venerdì 31 maggio 2013

Bene la mozione contro gli F-35 alla Camera: occasione di cancellare questa scelta inutile e costosa

Articolo di: Campagna "Taglia le ali alle armi"
       
Presentata alla Camera dei Deputati una mozione firmata da 158 onorevoli (appartenenti ai gruppi di Sinistra Ecologia e Libertà, Movimento 5 Stelle, Partito Democratico) che chiede la cancellazione della partecipazione italiana al programma del cacciabombardiere F-35. La Campagna “Taglia le ali alle armi” esprime la propria soddisfazione in merito e chiede che si definisca in tempi brevi una discussione parlamentare seria e basata su dati reali ed approfonditi.

“Un buon passo verso l'interruzione la cancellazione della partecipazione italiana al programma per il cacciabombardiere F-35” in questo modo si esprimono i portavoce della Campagna “Taglia le ali alle armi” che dal 2009 si oppone alla partecipazione italiana a questo mastodontico e inutile programma internazionale di armamento.

“La presentazione odierna di una mozione alla Camera dei deputati firmata da oltre 150 onorevoli è sicuramente un passo fondamentale per riaprire la discussione sugli F-35 – sottolinea Andrea Baranes portavoce di Sbilanciamoci! - e come sottolineato da tempo dalla nostra mobilitazione dimostra che in Parlamento si potrebbe trovare già oggi una maggioranza per fermare il progetto”. Sin dai giorni immediatamente successivi le elezioni dello scorso febbraio la Campagna “Taglia le ali alle armi” ha sottolineato come le dichiarazioni elettorali dei principali leader politici dimostrassero come oltre i due terzi dell'attuale Parlamento si dovrebbero e potrebbero dire contrari all’acquisto dei caccia di fabbricazione statunitense.

“I costi fuori controllo, le problematiche tecniche, i tempi sempre più allungati, ma soprattutto l'uso di uno strumento di attacco che mal si concilia con la nostra Costituzione e con un modello di difesa che ancora non è stato ridiscusso – sottolinea Flavio Lotti portavoce di Tavola della Pace - dimostrano come la battaglia per la cancellazione degli F-35 sia ancora oggi fondamentale”. 

Eppure il Ministro della Difesa in sue recenti dichiarazioni ha continuato a confermare l'inderogabilità dell'acquisto senza però fornire ulteriori e più concrete motivazioni ma anzi definendo i cacciabombardieri d’attacco con capacità di portare armi nucleari come uno “strumento di pace”. Parole da ritenersi sconcertanti, poiché si rifanno ad un idea di Pace primitiva e lontana anni luce dai valori costituzionali espressi nell'articolo 11 oltre che dal desiderio diffuso di Pace che anima tante persone in questo paese .

"Le dichiarazioni sono inoltre pericolose – commenta Francesco Vignarca coordinatore di Rete Disarmo – perché di fatto sottendono la possibilità per l'Italia di andare in giro per il mondo a bombardare quando ritenuto utile ai nostri interessi. Una scelta che non può certo essere decisa dal solo Ministro ma che, in un caso che non ci auguriamo, dovrebbe scaturire da un mandato parlamentare; mandato che il Governo non ha, soprattutto perché la Costituzione dice altro”.

Tutto ciò dimostra invece la necessità di una discussione parlamentare in merito agli F-35 e non solo, per ridare proprio nostro Parlamento la centralità rispetto a questo tipo di scelte che sono problematiche e costose.

Senza dimenticare che in un periodo storico di crisi in cui molte delle iniziative necessarie per welfare, cassa integrazione, rispetto del referendum sull’acqua pubblica vengono bloccate per mancanza di fondi un’ingente quantità di denaro pubblico viene impiegata per acquisti di natura militare. Punto che rende delicata la declinazione delle politiche pubbliche in vera ottica democratica.

“Il testo della mozione non prevede solo la cancellazione del programma F-35 – sottolinea Massimo Paolicelli della Rete Disarmo – ma chiede che ci sia una ridefinizione del Modello di difesa che deve venire prima di qualsiasi scelta sulla strumentazione d’armamento. E’ poi inaccettabile che la Difesa continui a lamentarsi sulle risorse a propria disposizione. Il nostro Paese non destina alle Forze Armate lo 0,84% del P.I.L. come ripetutamente affermato e a smentire tale affermazione ci sono dati NATO (che attribuisce all’Italia una spesa dell’1,4% del P.I.L. rispetto ad una media europea dell’1,6%) e che sottolineano come il nostro Paese spenda più della Spagna e come la Germania. L'Italia per la Difesa spende tanto e male: è giunta l'ora di darci un taglio reale” 

La discussione in aula che seguirà la presentazione odierna della mozione (il cui testo è in allegato) potrà essere dunque e ancora una volta l’occasione per far crescere la consapevolezza che l’acquisto dei caccia F-35 non possa essere condotto e deciso sulla base di dati parziali e non corretti, come invece fatto in tutti questi anni. Speriamo che tale occasione venga finalmente colta poiché la Campagna “Taglia le ali alle armi” da tempo ha sottolineato come le stime del Ministero riguardo ai costi, ai tempi, e alle ricadute occupazionali e tecnologiche siano assolutamente falsate e non corrispondano a verità. Il costo di acquisto dei 90 caccia previsti si attesterà su 14 miliardi di euro mentre il costo “di vita” dell’intero programma supererà i 50 miliardi di euro, come dimostrato dalle stime della nostra Campagna in allegato a questo comunicato e mai smentite.

LA CASTA HA PURE LA POLIZZA VITA

Fino a 500mila euro per gli eredi in caso di morte del deputato. Un costo annuale di oltre un milione, la denuncia dei 5 Stelle

Altro vizio della Casta scoperto dai parlamentari del Movimento 5 Stelle alla Camera. Si tratta della polizza sulla vita stipulata con una convenzione dai vertici di Montecitorio con Ina Assitalia e Fondiaria Sai e che, in caso di morte dei deputati in carica, paga agli eredi cifre che vanno dai 258 mila euro previsti per gli eletti con oltre 66 anni di età fino agli oltre 516 mila euro per i più giovani con età inferiore ai 40 anni. Costo complessivo per la Camera, circa un milione di euro. 

«E' un privilegio intollerabile, un servizio non necessario che va assolutamente cancellato», denuncia il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio che, insieme ad altri due colleghi del M5S, i segretari d'aula Riccardo Fraccaro e Claudia Mannino, ha chiesto con una lettera alla presidente Laura Boldrini di mettere la questione all'ordine del giorno del prossimo ufficio di presidenza. Per la precisione, risultano assicurati 630 deputati, 496 uomini e 134 donne. Le polizze dei primi costano 747.545 euro, quelle delle seconde 72.467 euro.

Cadoinpiedi

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giovedì 30 maggio 2013

SE BEPPE GRILLO FOSSE MARIO MONTI: ECCO DOVE VA IL M5S E COSA VUOLE DA NOI

DI SERGIO DI CORI MODIGLIANI
sergiodicorimodiglianji.blogspot.it

Che paroloni, uuh!

Nello strombazzare un esito elettorale presentandolo come una campana a morto del M5s.

Titola il quotidiano la repubblica: "La vendetta del PD: crolla Grillo", con annessi editoriali vari a dimostrazione -secondo loro- che la portata storica della presenza nell'agone politico del M5s si è esaurita e quindi conclusa. E' esattamente il contrario. Vediamo il perchè.

Se Beppe Grillo fosse Mario Monti, oggi avrebbe applicato la consueta logica da ragioniere (il ragionier vanesio) e avrebbe comunicato ai cronisti la propria assoluta soddisfazione nel "sottolineare l'incredibile successo ottenuto nella città di Roma dove il M5s ha aumentato i propri consensi nell'ordine del 625%, passando alla Storia come il più grande aumento elettorale in percentuale nella vita della Repubblica: nel 2008 avevamo ottenuto il 2,2%, in questa tornata, invece, il 16,4%". E qualcuno della massa mediatica si sarebbe inchinato dinanzi all'impietosa, fredda, quanto implacabile verità oggettiva delle cifre e non avrebbe potuto far altro che prendere atto di tale "illuminante" dato statistico (peraltro inoppugnabile) spiegando quindi al pubblico come e perchè era maturata tale vittoria. Ma per fortuna di noi italiani Beppe Grillo non ha una logica da ragioniere, quindi si è ben guardato dal coprirsi di ridicolo sostenendo tale ipotesi. Tutti noi, infatti, l'avremmo giudicata capziosa, infantile, priva di aderenza al quadro reale.

Tanto per ricordare in che mani siamo (l'Alzheimer sociale è sempre in agguato, ed è bene combatterlo senza sosta) vorrei sottolineare che tale "piatta logica dei numeri" è il cavallo di battaglia di Monti-Letta ed è quella applicata nel 2012, grazie alla quale è stato accelerato il processo di disintegrazione della società italiana, approfondendo in maniera tragica la crisi economica. 

Nel marzo del 2012, infatti, presentando il bilancio dello stato, erano state immesse nella sezione "entrate" diverse cifre: a) introito di 14 miliardi di euro entro il 31 dicembre relative alla tassazione dovuta dalle concessionarie di videoslot; b) introito di 6 miliardi di euro relativo alla tassazione del 4% per ogni stipula di rogito nella compravendita di immobili con conseguente introito di 2 miliardi di euro di tasse pagate dalle società di intermediazione immobiliare; c) introito di ulteriori 6 miliardi di euro attraverso il 21% di Iva pagato dalla piccola e media impresa; d) grazie alla poderosa attività della guardia di finanza, un introito di "almeno" 3 miliardi di euro relativo alla tassazione suppletiva sui beni di largo consumo dovuto alla nuova tassazione in vigore. Il tutto, rubricato come un 31 miliardi di euro dati per sicuro, che avrebbe portato il pil italiano dal preoccupante -1,4% del 2 marzo 2012 all'ammaliante +0,8% del quarto trimestre, dato che (dichiarazione ufficiale di Mario Monti) "vedo già la luce in fondo al tunnel, perchè tutti i trend sono concordi nel prevedere la ripresa economica entro la fine dell'anno, grazie alla buona governance dell'attuale governo". Risultato reale: a) quasi neanche un euro incassato dalle concessionarie del gioco d'azzardo; b) quasi neppure un euro incassato dalle tasse immobiliari perchè il mercato è crollato con un arretramento del -52% nella compravendita di immobili e conseguente fallimento e chiusura del 28% di agenzie immobiliari; c) quasi neppure un euro incassato dall'Iva sulle piccole imprese perchè ne sono fallite circa 150.000, e sono state chiuse ben 270.000 partite iva non essendo le persone in grado di sostenerne l'onere; d) quasi neppure un euro incassato dal mercato interno perchè le manovre del governo hanno comportato un abbattimento del consumo interno nazionale contraendo la spesa nazionale e riportando il dato del consumo interno (indice di salute economica di una nazione) a quello del 1992.

Risultato reale al 31 dicembre 2012: 32 miliardi di euro di debito in più "non previsto" con il record storico di debito pubblico e il pil a -3,2% invece che +0,8%. Non solo. Un anno dopo, in conseguenza di questo disastro annunciato, Mario Monti ha perso le elezioni, ma è andato al governo piazzando i suoi uomini in posti chiave.

Questa è la logica dei numeri.

Così funziona il sistema politico "reale" nella Repubblica Italiana.

Ma siccome Beppe Grillo non è Mario Monti, e io non sono un amante dell'interpretazione ragionieristica dell'esistenza e della politica, mi rifiuto di applicare tale logica ridicola perchè ciò che per me conta consiste nel "dato esistenziale reale di un risultato elettorale, e il suo impatto politico".

Qui iniziano i dolori. Ma essere maturi e consapevoli (come ben insegna la medicina olistica) vuol dire interpretare ciò che non va, ovvero i sintomi, come un'occasione d'oro per avviare un processo di "salutificazione" del proprio corpo.

Crollo, tradimento, tramonto, debacle, sconfitta: questi sono i termini usati oggi dalla cupola mediatica.

Si approfitta di questo risultato per spingere la popolazione a osservare la punta dell'indice ferito e sanguinante, sviando l'attenzione dalla necessità di osservare la luna, per poterla riconoscere, prendendo atto della sua esistenza. Sarebbe stato un crollo se in un qualunque comune dove si è votato, avesse clamorosamente perso il sindaco uscente M5s, la giunta uscente M5s, travolta da scandali e ruberie. Delle importanti città italiane, l'unica verifica seria sarà l'elezione amministrativa del comune di Parma , perchè a quel punto gli elettori saranno chiamati a giudicare l'operato di Pizzarotti.

 Il risultato negativo, che è reale, se rapportato alle attese preventive, sta tutto nel livello davvero basso del sistema di comunicazione di M5s, che va riconsiderato, carato, modificato, migliorato, evoluto. Sono fortemente in disaccordo con tutti coloro che oggi accusano i media di essere i responsabili del calo elettorale: è come se un bolscevico nel 1916 accusasse i giornalisti zaristi di scrivere bugie su Lenin; o, più recentemente, è come se nel 1960 i sindacalisti italiani avessero accusato, piagnucolando, la famiglia Agnelli di non avere aiutato i loro candidati nella battaglia per la conquista del comune di Torino. Ridicolo. Sono, inoltre, fortemente in disaccordo con tutti coloro che, oggi, reclamano il diritto di esponenti, attivisti, militanti del M5s di andare subito nei talk show televisivi per esprimere il proprio punto di vista. Il problema è ben altro.

Nel mio immaginario quotidiano surreale (da oggi dotato anche di televisione surreale con una specie di CNN h24) la notizia sarebbe stata data in maniera molto diversa. Tipo: "A Roma, il PD costretto a far buon viso a cattivo gioco, incassa la vittoria di un grande sostenitore di Rodotà, la vittoria di un furibondo contestatore dell'attuale dirigenza; incassa la vittoria di un suo esponente che al Senato ha votato NO alla fiducia al governo; incassa la vittoria di un candidato poco incline alla logica burocratica dei capi-bastone". Grazie alla televisione surreale, avremmo avuto anche la video-intervista al candidato perdente Marcello De Vito il quale, raggiante, avrebbe detto: "Come cittadino romano non posso nascondere di essere fortemente deluso per l'esito della mia lista, abbiamo perso il 4% rispetto al dato del 25 febbraio alle regionali (il confronto con altre amministrative è più sensato) ma come esponente politico del M5s sono entusiasta e davvero felice. Questo risultato è la conferma del meraviglioso lavoro svolto dal M5s in Italia, della sua forza dirompente, della sua necessità, perchè a Roma viene battuta la politica familista di Alemanno che ha devastato la città; vince un politico che, come molti altri iscritti e dirigenti PD romani, aveva sostenuto fortemente Rodotà che era anche il nostro candidato; non appena ha saputo di aver vinto, il Dottor Ignazio Marino ha chiarito subito -consapevole che noi gli stiamo sul collo- che ha deciso di far suo il programma di M5s, convinto che la trasparenza, la pratica del bilancio sociale, il taglio immediato dei costi della politica romana, e una immediata apertura nei confronti delle esigenze della cittadinanza a scapito della burocrazia partitica, siano gli elementi di punta del suo progetto. Consapevoli dell'attuale stato di cose, ci dichiariamo delusi dai nostri numeri ma commossi e raggianti nel toccare con mano che, a Roma, si vince solo e soltanto se vengono portate avanti le istanze del M5s: perchè il nostro programma è ciò che vuole la gente".

Questo avrei dichiarato io, se fossi stato Marcello De Vito.

Perchè penso che corrisponda alla verità tutta politica dei fatti. 

Se il governo sta valutando l'ipotesi di derubricare il finanziamento pubblico ai partiti, è perchè ci sono in parlamento 163 parlamentari che non danno loro requie;

Se il parlamento non ha ancora dato mandato al ministro della difesa Mauro di inviare subito almeno 5.000 soldati italiani nel Mali, è perchè il M5s ha piazzato un vice-presidente e un segretario alla commissione esteri, che si stanno impegnando tutti i giorni proprio su questo punto;

Se il parlamento non ha emesso un immediato decreto legge che autorizza il Tesoro a chiedere alla BCE un prestituccio di 10 miliardi di euro da girare subito alle banche strozzine affamate, è perchè tale dispositivo è stato bloccato dai parlamentari del M5s che stanno in commissione bilancio;

Se i media hanno bisogno di attaccare frontalmente il M5s e far credere che è già finito, dipende dal fatto che i "163 rompicoglioni" hanno rubricato e formalmente chiesto alla presidenza della Camera e del Senato di eliminare il sovvenzionamento dello Stato a giornali, settimanali, mensili, radio, televisioni, case editrici, per un risparmio valutato intorno a 2 miliardi di euro l'anno, da destinare immediatamente a un fondo di sussidio per imprese sull'orlo del fallimento in quanto creditrici  dello Stato.

Ha torto chi vuole adesso andare ai talk show.

Ha torto chi insiste a tenere quella posizione, ormai puramente teorica, che identifica la rete come un medium da santificare che esclude l'intervento in carne e ossa nella realtà, scavalcando la virtualità.

Ha funzionato a meraviglia l'idea di Grillo/Casaleggio di lanciare lo slogan "1 vale 1". E' stato fondamentale per introdurre la necessità di abbattere il rischio di clientele, personalismi, capi-bastone. Ma va aggiornato. La scelta dei candidati in rete non è più sostenibile seguendo delle modalità che non favoriscono la creazione di una dirigenza politica composta dai migliori e dai più meritevoli tra tutti i sostenitori attivisti del M5s. E, in questa fase, da combattenti e guerrieri ben equipaggiati e saggiamente formati.

Ci siamo forse dimenticati che questa è una guerra?

Pensavate fosse una passeggiata? Un picnic virtuale? Una narcisata?

La sola presenza del M5s mette in fibrillazione l'intero sistema politico italiano, che seguita a essere composto, nei posti cruciali, da individui dediti all'uso della cosa pubblica per interesse personale, di gruppo e/o del partito di aderenza.

E' un lungo cammino. Il fine consiste nell'abbattere gli oligarchi e trasformare l'Italia da pantano a società dinamica.

Ne sa qualcosa Gianni Alemanno.
Se non fosse stato per l'esistenza del M5s, probabilmente il PD non avrebbe mai accettato la candidatura del Dottor Marino; se non fosse stato per l'esistenza del M5s, a destra nessuno sarebbe andato a chiedere ragguagli in comune grazie alle notizie, informazioni, dati e date fornite dagli attivisti romani.

Mettiamola così:

Il M5s affossa Alemanno e la sua giunta.
Ignazio Marino ringrazia, e incassa il premio.
Vedremo la seconda fase come si coniugherà. 

Tranquilli, quindi, sui paroloni.

Il nostro futuro è nelle nostre mani.
Dobbiamo semplicemente seguitare a rimboccarci le maniche, correggere gli errori, e proseguire.
Non è mica un facile lavoro convincere i milioni di italiani foraggiati, mantenuti, finanziati, sovvenzionati, dai partiti che danno a loro i soldi rubati dalle nostre tasse.
Per questo i partiti li adorano. Tanto più esisteranno parassiti, tanto più i partiti sopravviveranno.
La strada è davvero lunga.
Ma ciò che conta è il primo passo.
Quello è stato già compiuto.

Sergio Di Cori Modigliani
Fonte. http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it
Link: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2013/05/se-beppe-grillo-fosse-mario-monti-ecco.html
28.05.2013

È il primo passo concreto, ma la strada è ancora lunga

È passata ieri alla camera e all'unanimità, la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica - nota come Convenzione di Istanbul. L'Italia è il quinto Paese a ratificare questa convenzione, dopo Turchia, Albania, Portogallo e Montenegro, e per ora questo atto concreto, che passa al senato, fa tirare un sospiro di sollievo a tutte quelle donne, associazioni, società civile, che si sono battute sul campo perché questo obiettivo fosse raggiunto. Un merito condiviso con quelle donne che nelle istituzioni hanno accettato di ascoltare e che si sono mosse contro la violenza di genere, prima fra tutte la presidente della camera, Laura Boldrini, di cui l'aula di ieri ha riconosciuto «la forza e il coraggio» in questa battaglia.
In un'aula piena - diversamente da lunedì quando è cominciata la discussione e gli scranni erano quasi deserti - gli interventi sono stati tutti favorevoli alla ratifica con direzioni però diverse: intenzioni che fanno intendere quali potranno essere le difficoltà dell'implementazione di questa Convenzione nel nostro Paese. «Ci sono già parecchi disegni di legge riguardo il femminicidio - ha detto Rosa Calipari (Pd) - ma credo che la ministra Idem abbia colto nel segno quando parla di un ddl governativo e una task force in cui sia prioritario coinvolgere le associazioni che di questo si occupano da sempre, sulla base ovviamente del rafforzamento della tutela delle donne, sia di prevenzione sia di protezione, come indica questa convenzione». La ministra Idem, che ieri ha partecipato al funerale di F.L. (la ragazza di 15 anni accoltellata e bruciata viva dal suo ex), nella prima discussione aveva parlato della ratifica come «un utile strumento per introdurre nel nostro ordinamento adeguate misure di carattere amministrativo e misure di carattere normativo».
Ma come applicare una Convenzione così avanzata in tema di discriminazione e violenza contro le donne in un Paese, il nostro, in cui le lacune emergono prepotentemente dalle pagine di cronaca nera? Cosa significa rendere concreta una piattaforma come questa, quando le stesse leggi che abbiamo non vengono ancora applicate, le donne non sono ascoltate nei tribunali, i minori non vengono protetti dagli abusi che subiscono tra le mura di casa? Per Celeste Costantino (Sel) ci sono quattro punti fondamentali da attuare subito: «L'educazione di genere a partire dalle scuole materne, un fondo permanente ai centri antiviolenza che non possono essere finanziati a singhiozzo, l'intervento mirato sugli offender, e un'azione sull'uso-abuso del corpo femminile nelle pubblicità e nei media».
Questa Convenzione, che è vincolante per chi la ratifica, parla anche di «natura strutturale della violenza», dell'importanza «dell'uguaglianza di genere», di «rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi», di «autonomia e autodeterminazione» delle donne, di «formazione» di chi lavora con la violenza, e dell'importanza di «promuovere cambiamenti nei comportamenti socio-culturali» eliminando «pregiudizi basati sull'idea di inferiorità della donna».
Nella Convenzione di Istanbul c'è il riconoscimento della violenza domestica e di quella assistita dai minori. Si parla di «vittimizzazione secondaria», a cui spesso assistiamo nei tribunali, di protocolli tra autorità giudiziarie, Pm, autorità locali e regionali, ong, e dell'intera rete che deve essere messa in atto per «proteggere e sostenere» le donne. Si mette nero su bianco il divieto della mediazione familiare in caso di violenza e di «custodia» del minore che «non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini», e di «allontanamento immediato» nel caso di pericolo». Tutti punti che in Italia sono le voragini in cui cadono tantissime donne, sia quelle che denunciano ma soprattutto quelle che non denunciano perché hanno paura di non essere ascoltate e credute.
Eppure ieri si è parlato poco di questo, o meglio solo alcuni interventi hanno fatto accenni alle vere lacune di questo Paese in materia di femminicidio che non è, come detto anche in quell'aula, l'uccisione di una donna in quanto tale, ma tutte le violenze che una donna può subire nell'arco di una vita.

da Il Manifesto

Addio Franca QdS

Dopo la morte di Don Gallo, a pochi giorni di distanza, ci lascia anche Franca Rame.
A noi resta l’esempio di una donna libera e forte, come ne nascono raramente. La sua carriera teatrale è stata sempre all’insegna dell’impegno civile“Morte accidentale di un anarchico”, ispirata alla vicenda di Pinelli (portata in scena insieme al marito Dario Fo), è forse la sua piéce più famosa e più coraggiosa.
La sua carriera nella politica di palazzo fu invece piuttosto breve: lasciò il Senato perché per lei era inconcepibile vendere la coscienza per tenersi stretta una poltrona a suon di voti. Il mondo va proprio al contrario…
Addio Franca, da tutti noi ragazzi di Qualcosa di Sinistra.
Questo il testo completo della sua lettera di dimissioni:
Gentile Presidente Marini,
con questa lettera Le presento le mie dimissioni irrevocabili dal Senato della Repubblica, che Lei autorevolmente rappresenta e presiede. Una scelta sofferta, ma convinta, che mi ha provocato molta ansia e anche malessere fisico, rispetto la quale mi pare doveroso da parte mia riepilogare qui le ragioni.
In verità basterebbero poche parole, prendendole a prestito da Leonardo Sciascia: «Non ho, lo riconosco, il dono dell’opportunità e della prudenza, ma si è come si è». Il grande scrittore siciliano è, in effetti, persona che sento molto vicina, (eravamo cari amici) sia per il suo impegno culturale e sociale di tutta la vita, sia perché a sua volta, nel 1983, a fine legislatura decise di lasciare la Camera dei Deputati per tornare al suo lavoro di scrittore.
Le mie motivazioni, forse, non sono dissimili dalle sue. Del resto, io mi sono sentita “prestata” temporaneamente alla politica istituzionale, mentre l’intera mia vita ho inteso spenderla nella battaglia culturale e in quella sociale, nella politica fatta dai movimenti, da cittadina e da donna impegnata. E questo era ed è il mandato di cui mi sono sentita investita dagli elettori: portare un contributo, una voce, un’esperienza, che provenendo dalla società venisse ascoltata e magari a tratti recepita dalle istituzioni parlamentari.
Dopo 19 mesi debbo constatare, con rispetto, ma anche con qualche amarezza, che quelle istituzioni mi sono sembrate impermeabili e refrattarie a ogni sguardo, proposta e sollecitazione esterna, cioè non proveniente da chi è espressione organica di un partito o di un gruppo di interesse organizzato.
Nel marzo del 2006, l’Italia dei Valori mi propose di candidarmi come senatrice alle elezioni. Ho riflettuto per un mese prima di sciogliere la mia riserva, mossa da opposti sentimenti, ma alla fine ho maturato la convinzione che per contribuire a ridurre i danni prodotti al Paese dal governo retto da Silvio Berlusconi e dall’accentramento di poteri da lui rappresentato, ogni democratico dovesse impegnarsi in prima persona nell’attività politica. Ho infine accettato, ringraziando l’On. Di Pietro per l’opportunità che mi aveva offerto, pensando, senza presunzione, che forse avrei potuto ricondurre alle urne, qualcuna o qualcuno dei molti sfiduciati dalla politica. Ecco così che il 12 aprile 2006 mi sono ritrovata a far parte, alla mia giovane età (!!), del Senato della Repubblica carica d’entusiasmo, decisa a impegnarmi in un programma di rinnovamento e progresso civile, seguendo le proposte portate avanti durante la campagna elettorale dell’Unione, soprattutto quella di riuscire a porre fine all’enorme e assurdo spreco di denaro pubblico.
Ho così impegnato la mia indennità parlamentare per lavorare in questa direzione, anche organizzando (giugno 2006) un convegno con un gruppo di professionisti tra i più valenti, al fine di tracciare le linee di un progetto in grado di tagliare miliardi di euro di spese dello Stato nel settore dei consumi energetici, delle disfunzioni della macchina giudiziaria e dell’organizzazione dei servizi. A questo convegno ho invitato Senatori della commissione ambiente e altri che ritenevo sensibili ai temi in discussione.
Non ne è venuto uno.
Ho inoltre presentato un disegno di legge (4 luglio 2006) con cui chiedevo che i funzionari pubblici, condannati penalmente, venissero immediatamente licenziati, trovando su questo terreno l’adesione di parlamentari impegnati nella stessa direzione, quali i Senatori Formisano, Giambrone, Caforio, D’Ambrosio, Casson, Bulgarelli, Villecco Calipari, Russo Spena e molti altri, compresi numerosi deputati. E’ nato così il progetto delle “10 leggi per cambiare l’Italia”. Ho anche acquistato spazi su alcuni quotidiani e sul web, per comunicare i punti essenziali di questo progetto. Ma anche questa iniziativa non ha suscitato interesse nei dirigenti dei partiti del centro sinistra. Nei quasi due anni trascorsi in Senato, ho presentato diverse interrogazioni.
Tutte rimaste senza risposta.
Ho presentato numerosi emendamenti, ma non sono stati quasi mai accolti. Questa, per la verità, è la sorte che capita a quasi tutti i Senatori. In seguito a una inchiesta da me condotta sul precariato in Parlamento, sei mesi fa mi sono impegnata nella stesura di un disegno di legge (presentato 18 luglio) in difesa dei diritti dei collaboratori dei parlamentari: illegalità, evasione contributiva e sfruttamento proprio all’interno della istituzione parlamentare! Mi sono contemporaneamente impegnata su questioni drammatiche e impellenti, quali la necessità che il ministero della Difesa riconoscesse lo status di “vittime di guerra” ai reduci dei conflitti nei Balcani, Iraq e Afghanistan, avvelenati dai residui dell’esplosione dei proiettili all’uranio impoverito.
Quanti sono i militari deceduti? Mistero.
Quanti gli ammalati ignorati senza assistenza medica né sostegno economico? Mistero. Le cifre che si conoscono sono molto contraddittorie.
Quello che si sa con certezza è che ci sono famiglie che per curare il figlio si sono dissanguate e alla morte del congiunto non avevano nemmeno i mezzi per pagare la tomba.
Anche per questa tragica campagna d’informazione ho acquistato spazi su quotidiani e web. Grazie ad alcuni media e a “Striscia la notizia” di Antonio Ricci, il problema è stato portato per quattro volte al grande pubblico: giovani reduci dei Balcani gravemente colpiti, raccontavano la tragedia che stavano vivendo. Dopo tanto insistere, finalmente il Ministro Parisi, se ne sta occupando: speriamo con qualche risultato concreto.
Posso dire serenamente di essermi, dall’inizio del mio mandato ad oggi, impegnata con serietà e certamente senza risparmiarmi. Ma non posso fare a meno di dichiarare che questi 19 mesi passati in Senato sono stati i più duri e faticosi della mia vita.
A volte mi capita di pensare che una vena di follia serpeggi in quest’ambiente ovattato e impregnato di potere, di scontri e trame di dominio. L’agenda dei leader politici è dettata dalla sete spasmodica di visibilità, conquistata gareggiando in polemiche esasperate e strumentali, risse furibonde, sia in Parlamento che in televisione e su i media. E spesso lo spettacolo a cui si assiste non “onora” gli “Onorevoli”.
In Senato, che ho soprannominato “il frigorifero dei sentimenti” non ho trovato senso d’amicizia. Si parla… sì, è vero… ma in superficie. Se non sei all’interno di un partito è assai difficile guadagnarsi la “confidenza”. A volte ho la sensazione che nessuno sappia niente di nessuno…
O meglio, diciamo che io so pochissimo di tutti. In Aula, quotidianamente, in entrambi gli schieramenti (meno a sinistra per via dei numeri risicati), vedi seggi vuoti con il duplicato della tessera da Senatore inserita nell’apposita fessura, con l’intestatario non presente: così risulti sul posto, anche se non voti e non ti vengono trattenuti 258 euro e 35 centesimi per la tua assenza, dando inoltre la possibilità ai “pianisti” di votare anche per te, falsando i risultati. Questo comportamento in un Paese civile, dove le leggi vengono applicate e rispettate, si chiama “truffa”.
La vita del Senatore non è per niente comoda e facile per chi voglia partecipare seriamente ed attivamente ai lavori d’Aula. Oltre l’Aula ci sono le commissioni. Ne ho seguite quattro: Infanzia, Uranio impoverito, Lavori pubblici e comunicazione, Vigilanza Rai. A volte te ne capitano tre contemporaneamente e devi essere presente ad ognuna o perché è necessario il numero legale o perché si deve votare. E’ la pazzia organizzata!
Se queste riunioni si facessero via web si ridurrebbero i tempi e si potrebbe arrivare velocemente alle conclusioni, ma l’era del computer non ha ancora toccato i vertici dello Stato! E tutto questo attivismo produce un effetto paradossale: la lentezza. Si va lenti… “lenti” in tutti i sensi. Nel nostro Parlamento l’idea del tempo è quella che probabilmente hanno gli immortali: si ragiona in termini di ere geologiche, non certo sulla base della durata della vita umana e degli impellenti bisogni della gente.
Oltretutto mi sento complice di una indegnità democratica. Stiamo aspettando da 19 mesi, che vengano mantenute le promesse fatte in campagna elettorale. Non è stata ancora varata, ad esempio, la legge sul conflitto d’interessi, e ritengo questo ritardo gravissimo. Non è stata liberata la Rai dai partiti, non è stato fissato un antitrust sulle televisioni, mentre in compenso tutte le leggi del governo Berlusconi, assai criticate anche all’estero, sono in vigore, il falso in bilancio continua a essere depenalizzato, la ex Cirielli continua a falcidiare migliaia di processi.
Contemporaneamente il governo ha bloccato il processo sul sequestro di Abu Omar sollevando due conflitti d’attribuzione davanti alla Corte costituzionale. E ha creato i presupposti perché al Pubblico Ministero Luigi De Magistris vengano tolte le indagini su politici di destra e di sinistra e il Giudice Clementina Forleo venga fatta passare per esaltata e bizzarra. Nonostante gli impegni programmatici sulla legge Bossi-Fini e sui Centri di permanenza temporanea, che sarebbe più appropriato definire centri di detenzione, dove sono negati i diritti più elementari, non ci sono novità.
Ora stiamo aspettando anche in Senato il disegno di legge che vieta ai giornali di pubblicare le intercettazioni e gli atti d‘indagini giudiziarie, già votato alla Camera da 447 deputati, con soli 7 astenuti e nessun contrario. Come andrà in Senato? In tante occasioni ho fatto prevalere, sui miei orientamenti personali la lealtà al governo e allo schieramento in cui sono stata eletta, ma questa volta non potrei che votare contro.
Il Paese si trova in gran difficoltà economica: disoccupazione, precarietà, caro vita, caro affitti, caro tutto… pane compreso. Che dire della lontananza sconvolgente che c’è tra il governo e i reali problemi della popolazione? E che dire dei 1030 morti sul lavoro nel solo 2007 (cifra peraltro destinata a crescere con la stabilizzazione dei dati Inail) Ben venga il disegno di legge del ministro Damiano e il nuovo Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro. Non è mai troppo tardi. Solo un po’…
Che dire dell’indulto di “tre anni” approvato con una maggioranza di 2/3 del Senato, con l’appoggio di UDC, Forza Italia e AN? Era certamente indispensabile alleggerire il disumano e incivile affollamento delle carceri, ma con un criterio che rispondesse davvero al problema nella sua essenza, con un progetto di riforma strutturale del sistema penitenziario, con il coinvolgimento delle innumerevoli associazioni del volontariato privato-sociale, che storicamente operano sul territorio nazionale e locale. A migliaia si sono trovati per strada e molti senza un soldo né una casa, né tanto meno un lavoro. Dodici donne italiane e straniere furono dimesse dal carcere di Vigevano a notte fonda in piena e desolata campagna!
La notte stessa e nei mesi a seguire, circa il 20% degli scarcerati è ritornata in cella. Sono anni che le carceri scoppiano… nessuno ha mai mosso un dito. Di colpo arriva l’indulto! E’ difficile non sospettare che il vero obiettivo di questa legge proposta dal governo, fosse soprattutto quello di salvare, in fretta e furia, dalla galera importanti e noti personaggi incriminati, industriali e grandi finanzieri, e soprattutto politici di destra e qualcuno anche di sinistra… Che dire dei deputati e senatori condannati e inquisiti che ogni giorno legiferano e votano come niente fosse? Che dire di una finanziaria insoddisfacente alla quale siamo stati obbligati a dare la fiducia, altrimenti non avrebbe avuto i voti per passare?
Che dire del consenso dato dal governo Prodi nel 2006 e riconfermato, “di persona” dal Presidente Napolitano a Bush nel 2007, per la costruzione della più grande base americana d’Europa a Vicenza? Gli impegni presi da Berlusconi sono stati mantenuti. I vicentini hanno diritto di manifestare in centinaia di migliaia, con la solidarietà di molti italiani, ma non di ottenere attenzione e rispetto delle proprie ragioni. Che dire del costante ricatto, realizzato da questo o quel onorevole, di far cadere il governo per cercare di ottenere privilegi o cariche? Quante volte, per non farlo cadere, ‘sto benedetto governo, ho dovuto subire il ricatto e votare contro la mia coscienza? Troppe. Tanto da chiedermi spesso: “Cosa sono diventata? La vota rosso-vota verde?”
La prima volta che ho sentito forte la necessità di allontanarmi da questa politica svuotata di socialità, è stato proprio con il rifinanziamento delle missioni italiane “di pace” all’estero. Ero decisa a votare contro, ma per senso di responsabilità, e non mi è stato facile, mi sono dovuta ancora una volta piegare. E non mi è piaciuto proprio. Credo che il mio malessere verso queste scelte sia ampiamente condiviso dai molti cittadini che hanno voluto questo governo, e giorno dopo giorno hanno sentito la delusione crescere, a seguito di decisioni sempre più distanti da loro, decisioni che li hanno alla fine, allontanati dalla politica.
In queste condizioni non mi sento di continuare a restare in Senato dando, con la mia presenza un sostegno a un governo che non ha soddisfatto le speranze mie e soprattutto quelle di tutti coloro che mi hanno voluta in Parlamento e votata. La prego quindi signor Presidente di mettere all’ordine del giorno dell’Assemblea le mie irrevocabili dimissioni.
Non intendo abbandonare la politica, voglio tornare a farla per dire ciò che penso, senza ingessature e vincoli, senza dovermi preoccupare di maggioranze, governo e alchimie di potere in cui non mi riconosco. Non ho mai pensato al mio contributo come fondamentale, pure ritengo che stare in Parlamento debba corrispondere non solo a un onore e a un privilegio ma soprattutto a un dovere di servizio, in base al quale ha senso esserci, se si contribuisce davvero a legiferare, a incidere e trasformare in meglio la realtà. Ciò, nel mio caso, non è successo, e non per mia volontà, né credo per mia insufficienza.
E’ stato un grande onore, per il rispetto che porto alle Istituzioni fondanti della nostra Repubblica, l’elezione a Senatrice, fatto per il quale ringrazio prima di tutto le donne e gli uomini che mi hanno votata, ma, proprio per non deludere le loro aspettative e tradire il mandato ricevuto, vorrei tornare a dire ciò che penso, essere irriverente col potere come lo sono sempre stata, senza dovermi mordere in continuazione la lingua, come mi è capitato troppo spesso in Senato.
Mi scuso per la lunga lettera, signor Presidente, ma sono stata “in silenzio” per ben 19 mesi! Roba da ammalarmi!
Prima di accomiatarmi non posso non ricordare quelle colleghe e colleghi di gran valore intellettuale e politico che ho avuto l’onore di conoscere. Tra questi una particolare gratitudine va ad Antonio Boccia, che fin dall’inizio mi ha tenuta sotto la sua ala protettrice con amichevole affetto, consigliandomi e rincuorandomi nei momenti difficili. Un pensiero particolare al Ministro Di Pietro e i Senatori di Italia dei Valori e a chi ha dimostrato simpatia nei miei riguardi. Rimane il rammarico di non aver potuto frequentare, se non rarissime volte, i colleghi oltre le mura del Senato.
Infine un ringraziamento sentito alla Senatrice Binetti e al Senatore Tomassini che con grande umanità hanno superato le ideologie che ci dividono, per soccorrere uniti, un bimbo di 6 anni in grande difficoltà. Augurandomi che Lei possa comprendere le mie motivazioni, desidero ringraziarLa per la gentilezza e disponibile accoglienza che mi ha accordato.
La saluto con stima sincera

martedì 28 maggio 2013

Elezioni, ha vinto l’astensione


Sono fantastici. C’è un picco d’astensione in tutta Italia, con il record negativo di Roma, dove un elettore su due non si è recato al voto, e loro festeggiano. Mi sembrano tutti Bersani che faceva il segno della vittoria dopo la fiducia a Letta e la rielezione di Napolitano: fuori dalla realtà.
Il Paese è stanco, sfiduciato, demotivato e loro pensano solo in termini di quante poltrone riusciranno ad ottenere a questa tornata elettorale. “Grandissima affermazione del PD“, ti biascicano senza nemmeno troppa convinzione gli uomini di apparato che hanno fatto cadere un macigno su qualsiasi ipotesi di cambiamento in questo Paese. Fenomenali poi quelli che, commentando il tracollo di Grillo, affermano, da grandi strateghi di battaglia navale, che “il voto premia il governo di larghe intese“.
Premia il governo di larghe intese? Semmai punisce Grillo, per come si è comportato subito dopo il voto (a nulla gli è valso provare a intestarsi il merito della candidatura di Rodotà, già candidato da altri cittadini ben prima che si svegliasse lui, a partire dalla nostra petizione con 60mila firme), e denota semmai la mancanza di una valida alternativa al sistema che ci ha trascinato oggi al disastro, altrimenti questa forte astensione non si spiegherebbe.
Loro si arrovellano su arrapanti dibattiti sui partiti liquidi e solidi (che nel frattempo stanno evaporando), mentre il Paese lentamente muore nella corruzione, nella disoccupazione, nella crisi economica e sociale. E festeggiano. Ok, facciamo così: la neuro la chiamate voi?

Comunali 2013 - Primo turno . Bareggio ha votato così.

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lunedì 27 maggio 2013

Bologna, vince la scuola pubblica


Il 60% dei cittadini bolognesi che si sono recati alle urne ha scelto l’opzione A, ovvero l’abolizione dei finanziamenti pubblici alle scuole private cattoliche. Finalmente una buona notizia. Che però si scontra con la bassa affluenza: solo il 28% degli aventi diritto è andato a votare. In ogni caso, per i musi lunghi dell’opzione B, consiglio di rileggersi un attimo Piero Calamandrei. Chissà che finalmente non ci arrivino che i finanziamenti di cui parlano lor signori sono incostituzionali.
Giusto per far capire da chi era composto il fronte dell’opzione B, quella favorevole ai finanziamenti pubblici alle scuole private cattoliche: Pd (a partire dal sindaco Virginio Merola), Pdl, Lega, Scelta Civica e la Curia. Che bel quadretto. Poi magari si chiedono perché la gente smette di votarli alle elezioni. Parlo del centrosinistra, of course, visto che il centrodestra non fa altro che cercare di applicare il proprio programma.
QdS

venerdì 24 maggio 2013

Da Penati al governo Letta, fino su al Colle. La Repubblica fondata sulle balle


L'ultimo in ordine di tempo è Filippo Penati, ex capo della segreteria di Bersani, che da mesi va dicendo di voler rinunciare alla prescrizione e non lo fa. Ma è solo un elemento di una lunga fila di menzogne raccontate dalla politica e dai politici agli italiani. Balla per balla, ecco la legislatura della pacificazione

di   Il Fatto Quotidiano

L’Italia è una Repubblica fondata sulla balla. L’ultima, in ordine di tempo, è la promessa di Filippo Penati di rinunciare alla prescrizione nel processo sulle tangenti per l’ex area Falck. Per evitare equivoci l’ha anche ribadita anno per anno (“Non mi nascondo dietro alla prescrizione“, 30/8/2011, “Pronto a rinunciare“, 8/8/2012) e fino all’ultimo (“Non voglio la prescrizione“, 13/5/2013) A sette giorni dall’ultima promessa, però, l’ex presidente della Provincia e responsabile della segreteria politica di Bersani non si è presentato in aula, non ha risposto al suo legale che lo cercava disperatamente sul telefonino e alla fine ha incassato la prescrizione del reato. Evviva.
Ma come prendersela con lui quando l’intera storia politica italiana è costellata di bugiardi patentati? Lasciamo stare le promesse elettorali e le balle storiche che, giorno dopo giorno, hanno minato la credibilità del ceto politico italiano, a suon di case e cose a loro insaputa. Le prime settimane delgoverno Letta offrono già un ricco campionario, a partire dal giorno in cui si è presentato alle Camere con una serie di impegni solenni sui quali ha ottenuto la fiducia. Dal giorno dopo – è sotto gli occhi di tutti – i propositi del governo sono naufragati, uno dopo l’altro, sulla strada del compromesso dei partiti che lo sostengono. Perfino la sua composizione, la natura stessa dell’esecutivo, si rivelano presto viziati da una serie di promesse subito infrante.
LE BUGIE DI LETTA: “GOVERNO DI EMERGENZA, SQUADRA SNELLA E SOBRIA”Nei giorni in cui Enrico Letta fa le consultazioni lancia un messaggio di cambiamento importante (“Governo snello e sobrio in grado di agire subito”, 25/4/2013). Finalmente. Passano due giorni, i partiti fanno a gara per garantirsi poltrone su poltrone, e il governo Letta nasce con 21 ministri e40 sottosegretari. Da snello a extra-large. Ma almeno è sobrio? Abbastanza da infilare l’amazzoneBiancofiore, notoriamente ostile ai gay (“Si ghettizzano da soli“, 4/5/2013), sulla seconda poltrona del Ministero per le Pari Opportunità e una laureata in giurisprudenza (Nunzia De Girolamo) come ministro dall’Agricoltura (in palese conflitto di interesse familiare). Pesante anche il fardello di impresentabili nei sottoranghi del governo che annovera un viceministro (Bruno Archi) che è teste della difesa del processo Ruby, uno agli Interni (Filippo Bubbico) con un processo a carico per abuso d’ufficio, fino al Micciché nazionale. Spunta anche Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno con procedimenti a carico, dunque viceministro di Infrastrutture e trasporti. Insomma, sobrietà al potere. 
LA STRATEGIA: NON CENTRARE GLI OBIETTIVI MINIMI PER ALLUNGARE LA VITA AL GOVERNO 
Per fare cosa? Presa la fiducia, in più occasioni, il nuovo premier rassicura tutti che il governo del compromesso nasce sotto la stella polare dell’emergenza e dovrà durare giusto il tempo di fare tre cose: la riforma della legge elettorale, un taglio netto ai costi della politica, provvedimenti urgenti per rilanciare l’occupazione. Ebbene? Dall’insediamento a oggi, meno di un mese, le priorità sono già cambiate e i tempi di vita del governo si sono dilatati, dalla convenzione di 18 mesia cinque anni. La legge elettorale si sta rivelando ogni giorno di più una colossale presa per i fondelli. All’inizio era “una legge da cambiare assolutamente” (5/5/2013). 
Fino a tre giorni fa Letta assicurava ancora: “Quella con cui voteremo non è il Porcellum” (20/5/2013). Ora che perfino laConsulta rischia di bocciare la legge porcata, il governo si dà da fare per tenerla in vita a ogni costo, rimaneggiandola perché passi il vaglio dei magistrati (“Bisogna rispondere alla Consulta“, 22/5/2013). Resta invece in alto mare quel decretino di quattro righe che doveva garantire quanto meno il ritorno al Mattarellum. Non è pervenuto. 
Fin qui sono balle politiche. Ma c’è un altro tema che sta a cuore al governo, il fronte caldo del lavoro. Quello che per Letta doveva essere “la mia ossessione” (“E’ il cuore del mio impegno, lo dimostrano le parole e soprattutto i fatti“, 19/5/2013). Per la verità finora non si è visto molto, se non l’intenzione di ridurre i tempi d’attesa tra un contratto a termine e l’altro. In pratica l’occupazione, questa la tesi giuslavoristica che guida l’esecutivo, arriverebbe da un’ulteriore iniezione di flessibilità. Nel frattempo, il lavoro Letta lo cerca a Bruxelles, dove ha strappato l’ok per mettere il tema al centro del prossimo vertice di giugno. Ci pensino loro. 
LE PROMESSE TRADITE DELLA PACIFICAZIONEInsomma, al netto delle promesse infrante, il bottino del governo finora è magro. Del resto, dopo aver palesato le sue finalità essenziali, si è dovuto impegnare su altre. A rincorrere, ad esempio, le promesse elettorali del Pdl sull’abolizione dell’Imu che, tanto per cambiare, era una balla (non c’era alcun accordo con la Svizzera a coprire l’operazione). E infatti si è approdati non all’abolizione e tantomeno alla restituzione ma a un incerto salto della rata di giugno e alla promessa di una riforma entro il 31 agosto. L’altro fronte caldo del governo è legato a una missione speciale: far sopravvivere se stesso alle continue rappresaglie dello scomodo azionista, Silvio Berlusconi. Campione di balle al punto da meritarsi un libro (“Le mille balle blu“, Rizzoli 2006), a 76 anni il Cavaliere è in forma smagliante e ne rifila di grosse. La più smaccata, di questi tempi, è la rassicurazione – a reti unificate – sulla deposizione delle armi per il bene del Paese. La promessa è di non minare la strada del governo. Nessuna interferenza da Arcore per neutralizzare la magistratura e i suoi guai. Ci penseranno altri: tutti in fila sulle rampe del tribunale di Milano per il processo Ruby, tutti in piazza a Brescia per quello Mediaset, con le mani pronte ad allungare nuove leggine ad personam (il salva-Dell’Utri sulla prescrizione del concorso esterno, l’ennesimo tentativo di stretta sulle intercettazioni….).
Il principale nega ogni ricatto all’esecutivo, ma ad affermarlo ci pensano i suoi parlamentari, in particolare il presidente della commissione Giustizia Nitto Palma (“Se passa l’ineleggibilità il governo cade”). Berlusconi, a differenza dei meno talentuosi, ha però il senso dell’ironia e quando spara balle, a quanto pare, si diverte. Per settimane il Pd è finito nel panico. Ha preso sul serio le esternazioni di Berlusconi sulla presidenza della convenzione per le riforme costituzionali. Berlusconi padre costituente, roba da sbellicarsi. E infatti sarà lui per primo a riderci sopra dichiarando aMattino Cinque (“Io presidente, facevo per scherzare” 8/5/2013). Ma nella Repubblica delle balle, ormai, si tende a credere a tutto.
LA BUGIE IN CIME AL COLLE E QUELLE A BORDO CAMPOSe il governo e i suoi azionisti sono a pieno titolo impegnati nel girone dei bugiardi non è che le altre cariche dello Stato si tirino indietro. A cominciare dall’imbarazzo di Napolitano nell’annosa vicenda delle intercettazioni e del processo sulla trattativa. Anche nel suo caso la balla è “fondativa” cioè sta alla base del suo incarico. Aveva chiarito in mille salse la sua indisponibilità a restare al Quirinale (“Mio bis non è ipotizzabile“, 13/2/2013). Mai e poi mai (“Non mi convinceranno a restare“, 14/4/2013). Prima perché troppo vecchio, poi perché “pare impossibile che l’Italia sia incapace di esprimere una figura all’altezza”. Ma diventa possibile giusto sei giorni dopo, grazie al Pd. Impallinando Prodi e rifiutandosi di convergere su Rodotà, il partito di Bersani alla fine troverà il modo di lasciarlo lassù.
E Napolitano torna sui suoi passi, si rimangia il fermo proposito presidenziale, e si limita a un laconico “Non prevedevo di essere rieletto” (22/4/2013). Anche chi sta a bordo campo, va detto, si esercita a spararle grosse. Ad esempio Mario Monti, che aveva stragiurato di non voler scendere in campo (“Non mi candido ma pronto a servire paese“, 27/9/2012).  Ci è salito due mesi dopo, lasciando di stucco Napolitano, gli azionisti del suo governo e milioni di italiani. Era una balla tecnica. Un altro campione è Matteo Renzi, uno che non le manda a dire e che quindi è facile cada in contraddizione. Ha giurato in mille modi trasparenza, ma ci sono voluti mesi per avere qualche ragguaglio su chi ha finanziato la sua campagna per le primarie. Renzi è esuberante della politica. Impossibile trattenerlo. Anche quando è lui stesso a fare voto di silenzio. Nel giorno nero del Pd, quello della debaclé su Prodi che prelude alle dimissioni di Bersani silenzia se stesso: “Torno a Firenze e non dicono nulla per non danneggiare il partito”. Davvero? Macché, la tentazione di saltellare sulla spina dorsale del Pd agonizzante è troppo forte. E l’indomani, giorno del silenzio, riuscirà a esternare 22 volte su tutto e tutti, sui 101 traditori, sull’endorsement pro Rodotà di Barca (“intempestivo”) fino a salutare come “molto positiva” la rielezione di Napolitano.