mercoledì 5 febbraio 2014

ITALIA, TERRA DI MAZZETTE

Corruzione, integrità dei politici e leggi ad personam. Vizietti italiani, sempre i soliti. Che ci costano l'ennesima bocciatura: nel primo report europeo sul tema, presentato il 3 febbraio dal commissario Cecilia Malmstrom, è scritto nero su bianco dal lodo Alfano alla ex Cirielli, dalla depenalizzazione del falso in bilancio al legittimo impedimento, i tentativi di darsi norme per garantire processi efficaci sono stati "più volte ostacolati da leggi ad personam".

LA CORRUZIONE ITALIANA VALE LA META' DI QUELLA DI TUTTA L'UE E nonostante la legge anticorruzione adottata nel novembre 2012 e "gli sforzi notevoli profusi dall'Italia", il fenomeno rimane preoccupante: secondo le stime della Commissione Ue, pesa per 60 miliardi all'anno, pari a circa il 4% del Pil e per metà del totale di tutta l'Unione, che è pari a 120 miliardi di euro annui. Qualche passo avanti c'è stato, come la legge anticorruzione e il successivo decreto legislativo sull'incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive o di governo in seguito a condanne definitive. Soprattutto perché, hanno sottolineato a Bruxelles, la norma è stata applicata "nel caso della decadenza da senatore di un ex premier".

NECESSARIE MODIFICHE SUL CONFLITTO DI INTERESSI Ma anche la nuova legislazione contro la corruzione lascia vari problemi aperti perché, sottolinea sempre la commissione europea, "non modifica la disciplina della prescrizione, la legge sul falso in bilancio, l'autoriciclaggio e non introduce reati per il voto di scambio". E si chiedono modifiche sul conflitto di interessi. Per Bruxelles, il testo frammenta le disposizioni sulla concussione e la corruzione "rischiando di dare adito ad ambiguità nella pratica e limitare ulteriormente la discrezionalità dell'azione penale". Sono inoltre "ancora insufficienti le nuove disposizioni sulla corruzione nel settore privato e sulla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti".

LA LENTEZZA DEI PROCESSI Anche la lentezza della giustizia è nel mirino. E l'Ue ha ribadito la necessità di colmare le lacune e di dare priorità a procedimenti per corruzione a rischio prescrizione. Inoltre ha raccomandato di "estendere i poteri e sviluppare la capacità dell'autorità nazionale anticorruzione Civit in modo che possa reggere saldamente le redini del coordinamento e svolgere funzioni ispettive e di supervisione efficaci, anche in ambito regionale e locale".

I LEGAMI TRA POLITICA, MAFIE E IMPRESE Nel report si fa poi cenno ai legami tra politici, criminalità organizzata e imprese: "Lo scarso livello di integrità dei titolari di cariche elettive e di governo sono tra gli aspetti più preoccupanti, come testimonia l'alto numero di indagini per corruzione". Negli ultimi anni, ha evidenziato Bruxelles, ci sono "numerose indagini per presunti casi di corruzione, finanziamento illecito ai partiti e rimborsi elettorali indebiti, che hanno visto coinvolte personalità politiche di spicco e titolari di cariche elettive a livello regionale". E il report cita, senza nominarlo, Nicola Cosentino, definito "un parlamentare indagato per collusione con il clan camorristico dei Casalesi. La relazione evidenzia inoltre come solo nel 2012 sono scattate indagini penali e ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti politici locali in circa metà delle 20 Regioni italiane, sono stati sciolti 201 consigli municipali, di cui 28 dal 2010 per presunte infiltrazioni criminali e più di 30 deputati della precedente legislatura sono stati indagati per reati collegati a corruzione o finanziamento illecito ai partiti

cadoinpiedi. 

giovedì 2 gennaio 2014

Riforme, ricomincia il valzer

Si sente in questi giorni – forse a causa dell’arrivo del nuovo anno – un vaneggiante brulicare di esperti, opinionisti, addirittura studiosi di scienze istituzionali (che poi dovremmo anche approfondire il concetto stesso di scientificità) in merito alle inflazionatissime e molto spesso misconosciute riforme dei nostri meccanismi di rappresentanza democratica.
Il primo premio dell’ambiguità se lo aggiudica “via il Senato” che, più che un’idea, pare tanto un’indicazione stradale. Piace tantissimo a Matteo Renzi, che pare si desti nel cuore della notte con questo chiodo fisso: via il senato. Poi c’è tutto il capitolo della legge elettorale tutta da inventare: “Io sono bipolare” ha esclamato settimana scorsa l’ex (?) missino – ora neoforzista d’avanguardia – tale sen. Gasparri: poi, il giorno in cui – tra qualche decennio – qualcuno si prenderà la briga di spiegargli che cosa significhi “essere bipolare”, sarà una grande conquista per l’umanità.
Occorre, forse, fare un po’ di chiarezza. Non esiste nessuna legge elettorale al mondo che possa mutare un sistema tripolare (PD, M5S, FI) in un sistema bipolare o – addirittura – un sistema multipolare (centrosinistra, M5S, centrodestra, centro) in un sistema a tendenza bipolare. Chi dice di volere il bipolarismo, alle attuali condizioni del sistema politico italiano, o non sa ciò che dice oppure è in evidente malafede.
Attualmente le proposte sul tavolo sono essenzialmente tre. Il Partito Democratico propende (anche se non mancano distinguo interni) per un sistema maggioritario a doppio turno: l’elettore conosce il proprio candidato di collegio nella città o nel quartiere in cui vive e, su questa base di stretta connessione tra elettorato e candidato, è possibile scegliere la persona più affidabile, più capace, più competente e – nel caso in cui svolgesse male il proprio lavoro una volta eletto – chiederne conto direttamente al parlamentare.
La seconda proposta è quella del M5S: a dispetto dei proclami anti-inciucisti e velatamente maggioritari, la base della riforma voluta dal MoVimento di Beppe Grillo è una copia del sistema elettorale spagnolo; facile a dirsi, difficile a farsi. Molto ingarbugliata dal punto di vista tecnico, nulla ci può far escludere che sia (in)utile esattamente quanto la proposta maggioritaria avanzata dai piani alti del PD.
Una terza idea viene dall’unione di brillanti menti che si stanno scervellando da mesi e anni su un sistema alternativo al porcellum che faccia conciliare rappresentatività (e quindi una bassa soglia di sbarramento) e governabilità (quindi l’assegnazione di una certa quantità di seggi necessari per governare). Ed eccoci allora arrivare alla madre di tutte le riforme: il bicameralismo simmetrico.
Oggi la moda corrente lo chiama “bicameralismo paritario”, ma così più che un discorso di meccanica istituzionale pare una formula strampalata di teorizzazione del ministero delle Pari Opportunità. Oggi Camera (630 membri) e Senato (315) fanno le stesse identiche cose: danno la fiducia al governo, varano leggi, convertono decreti e via dicendo. Chi grida a “via il senato”, il più delle volte, non vuole eliminare in toto il Senato, ma solo renderlo un ramo parlamentare di serie B, espressone delle Regioni e delle Autonomie.
Sulla carta i numeri politici per cambiare ruolo e composizione del Senato ci sono, eccome. E’ una priorità del PD (sempre che Renzi non cambi idea), è un buon proposito per l’anno nuovo del NcD (Alfano & Co.) ed è anche una delle riforme a cui il M5S, in campagna elettorale, ha fatto più e più volte riferimento. Ora, però, la campagna elettorale è finita e il Cittadino portavoce tale sen. Vito Crimi (sì, lui) ha detto in Aula che non si può toccare la Carta, nemmeno per ridurre il numero dei parlamentari o diversificare i ruoli tra Camera e Senato. Che ci vogliamo fare, è la dura legge del blaterare: prima dici che vuoi fare una cosa, urlando contro chi non l’ha fatta in questi anni; poi prendi milioni di voti e, una volta accomodato sulle poltrone vellutate, urli al complotto e dici che non ci si può azzardare a fare quella stessa riforma che qualche mese fa ritenevi indispensabile.