte gerarchie, la revisione dell’intreccio perverso di rapporti con l’industria militare”. E questo silenzio, per me rumorosissimo, è un altro dei motivi che mi impediscono di votare il provvedimento in esame.
Infine, signor presidente, mi si consenta una digressione da addetto ai lavori nel campo dell’informazione: è scandaloso che ad occuparsi di questi temi siano stati solo Famiglia Cristiana, l’Unità e il Manifesto. È insopportabile la censura nella televisione pubblica di tutte le voci che esprimono un punto di vista diverso dalla lobby militare-industriale. Ed è inaccettabile che questi temi siano ancora una volta esclusi dalla campagna elettorale. Per dirla ancora con Flavio Lotti, “forse non è ancora venuto il tempo di abolire gli eserciti (anche se nessuno può disprezzare il nostro diritto di sognarlo). Ma tra le guerre ad alta densità inseguite dall’ammiraglio Di Paola sul modello dell’ultima guerra a Gaza e gli interventi di polizia internazionale iscritti nella carta dell’Onu (modello Libano, per intenderci) c’è una gran differenza”. Per tutti questi motivi, signor presidente, annuncio il mio voto di astensione, in dissenso dal mio gruppo parlamentare.
Fonte: www.andreasarubbi.it
ANDREA SARUBBI. Signor presidente, nella discussione generale di lunedì scorso – invero piuttosto rapida, con la partecipazione di un numero esiguo di deputati rispetto all’importanza della questione – avevo avuto già modo di illustrare i miei dubbi sulla delega al governo che oggi ci viene richiesto di votare. Ne avevo fatto anche una questione di merito, definendomi “obiettore di coscienza a mani nude”, ma oggi vorrei mettere il merito da parte e concentrarmi sul metodo. Perché mentre in questo ramo del Parlamento si sta approvando la delega militare, nell’altro ramo si decide di far saltare il taglio delle Province, e la stessa delega fiscale sembra non abbia i tempi di essere approvata entro fine legislatura. Non dipende certo dal Partito democratico, d’accordo, perché non è stato il Pd a innescare una crisi ormai inevitabile; ma come parlamentare della Repubblica mi sento a disagio: non solo di fronte alla mia coscienza, ripeto, ma anche e soprattutto di fronte ai cittadini. E per questo motivo non voterò il provvedimento.
Come ha scritto Flavio Lotti, coordinatore della Tavola per la pace, in una lettera toccante inviata a tutti noi deputati, “non sono d’accordo. E non mi serve di invocare le ragioni del pacifismo. Mi basta prendere atto del reale”. Credo che la riforma delle forze armate, definita da alcuni “indispensabile, essenziale ed epocale” sia in realtà frutto di un grande equivoco, perché in realtà – nonostante rafforzi il controllo parlamentare sul bilancio della Difesa e sull’acquisto di armi – finisce soltanto per tagliare la quota del bilancio relativa ai costi del personale, ma non quella relativa agli armamenti: si liberano soldi per l’acquisto dei cacciabombardieri (che nella risoluzione da me sottoscritta insieme all’onorevole Pezzotta veniva subordinata appunto a una riforma complessiva dello strumento militare, condivisa da tutto il Parlamento) e di altri 70 programmi d’armamento, in un momento in cui si chiedono alle famiglie sacrifici. Se davvero questa fosse una revisione (peraltro attesa da molti) dello strumento militare, affronterebbe parecchi temi che invece vengono lasciati da parte: “i criteri – cito ancora il documento della Tavola della pace – che dovrebbero guidare una riforma coerente e motivata da un’aggiornata analisi geopolitica delle minacce, del ruolo che vuole svolgere il nostro Paese e dalle missioni da realizzare, i criteri che dovrebbero comportare una vera riqualificazione della spesa, la cancellazione degli sprechi e dei privilegi di cui ancora godono le alte gerarchie, la revisione dell’intreccio perverso di rapporti con l’industria militare”. E questo silenzio, per me rumorosissimo, è un altro dei motivi che mi impediscono di votare il provvedimento in esame.
Infine, signor presidente, mi si consenta una digressione da addetto ai lavori nel campo dell’informazione: è scandaloso che ad occuparsi di questi temi siano stati solo Famiglia Cristiana, l’Unità e il Manifesto. È insopportabile la censura nella televisione pubblica di tutte le voci che esprimono un punto di vista diverso dalla lobby militare-industriale. Ed è inaccettabile che questi temi siano ancora una volta esclusi dalla campagna elettorale. Per dirla ancora con Flavio Lotti, “forse non è ancora venuto il tempo di abolire gli eserciti (anche se nessuno può disprezzare il nostro diritto di sognarlo). Ma tra le guerre ad alta densità inseguite dall’ammiraglio Di Paola sul modello dell’ultima guerra a Gaza e gli interventi di polizia internazionale iscritti nella carta dell’Onu (modello Libano, per intenderci) c’è una gran differenza”. Per tutti questi motivi, signor presidente, annuncio il mio voto di astensione, in dissenso dal mio gruppo parlamentare.
Fonte: www.andreasarubbi.it
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