Quante volte, in anni più o meno recenti, si è sentito il ritornello politico-elettorale “con il federalismo meno tassee più servizi”? Bene (si fa per dire), oggi sappiamo che l’avventura pluridecennale del federalismo si è risolta in un fallimento su tutti i fronti. E a dirlo non sono i soliti bastian contrari pronti a dare addosso a qualsivoglia proposta di matrice leghista. No, a dirlo sono i fatti perché il gettito locale, dal 1992 ad oggi, è più che quadruplicato.
Lo rivela un’analisi di Confcommercio, non proprio degli estremisti accecati dall’ideologia politica come spesso sono stati garbatamente rinominati in questi anni tutti quelli che si permettevano di insinuare dubbi circa l’efficacia del sistema fiscale di matrice federalista.
In questi vent’anni le imposte riconducibili alle amministrazioni locali sono cresciute da 18 a 108 miliardi. Ma quello che forse stupisce ancor più – e che dovrebbe far seriamente riflettere gli strenui difensori del federalismo fiscale e istituzionale – è che nel medesimo arco di tempo (dal 1992 al 2012) la spesa corrente dell’amministrazione centrale (lo Stato, per farla breve) è aumentata del 53% mentre quella di regioni, province e comuni del 126%: esattamente il doppio. E proprio per fronteggiare questo enorme aumento di spesa pubblica incontrollata si è assistito ad una esplosione del gettito derivante dalle imposte (dirette e indirette) a livello locale con un aumento di 500 punti percentuali in venti anni: un’enormità.
Risultato? Il processo di decentramento, continua lo studio, non ha portato a risparmi di spesa, ossia ad una maggiore efficienza della macchina amministrativa, anzi. Nell’ultimo decennio è quasi triplicata l’incidenza delle addizionali regionali e comunali sull’Irpef, imposta quantomeno ingiusta (se non a tratti incostituzionale) che comprime terribilmente il potenziale benessere dei lavoratori dipendenti, a loro volta vero motore dei consumi e dunque del reddito nazionale, pressoché fermo (guarda caso) già da almeno quindici anni prima dell’inizio della crisi del 2008.
E dal rapporto tra il gettito effettivo derivante dall’Irap, vera e propria pressa fiscale che grava sulla micro e piccola impresa, e dalle addizionali locali sull’Irpef (senza considerare quindi l’Imu), si registra come Campania e Lazio abbiano una pressione fiscale locale doppia rispetto a Trentino e Val d’Aosta. Insomma: uno degli obiettivi principali del federalismo fiscale, quello di mantenere inalterata la pressione fiscale a carico dei contribuenti di ogni Regione, è stato del tutto disatteso.
Ma il dato meramente economico-fiscale non esaurisce l’analisi circa il carattere fallimentare del federalismo per come è stato concepito in Italia. Si aggiunge, per forza di cose, un dato politico. Il federalismo in salsa italico-padana si è dimostrato un totale fallimento sul piano culturale, politico e strategico.
Culturale in quanto simbolo della possibilità (o necessità) di non affrontare le sfide del nuovo secolo sulla base di una concezione unitaria e solidaristica dell’Italia. Politico perché il federalismo è divenuto l’arma di una sempre più ignobile e infamante concezione delle istituzioni come comitati d’affari a scopo di lucro, con consigli regionali autonomi e dunque implicitamente legittimati a delinquere, a sottrarre risorse (non solo economiche) alla collettività pubblica.
E, infine, anche sul piano strategico perché è stato la rappresentazione plastica dell’ottusità (o complicità criminale, fate voi) di una parte politica (il centrodestra) che, avendo avuto – e avendo tutt’ora – pieno e diretto accesso ai canali del governo centrale, ha elevato il turpe e fallimentare neoliberismo thatcheriano a ideologia economico-strategica fondamentale; ha alimentato la criminalità a Nord e Sud; ha svenduto i diritti costituzionali delle lavoratrici e dei lavoratori; ha reso le istituzioni pubbliche luoghi di legittimazione del capitalismo politico-criminale che vede nella sempre più imperversante federalizzazione delle politiche pubbliche il metodo più adatto per la realizzazione plastica del malgoverno.
Peccato esserci arrivati con vent’anni di ritardo. Peccato non aver ascoltato chi, vent’anni fa, diceva con cognizione di causa che sarebbe accaduto esattamente questo: sempre più tasse, sempre meno servizi, sempre più malgestione pubblica. Sarebbe il caso di prenderne atto e, se non è chiedere troppo, iniziare subito uncambiamento radicale in termini di politiche pubbliche e federalismo (fiscale e non).
Gill Gastaldelli QDS
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